“Ti cerco dietro il buio degli occhi”. Il mistero del padre: una lettera a Silvio Perrella
Poesia
Vincenzo Gambardella
Se la letteratura non vende è perché non piace e se non piace è perché è brutta. Potremmo trascorrere giorni e giorni leggendo pagine di libri che si assomigliano tra loro, firmate da scrittori mediocri che altro non fanno se non rilanciare la propria personale mediocrità, eletta a sistema letterario, politico, estetico. L’arte è invece superarsi, è sopravanzare l’arte stessa. Per questo ogni fenomeno estetico ha il suo tempo e le Madonne con il Cristo in braccio ci sembrano adesso solo dipinti ben riusciti. Per fare arte bisogna andare contro l’arte, tentare di distruggerla.
Tra le pagine del romanzo Contronatura possiamo leggere: “Io non scrivo pensando a un pubblico, come gran parte degli scribacchini che bazzicano nel tuo salotto, ma per la letteratura e anche, se vuoi saperlo, contro la letteratura, per quanto possa sembrarti strano”. Parole che testimoniano l’impegno dell’autore per l’attività letteraria, impegno raro oggi in Italia. I nostri scrittori, infatti, nei loro testi preferiscono parlare d’altro, lisciarsi una parte politica, arruffianarsi i lettori con temi ammiccanti e ramanzine morali ad hoc e quindi, quando la letteratura è in pericolo, chi ha un grande potere è chiamato a rispondere a una grande responsabilità.
Max Fontana è il protagonista radicalmente triste del romanzo Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler, capolavoro firmato da Massimiliano Parente. Max, persa ogni speranza di coronare il suo sogno di diventare un grande artista, è vicino al suicidio. In un ultimo e strano guizzo vitale, però, eiacula su L’origine del mondo di Courbet nel Museo d’Orsay. Uscito di prigione, il sogno si è fatto realtà: è l’artista contemporaneo più celebre del mondo. Dello scandalo e della conseguente indignazione, dopo essere divenuto famoso, egli fa le sue armi di conquista. Decora quindi con delle svastiche tutto quello che crea, come Heil Mary!: “gigantesca Madonna che si erge maestosamente al centro di Roma, sovrastando il Colosseo, e alla cui vagina è appeso un Gesù bambino altrettanto enorme e gelatinoso e orribilmente penzolante dal cordone ombelicale, praticamente impiccato: uno scandalo”. Così il protagonista, scandalo dopo scandalo, supera i propri limiti e mette alla prova quelli dell’umanità, indagandola, mettendola a nudo. È il caso dell’opera Bottone dell’odio che “Non c’entra con il nazismo, sebbene faccia riflettere anche sul nazismo. Il visitatore entra in una stanza e al centro, su un piedistallo, c’è una scatola con un bottone e delle brevi istruzioni incise su una targhetta. Prima di schiacciare il bottone, il visitatore deve pensare a una persona che odia. Dopo, deve schiacciare il bottone, e la persona, ovunque si trova, dovrebbe morire all’istante. Non so, tipo di infarto fulminante, o di ictus […] Di fronte al mio Bottone dell’odio si inquietavano non tanto perché non avessero nessuno da odiare. Il mio bottone, al contrario, ti costringeva a pensare a chi odiavi, senza volerlo ci pensavi, e pensavi che qualcuno morto lo volevi anche tu. È brutto quando pensi che vorresti qualcuno morto. È brutto ma è anche bello, liberatorio.”
Parente, fuoriclasse della scrittura nostrana, porta avanti una storia attuale che si serve dello specchio dell’arte per indagare una società grottesca, ridicolizzando l’umanità in tutto ciò che questo concetto rappresenta, a partire dalla fragilità dell’unico vero essere umano: l’artista.
La prima domanda riguarda i motivi che hanno portato alla ristampa di questo romanzo. Quali sono?
Tutto è nato dall’incontro con un artista geniale, Max Papeschi, con il quale abbiamo avuto l’idea di far diventare Max Fontana, il protagonista de Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler, un artista reale. In questo progetto è entrato entusiasticamente l’editore Giunti che, oltre al tascabile del romanzo appena uscito, pubblicherà il 31 ottobre il catalogo della mostra Max vs Max, curata da Gianluca Marziani, dove Max Fontana sfiderà Max Papeschi (debutterà a Roma il 6 dicembre, alla galleria Contemporary Cluster, per poi spostarsi a gennaio al MACRO e in seguito in tutta Italia). Un evento senza precedenti: un artista inventato, puramente letterario, diventerà vero sfidando un artista vero che sembra inventato.
Potresti spiegarmi il ruolo dell’arte contemporanea nel romanzo in questione, nell’ideazione della trama? Penso anche, a tal proposito, a tutta una serie di opere che hai attribuito nella finzione narrativa al protagonista Max Fontana. Ho letto molte recensioni che interpretano questo romanzo come una esilarante o caustica denuncia della vacuità artistica dei nostri giorni. Mi sembra, però, riduttivo e vorrei sentire di più sulle vere ragioni di questo testo.
In realtà il romanzo ha avuto una doppia interpretazione: chi l’ha preso come una denuncia della vacuità di molta arte contemporanea, chi come un elogio. In realtà è entrambe le cose ed è un’opera più complessa di come possa sembrare a prima vista, dove ci si diverte molto perché la parte comica e satirica è particolarmente forte. Ma soprattutto, parafrasando quello che diceva Flaubert di Madame Bovary, Max Fontana c’est moi.
Hitler viene nominato circa quattrocento volte nel romanzo. Il protagonista ne è ossessionato, come fosse un modello artistico da raggiungere perché, nel bene e nel male, la sua celebrità è inarrivabile. Oltre la provocazione, il dittatore tedesco è stato responsabile di un ritorno a un regime simbolico per il quale, ad esempio Nietzsche, avrebbe probabilmente stravisto, innamorandosene. Hitler è un artista solo per la sua celebrità?
Max Fontana coglie unicamente il lato pop di Hitler. Lo prende come un personaggio famoso, tra i più famosi di tutti i tempi. Per questo può permettersi di dire cose politicamente scorrette e a volte terribili, perché siamo su un piano di fascinazione spettacolare, senza ideologie, in cui la parola si libera da qualsiasi gabbia e può dire tutto quello che gli passa per la testa, soprattutto se è qualcosa che non si può dire. Max Fontana spinge all’eccesso i meccanismi della società dello spettacolo: per lui tra Hitler e Michael Jackson non c’è alcuna differenza.
Mi vengono in mente tre esempi di arte contemporanea: Marina Abramović che, durante una sua performance al MoMA nel 2010, viene sorpresa dal suo ex compagno Ulay e piange rivedendolo; Damien Hirst che recupera dalla nave naufragata “Unbelievable” alcuni straordinari resti – da questa storia, chiaramente finta, nascono una mostra e un documentario; Banksy distrugge un suo quadro appena battuto all’asta per un milione di sterline. Tre opere con una risonanza incredibile: l’arte sta superando l’arte? Che rapporto c’è tra arte, realtà e finzione, alla luce di questa stagione artistica? Nel tuo romanzo ci dovrebbe essere qualcosa di simile: me ne potresti parlare?
Non sono fenomeni recenti, tutta l’arte del XX secolo è concettuale. Con un grande padre storico: Marcel Duchamp, che con il readymade mise fine all’idea che un artista dovesse produrre necessariamente un manufatto. Per lui contava solo il pensiero. Ci sono ancora molti passatisti che vorrebbero un ritorno alla pittura figurativa, ma quello che conta nell’arte sono le idee, indipendentemente da come vengono realizzate.
Guardando alle persone famose, scrivendo degli ambienti che frequentano, dove lavorano – la televisione, i salotti –, insomma di tutto ciò che pur essendo reale sottende finzione, teatralità, riesci a focalizzare meglio qualcosa che riguarda tutti, famosi e non?
Del rapporto tra persone famose e realtà mi sono occupato molto in Contronatura, la prima parte della Trilogia dell’inumano, che La nave di Teseo ha pubblicato l’anno scorso in un volume di millesettecento pagine. Lì c’è uno scrittore che vive all’ombra di una importantissima showgirl e cerca di emergere in un mondo in cui tutto sembra accadere solo in superficie. Essendo ambientato all’inizio del Duemila, contava ancora molto la televisione. Mentre ne Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler, scritto già nell’era di Netflix, sono i personaggi delle serie televisive a essere più reali della realtà, mentre è la realtà, rispetto alla fiction, a essere imperfetta e frustrante. Come è frustrante la vita di qualsiasi individuo, perché chiunque vorrebbe essere famoso. Lo vediamo con i social network, nei quali ognuno si lamenta della privacy ma al contempo posta in continuazione tutto ciò che fa, per dire: “ehi, guardate, ci sono anche io”. Oggi c’è stato uno scarto ulteriore: abbiamo iniziato con i reality, in cui ragazzi comuni diventavano famosi, e siamo arrivati a una disastrosa rivoluzione politica, nella quale la gente comune è andata al potere. La mediocrità è diventata un merito, una conquista, una carriera.
“Di certo non scrivo per esprimermi. Non scrivo perché mi piace, perché uno scrittore che non sia tale lo riconosci subito da due cose: o lo fa perché gli piace, e quindi, dilettandosi, è un dilettante, o lo fa per mestiere, e allora è un timbratore di cartellini editoriali. Scrivo, detto altrimenti, perché quello che voglio scrivere io posso scriverlo solo io”. Una posizione del tutto controcorrente rispetto al trend odierno. Che ne pensi della letteratura italiana oggi? Che cosa compra Massimiliano Parente quando va in libreria?
Ormai leggo per lo più saggi di scienziati, di neuroscienze, di biologia, di astrofisica, perché oggi la scienza è la vera avanguardia del pensiero. Il mondo umanistico, ignorandola, è rimasto inesorabilmente indietro. Infatti, scrittori che sono anche scienziati, come Piersandro Pallavicini, o che si interessano alla scienza, come Ian McEwan, hanno una marcia in più. Mentre il letterato medio crede ancora che quella di Darwin sia una “teoria” – e dunque ci troviamo di fronte a umanisti che non sanno niente dell’uomo. Non per altro uno dei romanzi più interessanti degli ultimi anni, per me, è Origin. Lo ha scritto un autore di genere, Dan Brown, scientificamente documentatissimo. Tocca un tema fondamentale dell’umanità, l’origine della vita, la morte, la fine delle religioni, che i letterati con la puzza sotto al naso non riuscirebbero mai a immaginare.
Avevi annunciato di non voler più scrivere romanzi. Come mai? Ci hai detto tutto?
Quando ho finito di scrivere la trilogia, che mi ha impegnato per tredici anni, pensavo più o meno di aver detto tutto, poi mi sono esplosi in mano Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler e L’amore ai tempi di Batman. Attraversavo una fase depressiva, ma sono usciti per conto loro nonostante abbia impiegato un paio d’anni per ciascuno. Dopo L’amore ai tempi di Batman ho deciso che non avrei più scritto, perché più o meno avevo detto tutto quello che volevo dire in otto romanzi e quattro saggi. Quest’estate, però, ho avuto un’idea e ho sottoposto il progetto a Elisabetta Sgarbi. Lei ha accettato con un tale entusiasmo che l’ho scritto in un mese e mezzo. Uscirà per La nave di Teseo il 29 novembre. Non posso dire niente altro, sarà una sorpresa.
Alessandro Paglialunga