10 Giugno 2024

Ideologico, ambizioso, blasfemo. Simone Salomoni e la spietatezza di “operaprima”

Il romanzo “operaprima” di Simone Salomoni, edito da Alter Ego e ambientato a Monghidoro, sull’Appennino Bolognese, inizia come una confessione, promettendo lo svelamento di un mistero e forse di un crimine.

Il narratore è un pittore quarantenne che ha perso sia l’ispirazione che la potenza sessuale e si rivolge subito al lettore domandandogli se vuole conoscere la verità sulla storia che sta per narrare e al tempo stesso avvertendolo: “dubitate sempre delle mie parole”. La vicenda ruota intorno a Simone Salomoni, diciassettenne di straordinaria bellezza e profonda inquietudine, che arriva insieme alla madre Marie Bertrand, trentottenne fascinosa ed elegante, a passare le vacanze nella casa accanto a quella del pittore. I tre personaggi daranno vita a un intricato triangolo di relazioni appassionate e ambigue, che diventa pretesto per indagare numerosi aspetti dell’animo umano, primo fra tutti il rapporto tra arte e vita, poi la sessualità, i rapporti familiari, le nevrosi e in modo molto particolare, direi sorprendente, il tema più attuale di tutti, l’identità di genere.

Confesso che quando ho visto che avevi chiamato il personaggio forse più importante e di certo più affascinante del libro con il tuo nome e cognome, Simone Salomoni, ho pensato, ma è impazzito? Con la facilità che c’è oggi ad accusare gli scrittori di essere egotici e autoriferiti? E confesso pure che fino a un certo punto ho ritenuto di stare leggendo una storia d’amore omosessuale, dalle parti di Maurice e Chiamami col tuo nome, in cui immaginavo le sembianze di Simone come un misto tra te e un giovane Helmut Berger, finché da un dettaglio ho capito che lì si nascondeva il tuo gioco con il lettore. Simone in italiano è un nome maschile e inevitabilmente chi legge lo riconduce a te, ma il personaggio è francese e in francese è un nome femminile, Simòn. Allora sono tornata indietro – un po’ come alla fine di Profondo rosso andai a recuperare il fermo immagine per vedere se davvero si vedeva l’assassino nello specchio –, ho riletto la prima parte e mi sono resa conto che in effetti nella narrazione non specifichi mai il genere, non usi mai un maschile o un femminile. Anche le descrizioni dei corpi e degli atti sessuali, che mi avevano portato a immaginare inevitabilmente un maschio, mi sono apparse alla seconda lettura ambivalenti. Se vogliamo dare al libro una lettura allegorica, se Simone rappresenta l’ispirazione, l’opera d’arte, allora il genere è ininfluente. In una visione invece più reale, corporea e psicologica, trovo che assegnargli uno o l’altro genere possa addirittura portare a costruire due romanzi diversi – e qui pure confesso, sono tra quelli che ritengono che il genere sia elemento non indifferente nella costruzione dell’identità e quindi delle relazioni.  Quindi Simone è maschio o femmina? E in che modo questo cambia o non cambia le cose?

Io sono un maschio bianco eterosessuale occidentale e istruito nato alla fine degli anni Settanta: in pratica il male incarnato. Non ho responsabilità di questo, non me lo sono scelto, ho però la responsabilità di scegliere come esercitare quello che, a detta di molti, a ragione, è un privilegio. Ho scelto di esercitarlo ponendomi delle domande come: e se fossi nato vent’anni dopo? E se fossi nato donna? E se fossi nato omosessuale?

Mi pongo delle domande, faccio delle immaginazioni, le scrivo, senza la pretesa di dare delle risposte. Non sono interessato alle risposte. Le risposte creano fissità, chiudono; le domande aprono.

Simone è maschio e femmina oppure non è né maschio né femmina, è un essere umano. I lettori devono essere liberi di definire il personaggio a seconda di quelli che sono i propri vissuti e le proprie visioni del mondo, possono chiudersi in sé, in quello che sono, o provare ad aprirsi. Leggere Simone al maschile o al femminile, all’italiana o alla francese, non credo cambi tanto il senso del romanzo, piuttosto la percezione del sé nel lettore.

Maschio o femmina che sia, Simone è giovane, e dice il pittore a un certo punto “la giovinezza è un colpo mortale per chi la osserva dopo averla attraversata”. Simone sta per compiere diciotto anni, è ancora minorenne. È per non incorrere nel rischio di qualche censura moralistica che hai lasciato il rapporto, profondamente sensuale, tra Simone e il pittore non consumato? Ci sono cose che oggi in letteratura è difficile narrare più di quanto non fosse un tempo, come ad esempio una storia in cui il personaggio più giovane è attivo e intraprendente nella seduzione dell’altro?

La mia agente dice che il mio immaginario è ideologico, ambizioso, pornografico e blasfemo e che a respingere sono soprattutto l’ideologia e l’ambizione. Credo abbia ragione. Oggi non ci sono argomenti tabù, argomenti di cui non si può parlare, non ci sono mai stati in realtà. Ci sono invece sempre stati argomenti orecchiabili, che funzionano sul momento, di cui è bene parlare se si vuole intercettare il gusto dei lettori, il momento storico e che sempre mi annoiano. Io voglio essere letto, è ovvio, però sono consapevole che la mia letteratura – e la letteratura che mi interessa leggere – può parlare solo di due cose: eros e thanatos. Che sono poi una. Se è un argomento di scarso interesse, pazienza.

Nel libro la narrazione in prima persona del pittore si alterna a quattro racconti di Simone, che con intensità crescente ne svelano l’anima e i segreti. Quindi Simone, inizialmente narrato, inizia anche a narrare, così come inizialmente oggetto di desiderio, inizia anche a desiderare. Nei quattro racconti emergono storie di violenza e sopraffazione sessuale. In uno di essi fai anche un lavoro grafico molto particolare: riportando cancellature e aggiunte nel testo, come fosse un editing, trasformi una storia di violenza in una di sesso consensuale a quattro. Anche questo, come il discorso sull’identità e l’ambiguità di genere, sposta il libro da una dimensione filosofica e fuori dal tempo ad una più concreta, vicino ad argomenti attuali e divisivi, quale il consenso, i rapporti di forza tra i generi, le origini familiari dei traumi. C’è questa intenzione di spostarsi da un piano all’altro?

Il racconto a cui ti riferisci è il terzo, Cocoricò. Quello che a me interessava era, in realtà, mettere in scena la spietatezza della scrittura. Simone attraverso un suo alter ego letterario, Nicole, scrive il racconto di una ragazzina minorenne che viene stuprata da tre ragazzi. In fase di revisione, forse pungolata dal narratore, comprende che la verità di quel fatto è un’altra: Nicole (Simone) voleva quel rapporto, il sopruso, la violenza, la sperimentazione del corpo, voleva dire: “ho un corpo, se non lo conosco cosa me ne faccio? Niente. Come lo conosco? Usandolo”. Bisogna essere spietati per riconoscere ciò, bisogna essere artisti e Simone vuole essere artista.

Questo ho pensato, questo intendo dire quando dico che volevo mettere in scena la scrittura. Poi, sì, sapevo che andavo a toccare una tema di attualità come il consenso, ma è stato un incidente, prometto di non farlo più.

La critica è ridotta a celebrazione, le stroncature sono avvolte nello zucchero filato” e ancora “l’arte vera è un colpo feroce all’anima”. In queste parole del pittore mi sembra di percepire una tua critica al mondo letterario. Stiamo andando verso una letteratura disinfettata e consolatoria, tesa a confortare il lettore invece di svelargli le sue ombre?

Forme di espressione disinfettate e consolatorie ci sono sempre state, credo. Solo che poi non ce le ricordiamo, spariscono come è normale. C’è spazio per ogni cosa, bisognerebbe solo avere la prudenza di chiamarle con il proprio nome.

Questo libro è dedicato a Walter Materassi, che definisci “artista postumo vivente, e amico”. Ho letto che le opere artistiche e installazioni che descrivi, tra l’altro dimostrando molta competenza, esistono e sono sue. Quanto sei dentro al mondo dell’arte contemporanea e quanto per te è importante questo artista, che ho letto aver scelto di scomparire dai social e dal mondo digitale?

L’arte contemporanea la seguo, mi interessa, ho fatto qualche piccola operazione di intrattenimento video o in realtà virtuale o aumentata, ma non sono inserito nel mondo dell’arte contemporanea. Con Walter è nata una stima artistica reciproca che è poi diventata scambio, confronto, sostegno, polemica e – soprattutto – spietatezza, in somma: amicizia. Lui non scrive e io non dipingo e questo ci permette di essere molto puliti nelle reciproche opinioni sul lavoro dell’altro, ci permette di valutare l’opera senza considerare la tecnica. Quando hai acquisito una tecnica, se vuoi essere un artista, hai solo due strade: o te ne liberi e ricominci da capo oppure smetti.

Lui è Simone Salomoni

Il pittore cita spesso un suo Maestro ormai morto, di cui non fa mai il nome ma di cui dice che “subito certificò il fatto che io fossi nato per dipingere”, e al tempo stesso con Simone instaura un rapporto maestro/discepolo. È il sogno di ogni artista incontrare un maestro, un pigmalione?

Leo Longanesi diceva: “L’arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere stati chiamati”. Credo sia necessario a tutti incontrare qualcuno di cui hai fiducia, rispetto, stima – che riconosci come un maestro, poi può anche non diventare il tuo maestro – che ti confermi di essere stato chiamato all’appello.

“Simone era una tela, non una tela bianca, vergine e immacolata ma una tela segnata, sporca e tagliata e per questo più interessante”. Non sveliamo il finale, ma a un certo punto tutto l’amore e il trasporto del pittore per Simone sembra scomparire, come se Simone diventasse solo uno strumento, una proiezione, un agnello sacrificale. È un’allegoria o è proprio così che gli artisti riducono le persone che amano?

Credo che la lettura potrebbe anche essere opposta: “ma a un certo punto tutto l’amore e il trasporto di Simone per il pittore sembra scomparire, come se il pittore diventasse solo uno strumento, una proiezione, un agnello sacrificale”. Perché l’artista potrebbe anche essere Simone e il pittore potrebbe essere un pittore.

Nella mia vita ho avuto la fortuna di conoscere qualche artista, qualche poeta. Ciò che li accomuna è la capacità di amare: l’arte, la vita, alcuni altri esseri umani, un fiammifero usato gettato al lato di una strada. Qualcuno, leggendo, dirà: e Picasso, allora? E Carmelo Bene, allora? E che c’entra?, dico io. Tutti possiamo tagliarci un orecchio, nessuno di noi è Van Gogh, c’è già stato. Capisco sia dura da accettare, ma tant’è. La verità non è per tutti. L’unicità neppure. Le pose, invece, sì. Sono modelli replicabili e rassicuranti anche quando li ammantiamo di falsa originalità, di simulata ostentata follia. Un mediocre, anche se gioca a fare il pazzo, l’esagitato, il litigioso, resta un mediocre. Il cosiddetto mondo dell’arte contemporanea è pieno di mediocri. Anche il cosiddetto mondo della letteratura.

In uno dei racconti di Simone citi quelli che Foster Wallace chiamava “i momenti Federer”, colpi di tennis straordinari e apparentemente fuori dalle possibilità dell’uomo e dalle leggi della fisica e in generale momenti memorabili della vita di un essere umano. Puoi raccontarci il tuo ultimo momento Federer? È questo libro o già qualcos’altro?

Ho incontrato e riconosciuto un corpo Sacro.

*L’intervista è a cura di Viviana Viviani

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