17 Ottobre 2018

Analisi filosofica (e spietata) del fenomeno Asia Argento. Care donne, il problema non è l’uomo ma l’umanità, e comunque, meglio Marilyn e Vivian Maier, autentiche sovversive…

Non ho niente contro i border line, anzi.

La storia, in gran parte, non la fanno i probi. E peraltro non esiste la normalità. Nessuno di noi è normale. E, a guardare lucidamente la fisiologia del mondo, la storia è anche e soprattutto l’umiliazione millenaria dei singoli a favore della comunità, che a sua volta edifica le cattedrali della ragione attraverso la sovranità delle singolarità di rango, anche e soprattutto equivoche, paradossali, che emergono dal travolgente pantano dell’avventura umana. La storia, nel bene e nel male, l’hanno sempre fatta i grandi squilibrati, le personalità d’eccezione. Il che getta un paradosso assoluto, immoralista, sulla genesi delle nostre istituzioni umane. Perfino il Diritto si fonda sulla violenza; e la stessa guerra, nella natura umana, non rappresenta solo un vuoto transitorio della nostra moralità, un errore, un’eccezione alla nostra innata nobiltà o alla nostra superiore facoltà civilizzatrice. Condottieri, imperatori, guerrieri, tiranni, poeti, filosofi, teologi, riformatori, artisti, mistici, popoli, seduttori o mascalzoni di ogni epoca. Tutti squilibrati d’eccezione. Popoli, nazioni e individui distinti da questa facoltà di unire patologia e, talvolta, produzione di teoria della cultura. Molti coltiveranno piccole oasi, alcuni raggiungeranno grandi distanze, altri, la maggioranza, subiranno estasi negative d’inesorabile ferocia, e li chiameranno i margini della storia, le vittime.

Di una cosa sono certo. Inutile leggere con la lente morale la vita. La morale, e peggio ancora il moralismo, sono una formidabile lente di distorsione della realtà, il miglior modo per perderla e non comprendere l’originaria ambiguità dei fenomeni del mondo e della vita umana. E mi chiedo, allora, se esista il coraggio di abbandonare la truffa moralistica del PC on steroids, del politicamente corretto all’ennesima potenza, di una realtà che si rifa a un’idea degli esseri umani che non esiste? Ho sempre pensato che la pietà più sincera, e il più bel gesto estetico, paradossalmente, siano quelli di mostrare agli esseri umani che credere nell’Uomo, in una fede millenaria, a questa confortante e illusoria dimora, a questo territorio astratto in cui la fiducia nelle regole trascende le regole stesse, insomma, vuol dire credere in un’idea degli esseri umani non solo parziale, ma falsa, che non è mai esistita, non esiste e mai esisterà, se non nelle nostre fantasiose utopie. Di qui, in realtà, nasce anche il famoso “disagio della civiltà”; da questa non coincidenza tra quello che siamo e l’immagine ideale, falsa, nobile, che abbiamo creato di noi stessi; e quando ignoriamo che c’è solo quello che c’è, e quel che dovrebbe essere non c’è, non è mai esistito e mai esisterà. Qualcuno che la sapeva lunga sostiene che religione, ragione, filosofia, letteratura, arte, tutte, danno troppa importanza agli esseri umani. Se vuoi conoscere veramente la loro natura, basta parlare con loro, vivere in mezzo a loro. La misantropia è figlia della conoscenza in presa diretta, del realismo. Più si conoscono gli esseri umani, più si è misantropi, e il buon misantropo: “non fa distinzione di sesso… l’Uomo, nelle due versioni proposte dal Creatore, non gli piace.” Gli esseri umani sono indubbiamente un’apparizione straordinaria, ma non un successo.

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Penso a questo, mentre solco con i pensieri la linfa dei secoli, e leggo con interesse e stupore il pezzo edificante su Asia Argento dell’avatar letterario Barbara Costa. La sua volontà di fare un mito del nulla, evocando argomenti che, naturalmente, vanno ben oltre questa ragazza interrotta, fragile, sbadata o svagata, estemporanea, come solo poteva esserlo Marylin Monroe, una misfit dalla imbarazzante, stupefacente e conturbante fragilità e bellezza.

Eppure, quale abissale differenza tra le due donne.

Marylin, per cui provo una sconfinata e complice malinconia, la Costa non la nomina neanche nel suo articolo. E avrebbe dovuto, date le sorprendenti analogie, e soprattutto le notevoli differenze con Asia, giacché un reale termine di paragone, tra le due, è improponibile, se non per sottolineare le plateali contraddizioni che le distinguono. Una è la stella, un tragico e ambiguo mito immortale, l’altra, più o meno una meteora.

Impossibile, per me, provare per Asia la stessa empatia che provo per Marylin, per questa donna a torto inchiodata all’immagine delle diva “platinata e vacua, magari felice di esserlo”; per questa creatura assolutamente anti-conformista, profonda, molto umana, generosa, totalmente estranea al denaro, estremamente intelligente e dotata di una sensibilità morbosa, che ha sempre flirtato con la morte; per questa donna eternamente insicura di sé, timida, funestata dall’insonnia e ricca di una bellezza oltraggiosa, “quasi irreale, radiosa, di una vitalità sconfinata”, ma “predestinata dalla sua singolarità a un ruolo di vittima… la creatura sacrificata sull’altare all’invidia degli dèi è sempre la più giovane e la più bella… l’intera storia di Marylin assomiglia alla sequenza di un banchetto sacrificale: tutti si sono cibati, o volevano cibarsi, simbolicamente o letteralmente, del suo corpo…”. Una donna distrutta dalla sua infanzia infelice, da un mondo che non riconobbe la sua anima, dal letale e inutile mito della psicanalisi (plagiata a tal punto, che ancora oggi un’importante fondazione psicanalitica, in Europa, riceve milioni di dollari di royalties sulla sua immagine, che detiene), dal suo impotente e ambiguo analista, dagli uomini che la umiliarono, a partire da quel bastardo di Arthur Miller, che l’aveva sposata, e dall’attore shakespeariano Laurence Olivier, con il quale lavorò, che per lei provò solo disgusto. Unica eccezione, Joe di Maggio, l’uomo che l’amò profondamente, e che gli rimase sempre accanto, anche dopo il divorzio.

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“…adunava sentimenti contrastanti, in chi la guardava: di possederla, leccarla, mangiarla, egoisti, fino allo sfinimento e, allo stesso tempo, di abbracciarla, baciarla, accarezzarla, proteggerla…”

Nata povera, da padre incerto, e “assediata dai fantasmi della follia che pullulavano lungo la discendenza materna”, a nove anni viene abbandonata da una madre instabile tra orfanotrofi e case-famiglie; adolescente, sarà Norma Jean, la ragazza di provincia senza istruzione che, tuttavia, mostrerà da autodidatta un profondo interesse per la conoscenza, la letteratura, l’arte; agli esordi, da attrice sconosciuta (all’epoca, fu per fame, come ammise con “adorabile candore”, che posò nuda per un calendario, “suscitando il morso della bellezza e del desiderio di milioni di persone” – leggenda vuole che di lei, oggi, circolino film porno di quella primitiva epoca della sua biografia), seguirà i corsi serali di storia della letteratura dell’Università di California a Los Angeles. Ormai passata alla storia come “Marylin”, a New York frequenta i circoli letterari, è amica di Truman Capote, si interessa al meglio della poesia americana del Novecento, e la sua biblioteca ormai vanta oltre quattrocento libri, dato che ama leggere sia i classici sia i contemporanei di tutti i tempi. Ma da adulta sarà anche la donna segnata dal destino che l’aveva preceduta. Sarà la donna dalla stupefacente promiscuità, dalla disinvolta bisessualità. E arriverà a darla a tutti, registi, produttori e attori, per soddisfare il suo desiderio di brillare nel cinema, per riscattare la sua miseria e, raggiunto il successo, esclamerà con ironica malinconia: “finalmente non dovrò più fare pompini, per lavorare”. Le umiliazioni che questa creatura incantevole subì dagli uomini e dalla sorte avrebbero lasciato segni indelebili. Famosa, e nondimeno tarata dal disamore di sé e da una strisciante follia, da un bisogno struggente di essere amata, desiderata, si travestirà, per non farsi riconoscere, e vagherà per le metropoli, in cerca di un perfetto e insignificante sconosciuto a cui concedersi, per sodomia, in qualche vicolo oscuro, e umiliare la sua incredibile innocenza. Nel suo discorso funebre, Lee Strasberg ritrasse così la sua potente vulnerabilità: “Aveva qualcosa di luminoso, una combinazione di pensosità, radiosità, struggimento, che la distingueva e allo stesso tempo faceva desiderare a tutti di parteciparne, di condividere quell’ingenuità infantile che era insieme così timida e così vibrante”. Ricordo la “perturbante e malinconica carnalità” del Black Session, la straordinaria serie di fotografie scattate dal suo amico Milton Greene; penso alla bellezza sconvolgente, allo stesso tempo seducente e dolorosa da guardare, di quella foto che la ritrae all’uscita dal manicomio in cui si era auto reclusa… cappotto nero, bavero alzato nel tentativo vano di nascondersi dalla folla di giornalisti che l’attendeva, volto spettrale, capelli sfatti, biondissimi, mobilissimi, di una bellezza selvaggia, rapinosa, perduta, che adunava sentimenti contrastanti, in chi la guardava: di possederla, leccarla, mangiarla, egoisti, fino allo sfinimento e, allo stesso tempo, di abbracciarla, baciarla, accarezzarla, proteggerla; penso a quella foto, da lei voluta, negli ultimi giorni della sua vita, in cui, come per presagio, si fa ritrarre, dal suo eterno amico e fotografo, dietro il portico di casa, in piena notte fonda, appoggiata a un palo della luce, sotto un flebile lume, con un cappotto scuro da uomo, più grande di lei, completamente struccata, e un buco nero le lampeggiava negli occhi, ormai perduta, obnubilata e abbattuta dagli psico farmaci, eppure eternamente bella, anche alla vigilia della fine.

C’è più verità sul suo volto, che su quello ostentatamente anticonformista di Asia. Altra vita, altra fame. Passando dall’una all’altra, da vette alte di potente e involontaria tragicità, cadiamo rovinosamente a terra.

*

Se è vero che il potere uccide l’innocenza, dobbiamo pur ammettere una buona volta che, superata l’infanzia, tutto è potere, forza di coercizione, seduzione e soggezione. Il potere del potere, e poi il potere del danaro, del sesso, della bellezza, delle parole, dell’intelligenza, della passione, della forza fisica. La ‘violenza’, ovunque voi vi volgiate, fa essenzialmente parte della vita. E ognuno di noi nasce con in dote una dose di opportunismo da spacciare; e se teniamo fede al movente di ogni nostro atto, all’amor proprio, vale solo la capacità di illudersi su stessi e di illudere gli altri sulle nostre illusioni, anche nell’incoscienza del falso! Voilà.

Se è vero che non c’è grandezza se non là dove un essere umano è solo contro tutti, nella disperazione o l’eresia, in Asia non vedo nessuna grandezza da esaltare. E se la sfacciataggine, il libertinismo e la durezza, in sé, per me non sono un problema, anzi; lo sono, però, quando sono più che altro una posa ostentata e sfoggiata da una giovane donna apparentemente più puerile e cinica che libera. Penso a uno scrittore, che da qualche parte nota: “Le imprese che si basano su di una tenacia interiore, devono essere mute e oscure, e per poco uno le dichiari, e se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso, addirittura meschino”. Penso alla potenza del silenzio di Vivian Maier, una grande fotografa postuma, che in vita ha fatto la bambinaia e non ha mai pubblicato niente, né ha mai fatto l’‘artista’, e ha condotto una vita modesta e appartata. Una donna strana, che viveva nei sotto-soffitti o nelle camerette delle case dove lavorava come bambinaia, di volta in volta. Nessuno sospettava cosa custodisse nella sua camera, che non apriva mai a nessuno, e chiudeva con il lucchetto. Cartoni e cartoni di migliaia di negativi e foto. Tutto fu scoperto, per caso, dopo la sua morte, in un baule, come in passato accadde per Emily Dickinson, che in vita non pubblicò mai niente. Le sue foto sono state acquistate recentemente, per caso, da un ragazzo in un mercatino dell’usato a New York, dove le cose della Maier, dopo la sua morte, erano state buttate, come roba vecchia su cui guadagnare qualche dollaro! Furono trovati migliaia di negativi in un baule. Oggi è stata consacrata, postuma, come grande fotografa. Il gesto esistenziale della Maier, involontariamente, è infinitamente più eversivo e potente di quanto possa essere mai quello di Asia, che, al contrario, indugia nel banalissimo e assai diffuso narcisismo infantile, immaturo, del mondo di Twitter e Instagram, a colpi di selfie e autoritratti a getto continuo (altra cosa sono i ritratti artistici, anche di grandi fotografi, della Monroe) che alimentano l’esibizione del suo fragile ego – e lei, ovviamente, vi dirà che è solo per lavoro.

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“Penso alla potenza del silenzio di Vivian Maier, una grande fotografa postuma, che in vita ha fatto la bambinaia e non ha mai pubblicato niente, né ha mai fatto l’‘artista’, e ha condotto una vita modesta e appartata”

Meno si è, e più si esibisce! Io stesso, non meno spregiudicato di Asia, ho sempre amato le ragazze un po’ rock, e le donne che vanno in moto, e anche quella femminilità sofisticata eppure carismatica, di temperamento, che, quando un uomo rompe davvero le palle, reagisce con un pugno in faccia, e a calci nel sedere; io, che ho lavorato nel mondo del cinema, e avuto il privilegio e l’onore, mio malgrado, di lavorare con attori internazionali, premi Oscar, di conoscere e fare provini con registi del calibro di Federico Fellini, Pasquale Squittieri, Tinto Brass etc.; io, che non ho il fisico degli intellettuali, dei filosofi, dei letterati e dei critici – che detesto e critico ferocemente da sempre – ma dell’esistenzialista dal fisico nervoso e atletico, dark, con gli anelli alle mani; io, che sono fotogenico, e assai adatto a prestarmi all’esibizione mediatica, e sono più narcisista di Asia – eppure, malgrado tutto, non mi sono mai fatto un selfie in vita mia, detesto farmi fotografare, e se proprio devo, che sia a tradimento, mai in posa; io, che non ho Instagram, né Facebook, né Twitter, né, addirittura, sono su Linkedin. Io, che sono iper-sessuale e iper-sensuale, ma non sono mai stato atavicamente attirato dalla pornografia sfoggiata, dal culto pop, contemporaneo dell’erotismo, e guardo alla sessualità, alla nostra parte più profonda – ammesso che qualcuno, oggi, sia ancora degno della propria profondità – come qualcosa che si fa e non si dice… non è una cosa da dire il mondo, ma da vivere. Il sesso è una potenza oscura e muta! Io, che sono sessualmente eversivo, ma sono tutto il contrario della posa rock-punk-dark sfoggiata da Asia, di questa travestita del male, al pari della scrittrice dark Isabella Santacroce, che, ahimè, per evocare il sacro e l’erotismo cita Georges Bataille – “io sono da sempre nella dimensione del sacro, così come era pensata da Bataille, ovvero quella degli estremi… il Bene produce frivola bardatura insensatamente aggiunta all’opera compiuta da Dio onnipotente… solo il male ha una distruttrice potenza, il Bene nulla distrugge, nulla crea” – un nevrotico affascinato dal male e dall’erotismo, come Nietzsche, un impotente e un casto, era affascinato dalla forza; un semplice elucubratore filosofico, pletorico del negativo, non all’altezza del suo squilibrio! Nessun miglior segno di falsità, per un’artista che si pretende profondo e libero, che citare prima di ogni altro Georges Bataille, parlando del male. Niente, qui, che sia autentico charme geologico, atavico, fascino della creatura, ma solo pornografia, ossia la sofisticata volgarità dell’umano. Fatevene una ragione.

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Certo, il lavoro di attrice, la timidezza, l’insicurezza, il paradossale bisogno di essere amati, nonostante tutto, la curiosità per l’arte e la letteratura, l’atavica ambizione, fanno parte anche di Asia. E anche lei, a un certo punto, per un periodo aureo, sarà dotata di un invadente bellezza. Il suo volto richiamerà tutta la linfa della bellezza irresistibile e ambigua di Lolita, a cui lei aggiungerà una certa congenita e attraente goffaggine, e qualcosa di torbido, del sottosuolo. Ogni uomo, qualunque uomo, guardando quel volto, allora, non avrebbe potuto non pensare, nudo e crudo, al desiderio di possedere quella creatura all’apice della sua impertinenza animale ed estetica, a succhiare ogni millimetro di lei, per rubare il sapore dei suoi baci e l’odore della sua pelle. A usarla per il proprio piacere. Penso a quelli che all’epoca del film di Abel Ferrara hanno avuto il privilegio di fotterla, di averla tra le braccia, e provo un po’ di invidia; oggi non la degnerei di uno sguardo. Ma, in fondo, a pensarci bene, lei non rappresenta un’eccezione. Di ragazze giovani, prorompenti di ambigua bellezza, sono piene le strade, oggi. Basta incrociare i loro volti, nei metrò, per strada, ai semafori, nelle biblioteche delle Università, nei bistrot. Ogni volta che ne vedo una, e la perdo, quando gira l’angolo, e mi oltrepassa, è un piccolo, struggente lutto.

Siamo sinceri. I due Donatello, i lavori con Abel Ferrara e Gus Van Sant? Exploit, fuochi fatui di un potenziale che non è mai fiorito in tutta la sua potenza, estensione. A una faccia giusta, a occhi torbidi e corrosivi – questo hanno sfruttato, di lei, Ferrara e Van Sant, la sua gioventù e la sua naturale vis ambigua, da caratterista – non è mai corrisposta una attrice dalla potenza innegabile, matura… e penso, come termine di paragone, alla bellissima e potente Cate Blanchett. Come regista, non è mai stata una potenza. Come scrittrice è mediocre, e quando non sembra esserlo del tutto, ciò accade perché pesca a piene mani nelle atmosfere dei suoi idoli letterari o cinematografici, e qualcosa ti rimane sempre attaccato addosso – ha studiato e digerito, tutto si impara, anche il vocabolario dell’inquietudine e del male, del sottosuolo… ho letto casualmente una sua recente frase in inglese, su twitter, riportata dai giornali, che voleva essere letteraria, profonda e poetica, e non è nessuna delle due cose, ma solo prosa infantile, disarmonica. E altro potrei aggiungere. Marylin Monroe, al contrario… trent’anni di vita su questa terra, quindici anni come attrice, e trentatré film, lavorando con i più grandi attori e registi del mondo, in parti memorabili. In Il Principe e la ballerina si rivelò molto più brava del suo co-protagonista, il gigante Laurence Olivier; nei diari che lei scriveva, e nelle conversazioni private con il suo psicanalista, che furono registrate e trascritte, emerge una donna profonda, tutt’altro che superficiale.

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E io sono qui, a dirvi e scrivervi che cosa, care donne? Che non ho mai pensato che gli uomini, in generale, siano superiori alle donne, o che le donne, in generale, siano superiori e migliori degli uomini! E affermo anche che nei confronti delle donne nutro una posizione da scettico che potrebbe facilmente essere scambiata per misoginia. Ma non è paura né odio per la donna. Semplicemente non credo nella Donna come non credo nell’Uomo, in un’entità astratta, generalizzata, fosse anche il Femminino. Quando sento sostenere che la donna sia meglio dell’uomo, “che abbia più…” etc., capisco immediatamente di trovarmi di fronte a qualcuno che non ha capito. Credo, in fondo, sia più realistico parlare di cambio di piani limitati, ognuno con i suoi pregi e i suoi difetti. Si passa, oggi, dall’Uomo alla Donna per cambiare prospettiva, nell’illusione della diversità, quando in realtà è la stessa irrealtà vista da un’ottica, sì, alternativa ma non meno debole. Ci siamo stancati dell’Uomo e adesso ci volgiamo altrove, l’altra metà del cielo, per tirare il fiato, per rinnovare le nostre illusioni stanche; e, dopotutto, perché no, se non altro per par conditio, ma senza illusioni filosofiche per favore! Io stesso, ho sempre accordato, umanamente, una qualche provvidenza e un credito unicamente agli incontri al singolare, individuali. Donne o uomini, poco importa. Malgrado, in quanto uomo, io possa trovare infinitamente più affascinante la donna: è la mia inclinazione sessuale a impormelo, la mia parzialità, e perché sono attirato da chi, allo stesso tempo, mi seduce ed è radicalmente diverso. Dalla particolare umanità delle donne.

Scrivo, qui, per affermare che non sono gli uomini a essere il male, care donne. È l’essere umano, in generale, a essere non di rado meschino, e pressoché tutti i moventi umani, anche quelli più nobili, sono in realtà fondati sugli istinti più impuri, più bassi: amor proprio, interesse, opportunismo, ambizione, desiderio, invidia, cattiveria, disonestà, gelosia, viltà, crudeltà. E se gli uomini sono affetti dalle tare più innominabili, anche le donne lo sono; solo la natura della tara cambia, non la gravità! Nella vita di tutti giorni si possono trovare infiniti esempi di bruttezza umana, tanto negli uomini quanto nelle donne. Alla faccia del Femminino.

L’episodio di cui è protagonista Asia Argento, in sé, è riprovevole, ma è vecchio come il mondo, e non è una prerogativa assoluta delle donne. Da che mondo e mondo, gli abusi e le alienazioni, sotto varia natura e gravità, sono sempre esistiti, contro le donne, gli uomini, i bambini. Contro tutti! Penso a quando vivevo a New York e, in certi locali notturni, ho assistito personalmente a episodi in cui delle lesbiche butch, quelle che fanno i maschi, attaccavano al muro, davanti a testimoni che non fiatavano, altre ragazze, completamente estranee e scioccate, e baciate senza consenso, frugate mani nei pantaloni. Episodi analoghi, aggressivi e predatori, mi sono stati riferirti anche da mie amiche e, a quanto dicono, non sono rari. Non risulta che queste frequenti pratiche ‘femminili’ siano mai state denunciate pubblicamente! Io stesso, da adolescente, ho subito vari tentativi di molestie, di attenzioni non gradite, sgradevoli, da parte di omosessuali, prontamente respinte. Esperienze analoghe, in seguito, da adulto, sono successe anche in ambito lavorativo. Sono situazioni molto frequenti. Mal comune, mezzo gaudio, care donne! Eppure non mi sono mai sentito o mai spacciato per una vittima, né ho mai gridato “al lupo!”, né sono mai andato dall’analista perché qualche sfigato gay ha tentato di molestarmi, quando non c’era assolutamente trippa per gatti, per loro; né, per questo, sono rimasto traumatizzato a vita, né ho maturato un odio atavico per gli omosessuali (Asia, dopo Weinstein, afferma di aver mutato radicalmente idea sugli uomini – in profondo disprezzo), a priori, a causa di questi incidenti, che poi sono lo specchio di un modo molto promiscuo, diffuso di fare, in quel mondo. E del mondo in generale, dove, a guardare bene, scorgiamo tutti: “l’orrore che scorre appena sotto le abitudini e le pratiche più correnti della vita e della società”, a vari livelli e sfumature. Né penso siano tutti dei “viscidi froci”, delle “checche di merda”, da prendere a calci nei denti, anche se il primo impulso è ovviamente quello. Queste osservazioni, ovviamente, non sono una giustificazione fatalista degli abusi. Ognuno di noi, prima o poi, molto più spesso nell’infanzia e nell’adolescenza, è stato vittima di qualche tipo di molestia o di un tentativo di molestia. Ma quando non si è più bambini, i veri indifesi, in certe situazioni c’è chi si difende, chi reagisce, e chi si paralizza o decide di venire a patti, per paura, per opportunismo, o per un misto di entrambi. A ventuno anni, l’età in cui Asia racconta di aver subìto l’abuso da parte di Weinstein, non si è più bambini. Alessandro Magno, intorno alla stessa età e nei dodici anni a seguire, conquistò l’intero Impero persiano, l’Asia!

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Fatevene una ragione, care donne. Il primo impulso che ha un uomo nei vostri confronti è predatorio. L’uomo, da sempre, valuta istintivamente se la donna che si trova via via di fronte è una creatura che amerebbe avere tra le braccia o meno, se vorrebbe avere un contatto fisico con lei. È inutile essere ipocriti. Sono i modi di conquista, eventualmente, a poter essere stigmatizzati, se proprio volete. Il caso Weinstein è un’estremizzazione, specialmente da parte di chi è molto ricco e molto potente, meschina, di un istinto assolutamente naturale nell’uomo, che, in sé, non è da biasimare in blocco. Solo il peggior femminismo, quello più perdente e deteriore, infatti, può scadere, con un tipico brainfart progressista, in un’omologia che vede in questa natura, in assoluto, il semplice maschilismo, una natura bieca, non-evoluta, con il risentimento a buon mercato di chi è stato discriminato e ha sofferto – e chi ha sofferto non è mai umile, ma ciecamente vendicativo. Anche il corteggiamento, in fondo, è un differimento, una sofisticazione rituale, retorica di un atto predatorio, in cui i due contendenti recitano una parte, che può o non può concludersi con l’assenso della donna a essere presa. E poi, in molti casi è lei a predare lui, soprattutto oggi, del tutto legittimamente. Il sesso, questa cosa che noi civilizzati facciamo, come diceva Baudelaire, con “organi escrementizi”, e che resiste alla pratica dissacrante, prosaica del bidè, è sempre un questione di mangiare ed essere mangiati, di vittima e carnefice! Il confine è molto sottile e fumoso, come in tutte le profonde faccende umane in cui vige, su tutti, l’amor proprio, il soddisfacimento del proprio piacere, dei propri bisogni e di tutta quella selva di moventi impuri che costituiscono il vero motore della natura umana. Possiamo attaccare addosso agli esseri umani tutta la cultura e la civiltà, il progresso che volete, ma l’istinto rappresenterà sempre il fondo oscuro dei nostri atti mascherati da civiltà.

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Ora, la lussuriosa e promiscua Asia si lamenta di essere stata mangiata dal potere cinico, baro e aggressivo di un maschio. È stata una molestia, uno stupro? Non lo so, non c’ero, e sarà la magistratura ad accertare la verità. Ma so, con assoluta certezza, che nello stesso momento in cui quell’uomo si presentò davanti a lei, nudo, coperto solo da un accappatoio, e le chiese insistente di farle una massaggio con la crema, in quello stesso istante lei avrebbe dovuto girarsi e uscire da quella stanza; e se non lo ha fatto, la colpa di quello che è successo dopo, è soprattutto sua. Lo ha detto anche Whoopi Goldberg ieri: “Se un uomo mi avesse invitato per un meeting in una stanza d’albergo avrei detto di no. Perché invece le attrici di ieri e oggi accettano queste condizioni?” Cosa ancora più clamorosa, poi, è il fatto che lei riveli, dopo essere stata “stuprata” una prima volta da Weinstein, di esserci ricascata una seconda volta, di essere stata “stuprata” una seconda volta da lui, quando, in Italia, accettò di farsi accompagnare dall’assistente di lui in camera, per discutere il lancio di un film che Asia aveva girato con lui, dopo il primo stupro!, B. Monkey; che dica di aver sempre rifiutato tutti i suoi regali, eppure si faccia fotografare, talvolta anche abbracciata, con il suo aguzzino, per anni, ai festival, e si giustifichi, anche qui, sostenendo di non essere riuscita a evitarlo. Questa sua atavica impotenza, e debolezza, come la chiama lei, è asfissiante, esasperante, irritante.

Penso a lei quando, intervistando un artista per cui stravedeva e da cui era sedotta, ma con cui non aveva rapporti diretti, a un certo punto esclama verso di lui, diretta e davanti alla telecamera, qualcosa del tipo: “Dopo l’intervista andiamo in camera da te”, con plateale allusione sessuale. Fantastico! Bella tipa. Ma immaginatevi se lo avesse fatto un uomo. Sarebbe stato licenziato, messo alla gogna e tacciato di sessismo, definito un molestatore, un potenziale stupratore, un viscido maiale, un satiro incallito. Con il clima di oggi, sarebbe stato lapidato. Niente di tutto ciò, ovviamente, è successo ad Asia, alla femmina dal seducente spirito rock. Chissà, se fosse accaduto a un uomo, Asia forse sarebbe stata tre le prime ad accusarlo. E noi uomini non siamo rock, siamo solo dei coglioni! E povera Jacuzzi. Un tempo poteva anche essere altro, evocare l’idea del rilassamento e, in un incontro a due, un fantastico conduttore di emozioni: l’acqua. Oggi è vista soprattutto come lo scannatoio di un impenitente satiro, un misogino maschilista, un viscido porco, un molestatore, un potenziale stupratore! Sventra papere! Addio mia cara Jacuzzi, non potrò mai più nominarti di fronte a una donna con tanta ammirata disinvoltura, senza essere considerato un MAIALE.

Penso al fatto che in tv, dal compiacente Gilletti, Asia vada a dire quello che non disse dalla Berlinguer a Carta Bianca, parlando dello stesso fatto, ossia che Farrow, nel famoso articolo contro Weinstein, a lei, nella trascrizione della loro telefonata, gli ha messo in bocca parole che non ha mai detto. E che malgrado i clamorosi fastidi che quelle parole, col senno di poi, le avrebbero ingiustamente creato, secondo lei, non mi risulta abbia querelato Farrow, e chiesto danni. Penso alla sua sfacciataggine, quando, si lascia andare a una delle sue improbabili affermazioni: “eh, guarda, infatti, in quella foto con Bennet, a letto, sono io la vera traumatizzata, guarda che faccia!”.

Penso al momento in cui si infastidì, dopo la denuncia, perché molte donne, in Italia, la attaccavano e giudicavano, per le sue plateali e indifendibili contraddizioni, e la sua risposta implicita, tra le righe, improponibile: “Ragazze, ma io sto lottando per la nostra causa, per le donne, che cavolo vi frega delle mie eventuali incongruenze, se io ho più o meno aggiustato a mio vantaggio certe verità, se ometto e ne invento altre. L’unica cosa che conta è la lotta contro il maschilismo, contro un temibile predatore. Perché non lo capite, perché mi date addosso?”, con una disposizione generale contro i maschi tutta politica, che, al limite, poco ha a che fare con una piena obiettività e verità, quella che rivelerebbe che, in fondo, lei e Weinstein sono due facce perdenti della stessa medaglia.

Ricordo quel suo film, girato da giovanissima, come protagonista, con l’attore Marco Leonardi (uno dei protagonisti di Nuovo Cinema Paradiso), dove lei recitava una parte che si attagliava alla perfezione all’immagine che all’epoca, giovanissima, lei amava dare di sé. Quella scena in cui sbatte al muro, con prepotenza e aggressività, un Leonardi intimidito, sopraffatto, passivo, a subire il fascino intimidatorio di lei; e lei che lo blocca con un braccio, e con l’altro gli infila violentemente la mano nella patta dei pantaloni, immagino con suo sommo piacere, dato che nella scena sottomette un uomo.

Penso ad Asia, quando da giovane, nelle sue interviste, sbeffeggiava quei ragazzi ingenui che si innamoravano di lei, che l’andavano a prendere all’aeroporto quando tornava dai suoi viaggi, e puntualizzare qualcosa del tipo: “poverini, non sapevano che avevo anche altri amanti!”. E penso a un’intervista di qualche decennio dopo, in cui lei, in lacrime, ammetteva sconsolata: “so che rimarrò sola, che non troverò più un compagno”, e mi fece tornare in mente quei ragazzi ingenui che lei tanto allegramente aveva disprezzato qualche anno prima, per il loro attaccamento e la loro voglia di averla come compagna. Naturalmente, secondo la sua logica tarata, furono loro i deboli perché “sentimentali”, mentre lei, oggi, avrebbe tutto il diritto di scadere nello stesso sentimentalismo, senza con ciò essere considerata una debole. Voilà. Solo loro, i maschietti, sono i deboli. Ricordo anche le sue recenti dichiarazioni sui suoi ultimi due compagni, Morgan e Michele Civetta, che ha accusato a mezzo stampa di non essere dei veri uomini, di essere degli irresponsabili (lei che, oggi, pretende di essere quello che spesso non è, un’adulta, e stra-parla della loro ‘responsabilità’; lei che, sparendo, non avrebbe nemmeno pagato l’onorario dell’avvocato, la Bernardini de Pace, che l’ha aiutata a riavere la custodia dei suoi figli), e allora sorge spontanea una constatazione: anche nel caso fosse vero, anche fossero degli scapestrati e dei rammolliti, si può allora obiettare che neanche lei è una vera donna, poiché li ha frequentati a lungo, se li è sposati e ci ha fatto dei figli. Una donna mediamente dotata di buon intuito capisce quasi subito la pasta di cui è fatto l’uomo che ha di fronte, specialmente se ha modo di frequentarlo per un certo tempo, prima di sposarlo e farci dei figli. Come si dice: “dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei”. Hai voglia, inoltre, a giustificarsi, a dire che Weinstein era un orco, un armadio, ricco e potente, e lei solo una piccola ragazzina di ventuno anni, indifesa e sprovveduta. Ad Asia allora piaceva spacciarsi per un Lupo, per una femminista e una donna alpha, e quando ne ha incontrato uno vero, si è trasformata in un agnellino remissivo, salvo poi rifarsi sugli sprovveduti ragazzini coi brufoli con cui talvolta si accompagnava.

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Penso a quanto sia curioso vedere una femminista dura e pura, dal pugno alzato, una misandrica, che in fondo risparmia solo gli uomini di turno che amerà per quel tanto che la sua volubile attenzione concederà loro, dire che Bourdain era un “uomo speciale”, anche e soprattutto perché: “si occupava di me e dei miei figli”; a quanto curioso sia vedere una donna, che ha certe convinzioni di libertà e di indipendenza, accettare di farsi regalare a fondo perduto 380 mila dollari, da parte di Bourdain, per problemi che riguardano solo lei (ma perché, al contrario, non si è rivolta alla sua famiglia?), che all’epoca non era né la moglie di Bourdain, né la madre di sua figlia, ma solo la sua compagna, non esclusiva, da qualche mese. Alla morte del compianto Bourdain si scopre che la sua eredità, in contanti, non ammonta a più di 1,2 milioni di dollari. Immaginatevi, dunque, un uomo, già divorziato, con una figlia piccola che adorava, che, anziché pensare a lei, facesse un regalo, a fondo perduto, alla Argento, di quasi quattrocento mila dollari, per risolvere problemi solo suoi. Fantascientifico. E a chi fosse tentato di rispondere che Bourdain temeva che la faccenda Bennet avrebbe danneggiato anche lui, io rispondo che è irrealistico. Bourdain se ne fotteva di tutto e di tutti.

Penso, udite udite, incredibile a dirsi, dato la personalità trasgressiva della figlia, al padre di Asia, che per difenderla, in un’intervista afferma candido, e forse senile, che sua figlia è una ragazza “pura”.

Penso alle tante menate che si dicono, da una parte e dell’altra, sulla storia di Asia con Jimmy Bennet; e io, più di trent’anni fa, ho avuto una storia di qualche mese con un’attrice inglese di ventisette anni, allora famosa, acclamata da tutto il cinema internazionale che contava, e considerata una delle donne più belle del mondo, progressista-comunista, che a metà degli anni Ottanta adorava Cuba e considerava il suo sistema economico una sorta di paradiso terrestre! Lavorammo insieme, sul set, per sette settimane, e tutti sapevano che stavamo insieme – dormivo con lei. Finite le riprese, andavamo nei grandi alberghi, a Roma, per conferenze stampa, e con il concierge mi faceva passare per suo nipote, e invece scopavano come conigli tutta la notte, con mio e suo sommo divertimento, al punto da lasciarsi andare, lei, a lusinghe imbarazzanti: “nessuno mi ha mai baciato come te, fotti come un adulto che ci sa fare”. E avevo quindici anni! Sono sempre stato precoce e a mio agio con il sesso, e in questa occasione non mi sono mai sentito una vittima, né considero lei una pedofila. Io stesso, da adulto, ho ricevuto un buon numero di pro-offerte sessuali da ragazzine quindicenni-sedicenni già sessualmente attive, eppure ho sempre messo dei paletti, mai accettato le loro avance. E dire che rimasi indifferente sarebbe una bugia, un’ipocrisia. Qualunque uomo che affermi candidamente di essere indifferente a certe creature, di non essere turbato, tentato e torturato fino allo spasimo da una tale offerta, mente spudoratamente o ha qualche difetto di alcova. La natura umana è complessa, mai morale! Cosa dovremmo dire di Pasolini? Che era un pedofilo, un frocio bastardo, che per di più approfittava della povertà e dell’ignoranza dei giovani sprovveduti che abbagliava con la lanterna del suo successo, della cultura, dei soldi e delle belle macchine? Cosa dovremmo dire del grande pittore Balthus, del suo rapporto ambiguo con le ragazzine, che rappresentavano le sue muse privilegiate nei quadri? Cosa dire di Charlie Chaplin, e delle sue passioni per le ragazzine? Cosa dire di Polanski, di Kevin Spacey, di Nabokov con Lolita. Tutti proscritti, da mettere al rogo? Non leggete più Nabokov. Non guardate più i film di Chaplin. Non leggete più Pasolini, non guardate i suoi film. Non ammirate le opere di Balthus. Cosa dire, poi, dei patologici e dysfunctional Orson Welles, Marlon Brando, Pablo Picasso, in ambito lavorativo, familiare e sentimentale? Cosa dire, inoltre, di questa frase emblematica dello stesso Welles: “In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù”?

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Penso alla regista francese Catherine Breillat, per cui Asia ha lavorato, che in un’intervista prende di mira il movimento femminista MeToo. Quella Breillat che ha definito, senza mezzi termini, Asia Argento: “una persona servile senza alcun timore nei confronti del sesso… L’ho conosciuta quando era molto giovane. Se c’è una persona che può difendersi, che non è timida nei confronti del sesso, è lei. Se c’è una persona a cui non credo, quella è Asia Argento. È una donna molto servile. Non le ho mai chiesto di baciarmi i piedi, ma lei è quel tipo di persona”. E allora penso a lei, che gioca tutta la vita a fare la maudit rock, l’ambigua e torbida all’ennesima potenza, la femminista con le palle, e poi, ahimè, fa la vittima perché dice di essere stata travolta dell’ambiguo e il torbido, dall’orco Weinstein, a cui non ha saputo reagire, e dal più compatto Bennett, a cui, ancora una volta, non ha saputo reagire – “mi sono arrettilata”, dice lei. Due personalità e due fisicità diametralmente opposte, e da nessuna di queste due è riuscita a difendersi, a dire un no secco, a voltare i tacchi e andarsene. Una che, oggi, dopo essersi spacciata per una femminista dura e pura, una donna alpha, una dura, una predatrice, un lupo, ci viene a dire che, no, non è così, e che tutto ciò nasconde solo fragilità, insicurezza, poco o inadeguato amore in famiglia, esperienze dure e ciniche in giovanissima età, insomma traumi. E detto da una che ha sempre osannato l’educazione siberiana, Dostoevskij, il sottosuolo. Prima si spaccia per una “stronza” col botto, libera di una libertà estrema, assoluta e poi, oggi, spiega tutto con una tara di fondo che l’ha sempre funestata, con il suo essere ingenua e maldestra; e, peggio ancora, riporta tutto ciò che lei, sfoggiata immoralista, ha subìto recentemente, al più scontato moralismo, e al politicamente corretto. A un racconto che emana il fetore insincero dell’auto-giustificazione assoluta. L’immoralista che viene a patti con la morale, con lo sguardo moralista, è più spregevole del dogmatico che fa aperta professione di morale.

Barbara Costa dipinge Asia come una faro di libertà e sovversione, io, al contrario, constato amaramente che, non avendo avuto il coraggio, vent’anni prima, di denunciare Weinstein, perché intimidita dal suo potere, nel momento in cui lei, oggi, invece decide di cavalcare l’onda delle giuste accuse contro di lui, lo fa contro un produttore ormai decaduto dall’essere il terzo produttore più importante al mondo, e una potenza assoluta di Hollywood, ad essere solo il n. 200 del ranking mondiale cinematografico. Penso, insomma, a una Asia ridotta ad accusare un Re ormai nudo, a usare, oggi, la logica vile di chi è debole con i forti, e forte con i deboli. Altre donne, all’epoca dello stra-potere di Weistein, non reagirono allo stesso modo di Asia. Si parla di libertà, in Asia, e io vedo in lei solo qualcosa di irreparabilmente rotto, da sempre, una tara di partenza non indifferente, che non manca di un certo fascino. Una tara ammessa dalla stessa interessata, a Verissimo, l’altro giorno, dove lei pare aver ridotto tutta la sua apparente voglia di libertà, i suoi comportamenti provocatori, a traumi infantili, al suo non essersi mai liberata della ‘bambina’ che è in lei – “è ora di liberarsene”, afferma accorata, inserendosi per direttissima nel quadro dei casi umani, in quel territorio dove i pregiudizi e limiti di un essere umano non muteranno mai più, come per paradossale incanto, in mito, in potente e contraddittoria arte. Stremata, infine, ha ridotto tutta la sua pretesa libertà a mero sigillo di una segreta debolezza, a malinconica diserzione, di fronte alla libertà che ha sempre professato… grandi qualità – il genio – si accompagnano sempre a grandi difetti, e tra il genio e il semplice caso umano, tra il sublime e ridicolo, c’è un confine sottile.

Penso, infine, a quelle donne che votano, a priori, sempre per le donne, che stanno sempre da loro parte, per partito preso, poca importa se una delle persone che hanno accanto, un uomo, è meglio di una donna. Come affermato, con scarso acume, qualche tempo fa, da Eva Grimaldi, e pensato, sono sicuro, da legioni e legioni di altre donne. E io, povero stupido, che non voterei mai e poi mai a priori per uomo! Penso anche all’attrice Pivetti, che dichiara a mezzo stampa di essere stufa e delusa degli uomini, e si butta sulle donne. Buona fortuna! Penso anche alla cantante Paola Turci che, anche lei, sempre a mezzo stampa, afferma di essersi stufata degli uomini, e si butta sulle donne! Buona fortuna! Penso a Imma Battaglia, la fidanzata della Grimaldi, che si atteggia a maschiaccio duro, a butch, e poi la vedi all’Isola dei famosi, crollare e frignare letteralmente come una bambina perché ha fame, e vantarsi pubblicamente, poverina, tutta contenta e ansiosa per il fatto che la Grimaldi gli ha confessato che lei (la Battaglia), una donna, fotte meglio di Gabriel Garko, un uomo! Le lesbiche, ahimè, hanno quasi sempre questo genere di ansie antagoniste, e complessi, nei confronti dei maschi. Penso anche a Monica Guerritore, quando sostiene, con piglio spregevolissimo, che in generale sono solo gli uomini ad avere gravi problemi, che sono loro a dover farsi curare, che hanno bisogno di aiuto, e che solo le donne, quando hanno problemi, vanno avanti, evolvono, migliorano! Penso, inoltre, a quanto sia vergognoso sentire dire, come mi capitato di sentire in una puntata di X Factor dell’anno scorso, che LA civiltà di una cultura, IL valore di un paese, si vede da come si tratta una donna, come se tutto dipendesse e si riducesse a questo scioccante singolare, a loro! Con una difesa delle donne perdente, falsa, ipocrita, interessata, tendenziosa, intellettualmente disonesta e miope, folle, imperialista, razzista e sessista, esattamente come il mondo patriarcale che pretendono di combattere e abbattere. Care donne, non illudetevi troppo su voi stesse, collettivamente. Sarete anche diverse dagli uomini, ma siete anche voi esseri umani, umane troppo umane, fragili e forti allo stesso tempo, vulnerabili, e annegate anche voi nelle comuni tare che discendono da questa impura genealogia. L’articolo della Costa, che lei lo voglia o meno, e per quanto critichi il movimento MeToo, alimenta più che altro questo mondo, quello del più disastroso femminismo.

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La Costa non vorrà far passare Asia come una novella Bukowski al femminile, o come una impavida Anna Karenina in mezzo a un legione di Vronskij cretini, una ragazza che non è mai stata una disagiata, un’autentica outsider? Prima, la protezione dell’agio borghese familiare, la luce riflessa del suo rango sociale e artistico, compreso il parterre di potenziali conoscenze, e poi il mantenimento coniugale, sfruttando a suo piacimento, da femminista dura e pura, una antica istituzione patriarcale, maschilista, a colpi di assegni di 2000-3000 euro al mese, e annesse costose spese scolastiche per i figli; e non può vantare nemmeno il supremo coraggio di un Wittgenstein, filosofo che disprezzo, ma uomo che ammiro, figlio di una potente e ricchissima dinastia di banchieri, lui, che poteva avere tutto, compreso la serenità economica per coltivare i suoi studi, e invece rinuncia a tutta la sua eredità, pagando sulla sua pelle il coraggio di questa sua negazione radicale. Asia non ha mai vissuto nemmeno la vita Bukowski, per esempio, un cazzuto che per tutta la vita ha sempre fatto lavori umilissimi, che iniziò a scrivere, alla grande, con tutto il potente fetore della vita vissuta, solo dopo i cinquant’anni, dopo aver accumulato un robusto e doloroso bagaglio di esperienze; e Asia non è neanche l’Henry Miller del mirabile libro su Rimbaud, Il tempo degli assassini, scritto all’epoca in cui era ancora una sorta di barbone, di bohèmien disadattato, che vagabondava con curiosità febbrile in giro per New York, per immergersi nel suo cuore di tenebra, come pochi all’epoca, imparando a conoscerla da dentro, in tutto il suo splendente fetore. In mezzo a tanta autentica vita, l’io drammaturgico di Asia, di questa perdente di qualche successo, e mai una un’autentica perduta, come lo era Marylin, non regge il paragone. La differenza di rango tra i due termini è abissale.

E poi, la Costa non vorrà farci credere che l’ecumenismo sessuale di Asia, la sua bocca buona – “per uomini che non sono granché, artisti brutti, falliti, scrittori con cani piscioni… e registi nanetti 36enni a letto amanti penosi… uomini col cazzo moscio irrecuperabile, bamboccioni, prepotenti perché vigliacchi” – siano il segno di grande arte esistenziale, di tragica e grottesca libertà? Quando è un cliché abusatissimo e meglio vissuto nei secoli dei secoli, con più verità – altra fame, altra vita – dalle donne da marciapiede, le creature meno dogmatiche che possano esistere, aperte a tutto e a tutti. Che io possa credere, anche solo per un attimo, che questa misandrica col pugno alzato possa mancare di affermare con disinvoltura: “a letto sono meglio le donne, sanno dove toccarti”, e che tu, Barbara, possa mancare di confermare, con solidarietà femminista: “e come darle torto”? Ahimè, come non riconoscere, in realtà, che gli spregevoli limiti da voi giustamente riconosciuti in tanti uomini, appartengono a tutti gli esseri umani, in generale, anche alle donne?! Chi può negare, infatti, che gli stessi ignobili limiti – e altri, che sono prerogativa esclusiva delle donne – o le stesse pietose contraddizioni, che voi elencate con tanta disinvoltura contro gli uomini, non si trovino nella stessa misura anche nelle donne? Io stesso lo riscontro tutti i giorni, platealmente, eppure, mio dio, non mi sognerei mai di usare questi evidenti limiti per massacrare una parte, a vantaggio dell’altra. E se ci limitassimo a registrare la generale e irrimediabile fragilità e vanità umana, e provassimo un po’ di ironica pietà? Riconosco, con grande serenità, che la donna, potenzialmente, è più radicata degli uomini nella vita, ha diverse zone erogene, e che la sua complessa libido le conferisca un peso tutto particolare, misterioso, eppure, riconosco anche, altrettanto serenamente, che la maggior parte degli esseri umani, in generale, vivono quasi sempre al di sotto del loro potenziale umano, sessuale, immaginale, intellettuale, e che la maggior parte di loro non sono fatti per essere liberi. They are not built for freedom… they are beyond repair. E poi, volendo usare lo stesso linguaggio moralista di Asia: oltre che stronzissimo, non è razzista, discriminatorio, dare del “nano” a un uomo – impotente forse perché anche nano?! Quintessenza dell’insulto: uomo, nano e impotente! Logica tanto implacabile, quanto esilarante. Barbara, pensa a Leopardi, a questo illibato e virginale, uno che non ha mai trombato in vita sua, e forse era anche omosessuale, o forse bisessuale, sempre e comunque represso; a uno che era più o meno un nano, giacché era alto solo un metro e quarantuno – eppure, altro che Asia, che al cospetto di questo gigante, di questo amaro, impietoso e lucidissimo genio, appare essere la vera nana. Pensa anche al geniale pianista Petrucciani, cara Barbara, a questo ennesimo fragile nano, storpio, uomo decisamente brutto, eppure indubbiamente figo, larger than life, dotato di charme da vendere, al punto che si trombava solo belle donne ‘normali’, che cadevano ai suoi piedi e, a loro volta, testimoniavano del suo insaziabile appetito sessuale.

Impossibile ridurre tutto a una lettura femminista – in difesa della superiorità e supremazia del Femminino – e pornografica, a una pretesa non plus ultra lucidità, e quasi che i geni di questo secolo dovessero essere – perdonate la comica iperbole – Valentina Nappi e Rocco Siffredi. Voi donne meritate di meglio.

Émile Ronin

Gruppo MAGOG