“Ti farò mia sposa per sempre”. Sul mio amore assoluto per “Il tè nel deserto”
Cultura generale
Dejanira Bada
Da quando è in atto la guerra in Ucraina, Vasilij Grossman è diventato, per una strana, serpentina ciclicità del tempo, lo scrittore prediletto e predestinato, il classico assoluto. D’altronde, Grossman è l’epicentro di una contraddizione manifesta: ebreo nato a Berdičev, in Ucraina, ha esaltato la grandezza dell’esercito russo contro i nazisti, salvo scontrarsi – fino a una lenta, letale agonia creativa – contro il governo sovietico, post-stalinista. In una lettera al padre del 25 febbraio 1942, Grossman elogia la frugale generosità del milite russo – “una combinazione di modestia personale e bontà, unita all’aspra rudezza dei soldati” –; esattamente vent’anni dopo, nel febbraio del ’62, scriverà a Nikita Chruščëv perché gli venga restituito il manoscritto di Vita e destino, il romanzo che riassume la sua visione narrativa ed esistenziale, il boato epico, in cui, scrive,
“Facendo del mio meglio, con le mie limitate capacità, scrissi sulle persone comuni, il loro dolore, le loro gioie, i loro errori e le loro morti. Scrissi del mio amore per gli esseri umani e della mia solidarietà con il loro dolore”.
In realtà, Grossman aveva capito che il sistema coercitivo nazista non differiva troppo da quello sovietico, che l’istanza prima dell’uomo sta in una irredenta libertà. Il manoscritto, naturalmente, non gli verrà reso. Nel luglio del 1962, Grossman ha però un incontro surreale con Michajl Suslov, “responsabile del Partito per le questioni ideologiche” (questo e altri materiali si ricavano in: John e Carol Garrard, Le ossa di Berdičev, Marietti 1820, 2009; 2020). Il burocrate attacca Grossman, con ferma mestizia gli dice che “Il Suo romanzo farebbe il gioco del nemico”, che “i nostri scrittori sovietici devono solamente produrre ciò che serve ed è utile per la società”, che, insomma, “ciò che la gente si aspetta da Lei sono opere narrative del genere di Il popolo è immortale”.
Pubblicato a puntate nell’estate del 1942 su “Krasnaja Zvezda” (Stella Rossa), Il popolo è immortale racconta le gesta della gente di Russia durante la Seconda guerra, “era quanto di più vicino alla realtà dell’invasione sia mai stato pubblicato in Unione Sovietica, sia durante la guerra che nei decenni che seguirono”. Vi si racconta, con afflato tolstojano, di un’unità sovietica, “costretta a operare in condizioni spaventose, che continua a combattere nonostante tradimenti, diserzioni, enormi perdite, riuscendo ad arrestare l’avanzata tedesca”. Come è nel tono di Grossman, il racconto ‘d’azione’ è inframmezzato da personaggi vividi, commossi, austeri nel pianto. Già noto come abilissimo reporter di guerra, Il popolo è immortale garantì a Grossman una fama inattesa, “fece scalpore”, e il suo autore “raggiunse una popolarità nazionale”. Il genio di cui è intriso il romanzo, benché patriottico, integralmente ‘sovietico’, “lo innalza al di sopra dell’abituale livello propagandistico della narrativa sovietica” (Garrard): era in lizza per il Premio Stalin, gli fu preferito il più conforme Il’ja Ėrenburg.
Ancora inedito in Italia, Il popolo è immortale era stato tradotto quasi subito in inglese, nel 1943, da Elizabeth Donnelly, per lettori ‘rossi’ felici di leggere A Novel of the Red Army in Action. Non ottenne il successo propagandistico sperato. Il libro ritornerà per la New York Review Books il prossimo 27 settembre, ‘trattato’ da Robert ed Elizabeth Chandler (che già hanno lavorato sui materiali di Stalingrado, edizione poi recepita, con successo di vendita, da Adelphi), che di The People Immortal – così almeno leggiamo da un pezzo di John Self pubblicato sul “The Observer” – hanno riprodotto il testo originale, senza le brevi censure operate dall’editoria sovietica. L’edizione guarda, inesorabilmente, al conflitto in atto – il tank in mezzo al campo di girasoli in copertina ricorda scene analoghe di mezzi russi nella campagna ucraina – e presto, facile scommessa, la vedremo tra le maglie del catalogo Adelphi. La ‘quarta’ promette “un romanzo come un’arma in mano”.
Poco dopo la pubblicazione de Il popolo è immortale, piuttosto, Grossman segue le truppe sovietiche a Char’kov, poi a Kursk, dove si svolge una battaglia tra corazzati micidiale, decisiva per la resistenza sovietica, con un massacro complessivo di quasi duecentomila soldati. Nell’aprile del 1943 Grossman è in Ucraina – “Ora veniva ricacciato nella realtà della sua scomoda posizione di ebreo nell’Unione Sovietica, dove gli ucraini e i russi avrebbero potuto odiarlo senza alcuna reale ragione, se non per il fatto di essere ebreo”, Garrard. “Di tanto in tanto non si sente il profumo dei fiori, ma un odore diverso e terribile”, scrive al padre: il cammino dello scrittore è punteggiato da corpi morti, di soldati tedeschi e russi. La madre, Ekaterina Vasil’evna, è morta nel settembre del 1941, mentre Grossman scrive Il popolo è immortale, uccisa dalle SS a Berdičev, “insieme ad altri 20mila ebrei”. Del massacro, Grossman scrive in un articolo, Ucraina senza ebrei, pubblicato su “Einikeit” nel 1943:
“Non ci sono ebrei in Ucraina… Tutto è silenzio. Nulla si muove. Un intero popolo è stato brutalmente assassinato… Ora ho visto con i miei occhi che l’orribile destino degli ebrei non fa nascere nei russi e negli ucraini che una profonda compassione… Certo, noto anche l’indifferenza”.
È l’inizio del lento percorso di Grossman dentro le atrocità della Storia, al di là di patrie e proclami: nel 1944 pubblica L’inferno di Treblinka, dal 1946 lavora a Stalingrado, dieci anni dopo sprofonda in Vita e destino. Tutto sembra rintoccare, in Grossman, mordere gli snodi esatti, senza complici, in un lento, atroce disvelamento.
In una pagina del Il popolo è immortale, il Commissario Bogarëv, alter ego dell’autore, fissa la morte, dopo un bombardamento; gli occhi si bloccano su un cadavere, riverso, un uomo. “Accanto a lui stava un cumolo di libri squarciati e ricoperti di sangue. Con ogni probabilità egli si era levato a guardare fuori dalla trincea poco profonda proprio quando è scoppiata la bomba. Tacito, Annali – recitava il titolo del libro abbandonato accanto al corpo”. In un passo dei diari di Grossman, risale al 1938, leggiamo un pensiero scaturito proprio dalla lettura degli Annali:
“Magnifica anima! Tacito ammira il coraggio, la nobiltà, l’intelligenza, le decisioni giuste, i discorsi veritieri, la fedeltà coniugale, l’amore filiale, l’amicizia salda. Condanna la menzogna, le delazioni, la maldicenza, la codardia, gli omicidi crudeli, la corruzione, l’incesto, l’irresolutezza del servilismo”.
Tacito era uno dei libri prediletti da Tolstoj, all’epoca di Guerra e pace. Un libro non salva una vita umana, ne celebra il bilico. Ecco, la pericolosità dei grandi libri: immergono nel coraggio, in una spazientita, spavalda nobiltà.