11 Aprile 2018

“È tutta colpa nostra”. In anteprima esclusiva il primo capitolo di “Muovete il culo!”, il nuovo libro di Alberto Forchielli, da domani nelle librerie

L’“ammazzacaffè” della settimana scorsa ha recensito in anteprima esclusiva il nuovo libro di Alberto Forchielli, Muovete il culo! (Baldini Castoldi), definendolo “commovente, divertente, rivoluzionario, trascinante e imperdibile” e, soprattutto, “una bomba che esplode nella coscienza di tutti noi”. Il nostro scritto e le vostre relative condivisioni sui social hanno portato l’ultima fatica del rivoluzionario Forchielli al primo posto dei “prodotti del momento” di Amazon la sera stessa. E domani, finalmente, il libro sarà disponibile nelle librerie, su Amazon, eccetera. E noi, che siamo rivoluzionari almeno quanto l’economista “social-barricadero” – Forchielli solo su Facebook conta 650mila seguaci – rilanciamo con un’altra strepitosa anteprima in esclusiva. Ecco quindi un ampio stralcio del primo capitolo di Muovete il culo! (compreso nella “prima parte”, intitolata Scusate). Primo capitolo evocativo già da titolo e sottotitolo: È tutta colpa nostra (Mia e della mia generazione: dalla Great Generation ai parassiti di Stato, metamorfosi sociale dal Dopoguerra a oggi dell’italiano «eroe per caso», oggi solo «per caso»).

Solo per i lettori di Pangea.

*

libro forchielliIl milite ignoto ha un nome. Si chiama Michele. Il milite Michele è l’ennesima vittima sacrificale di ufficiali inetti, vertici inadeguati e vigliacchi, incompetenti o ladri o, peggio ancora, di ladri incompetenti. Il milite Michele non è caduto sul Piave nella prima guerra mondiale e nemmeno a Nikolajewka, sul fronte russo, nella seconda. È morto in Friuli, nel febbraio 2017, a trent’anni, suicida. Suicida perché, come ha scritto nella lettera lasciata quale ultimo saluto ai genitori e da loro saggiamente diffusa ai media per lanciare uno straziante allarme all’Italia, Michele diceva: «io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare». Perché Michele, suo malgrado, è il rappresentante di una generazione che fa «sforzi senza ottenere risultati», di una Italia che «non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni». Di una generazione che ha «subito il furto della felicità».

Leggere la lettera di Michele mi fa venire il groppo in gola. La sua scelta estrema, disperata e annichilente è, per l’appunto, una sua scelta, che non mi permetto di giudicare. Però posso, anzi, devo giudicare i risvolti socio-politico-economici dell’Italia odierna, proprio perché tali risvolti hanno portato, purtroppo, al suicidio di Michele.

Devo farlo perché ormai ne ho visti troppi di ragazzi che, come lui, hanno perso la speranza, vivendo in un Paese che è una trappola per topi.

Michele è il milite ignoto che prende nome e si erge a simbolo della Generazione Standby. La generazione dei «giovani» che in Italia – unico posto al mondo, va detto – parte dagli adolescenti e arriva a toccare gli ultra-quarantenni. […]

Idee chiare, forza di volontà e spirito di sacrificio, ecco cosa manca ai giovani italiani, «giovani» fino a cinquant’anni. Ma è tutta colpa loro? Che siano debosciati o figli di papà? Non proprio. […] noi, ossia i loro genitori, i «vecchi», gli over sessantenni per intenderci, che in Italia sono ancora tutti giovanissimi e bellissimi, in forma smagliante e freschi come delle rose perché non hanno mai fatto un cazzo nella vita e se la sono sempre goduta come pochi nel mondo, fanno «tappo», attaccati come sono alla loro poltrona. […]

Se vi sembra un circolo vizioso è proprio così, e la sua catena causale si può riassumere così: i nostri «giovani» sono muffe perché i loro padri – compreso il sottoscritto – sono i figli parassiti della Great Generation italiana, quella che ha fatto la seconda guerra mondiale (vincendola o perdendola non fa differenza). E poi, una volta tornata a casa, in un Paese sbrindellato e macellato, che già prima della guerra era arretrato quasi come uno Staterello nordafricano, quella generazione di eroi ha avuto la forza di volontà di creare il boom economico che ha fatto dell’Italia, davvero partendo da zero virgola zero uno, una grande potenza economica su scala planetaria. […] Poi, quando gli uomini della Great Generation italiana sono andati in pensione o sono morti di vecchiaia, i loro figli parassiti – ripeto, me compreso – hanno assunto il comando del Paese con la perizia del peggior Schettino ma con la stessa guitta arroganza. Perché, per cialtroneria o malafede, hanno sempre sbagliato quello che potevano sbagliare. Su tutta la linea, dalla politica all’economia, dall’industria al turismo, dalla sanità all’educazione scolastica e universitaria, finanche al ruolo del nostro Paese nell’Europa e nel mondo, continuando a sbagliare dentro a quel fantoccione finanziario che è l’attuale Unione Europea. Mentre la UE, in potenza, poteva e doveva essere la nostra salvezza.

Parlo proprio di noi, la generazione nata negli anni Quaranta e Cinquanta: ripeto, i figli parassiti della Great Generation italiana. […] In pratica siamo noi gli ufficiali inetti che hanno portato la patria e i suoi figli più giovani al suicidio. Dalla Great Generation ai parassiti, molto spesso di Stato, per una metamorfosi sociale – una specie di discesa all’inferno, almeno per il bene del Paese – che dal Dopoguerra a oggi ha modificato l’italiano da «eroe per caso» a solo «per caso». Il risultato è stata una caduta verticale del tessuto morale del Paese, con l’interesse personale che ha annientato quello comune, con la furbizia che ha spodestato l’etica del lavoro, con la frase tipica del piccolo e medio imprenditore che si vanta «di non avere intestato nulla» così da poter fallire a piacimento e fare il maramaldo con le persone oneste mentre il dipendente pubblico va a timbrare il cartellino in mutande e canottiera o fa il baby pensionato da trent’anni e passa.

Io di tutto questo mi vergogno e chiedo scusa. Non è retorica buonista o paraculismo. Sono incazzato come una pantera per la fine che abbiamo fatto fare all’Italia. […]

Perciò Michele aveva dannatamente ragione a sentirsi tradito «da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare». Aveva ragione perché la nostra generazione era nella condizione di poter accogliere i figli di tutti e invece li ha colpevolmente accantonati sprecando le risorse, bruciando settori strategici e non investendo sistematicamente sul futuro, facendo scomparire l’Italia dalla mappa del mondo che corre veloce. E a fronte della terra bruciata che adesso è il Belpaese, i «giovani» della Generazione Standby, fatalmente, fanno «sforzi senza ottenere risultati», sia che si trovino nei call center che negli ipermercati, nell’agricoltura del caporalato e negli studi professionali, nelle redazioni dei giornali e degli editori, nelle periferie e nelle province senza prospettive… ovunque in questo Paese, straordinario e straziato, che «non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni».

È proprio così. Michele aveva ragione.

La sua generazione ha «subito il furto della felicità».

Io mi vergogno. E chiedo scusa. Perché è stata la mia generazione a rubargliela.

La felicità.

Alberto Forchielli

Gruppo MAGOG