02 Dicembre 2022

“La vita spirituale e l’orazione”: il libro amato da Cristina Campo (ovviamente scomparso)

Il viso appare levigatissimo, segno di una pietà che sa essere crudele, presa che non fa sconti. Nata Jeanne-Henriette, dopo aver ghigliottinato la vanità del nome mondano, rinacque Cecilia, come la vergine, nobile, martire, patrona della musica che morì – mai mordendo – nell’inno a Cristo. Veniva da famiglia colta, di architetti, educata ai vertici dell’intelletto, ai favori alla nazione: figlia spirituale di dom Prosper Guéranger, restauratore dell’ordine benedettino francese, pioniere del risorgimento liturgico (è d’importanza perfino sovversiva, in epoca di sovvertimento dei segni, il suo L’Année liturgique), fondò a Solesmes un monastero femminile. Era il 1866 e Cécile Bruyère aveva vent’anni. Quattro anni dopo, papa Pio IX la conferma Abbadessa del monastero benedettino, affine alla Congrégation de Solesmes.

Donna d’indole dura e devota, dalla straordinaria tenacia, Madame Cécile avviò altre due fondazioni: le leggi “sulle associazioni” del 1901, varate dal governo di Pierre Waldeck-Rousseau, massone, che portarono alla soppressione degli ordini religiosi e dei conventi, la obbligarono all’esilio. Morì nel 1909, indomita, nell’isola di Wight. Scrisse un libro, ad uso delle consorelle, La vie spirituelle et l’oraison, uno dei capolavori della spiritualità moderna.

Il libro – beatamente anacronistico, cioè senza tempo – è un manuale per avviarci alla vita contemplativa che non indulge nel sentimentalismo, non divaga nella moda misticheggiante dei puri di cuore. È una sorta di libro di guerra, per samurai dello spirito, atto a levigare l’anima fino al cristallo, attraverso la pratica, la didattica di una disciplina estenuante. Libro, cioè, che non riferisce cronaca di gemiti e lamenti, ma si presenta giacimento di azioni marziali. Dietro il nome fittizio di Benedetto P. D’Angelo, che favorì la traduzione del libro come La vita spirituale e l’orazione per Rusconi, nel 1976, si nasconde Cristina Campo, al secolo Vittoria Guerrini.

“Più di tutto, Madame Cécile è una umile e grande teologa, e sono prodigiose la grazia e la semplicità con le quali riesce a rendere evidente che la scienza del Logos – come ben sanno i cristiani orientali – è il cuore più intimo e insieme la più vasta circonferenza di ogni vita spirituale”.

Così scrive nelle ‘ali’ del volume Benedetto/Cristina Campo. Nella Prefazione, senza firma, il libro viene presentato come un oggetto estraneo all’oggi, alieno alle bordature sacre, alle scelte realmente estreme:

“Il libro non si rivolge alle anime superficiali né agli spiriti leggeri, impegnati dalle sollecitudini del mondo; gli argomenti trattati in queste pagine li farebbero senza dubbio sorridere: orazione e contemplazione appaiono loro tutt’al più come pie chimere; inutili e inoffensive agli occhi dei più ben disposti, da altri sono giudicate in genere come una specie di malattia mentale o di bizzarro fenomeno prodotto dal fanatismo o dalle allucinazioni. I veri figli della Chiesa cattolica pensano altrimenti: essi sanno che l’uomo è fatto per unirsi a Dio, che Dio è il suo fine”.

Il libro di Cécile Bruyère, fieramente inattuale, fermamente inattingibile, è l’ultimo di un ciclo di testi introdotti e pensati da Cristina Campo per Rusconi: L’uomo non è solo di Abraham J. Heschel (1970), Attesa di Dio di Simone Weil (1972), i Racconti di un Pellegrino russo (1973), i Detti e fatti dei Padri del deserto (1975). Spiritualità tradizionale e irrequieta, assoluta e insoluta, insomma. Di fatto, l’introduzione sotto altro nome al libro di Cécile Bruyère, pubblico nel novembre del 1976, è l’estremo gesto della Campo, ormai satura di male, che morirà due mesi dopo, nel gennaio del ’77.

Libro crudo per limpidezza, bello perché la verità si esprime in una forma impeccabile, a cui nulla può essere sottratto – pregare chiede una grammatica, piegare il corpo verso una sintesi alfabetica, a farsi capolettera miniato dal Figlio, il piagato – La vita spirituale e l’orazione è naturalmente scomparso dal comparto editoriale italico. Sfugge alla moda dell’odierno spiritualismo spiritista, da belle storielle e cicli di fiabe religiose, anodine, da gite in monastero a far scorta di marmellate da regalare per le feste (dopo essere transitati, va da sé, con pia dedizione, in chiesa, sfiorando messa). È uscito, in edizione claustrale, semiclandestina, dieci anni fa, per le edizioni dell’Eremo della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano, Lucca, nella stessa traduzione di allora, di Lorenzo Fenoglio. Va rimeditato, se non altro per ustionare le nostre pretese da guru del rione, per somministrare un po’ di acido alla protervia dell’io, canaglia.

Qui riportiamo alcuni brani da La vita spirituale e l’orazione.

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“Senza dubbio, la maggior parte di coloro che si salvano non raggiunge l’unione con Dio prima della morte; ma questo non autorizza a concludere che tale unione fosse loro impossibile e che Dio abbia negato loro i mezzi per raggiungerla”.

“Pensiamo ai digiuni, alle veglie, alle umiliazioni che si imponevano i Padri del deserto, alle interminabili ore che essi dedicavano alla preghiera mentale e vocale, al loro mirabile distacco da tutte le cose, alla loro sottomissione impareggiabile ai maestri spirituali che avevano scelto, e non farà meraviglia che Dio abbia ricompensato tante fatiche con un eminente dono di contemplazione e di unione con lui. Era sempre un dono, un dono sproporzionato alle loro fatiche, ma che stupisce meno in loro che quando giunge, quasi inaspettato, a ricompensare le nostre disposizioni ancora così poco generose”.

“Progrediscono a passi più rapidi coloro che si spogliano spontaneamente e costantemente di ciò che hanno o di ciò che sono. ‘Chi di voi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo’”.

“Per sviluppare in noi la vita spirituale e ottenere lo spirito di preghiera, dobbiamo dunque non solo conoscere i nostri difetti e combatterli, ma anche allontanare le preoccupazioni vane e reprimere la moltitudine e la confusione dei pensieri inutili, tutto ciò che ha radice nella leggerezza e nella instabilità del nostro spirito; mortificare la curiosità, cioè il desiderio di sapere, di vedere e di sentire, che dissipa e disperde la nostra anima, facendole perdere il gusto delle cose spirituali”.

“Questi uomini di costumi angelici conoscevano bene l’unione estatica. Però, contrariamente a quanto avviene oggi, essi prestavano molto minore attenzione agli effetti esterni dell’estasi, effetti la cui importanza è minima, perché si riscontrano anche nell’estasi naturale e perfino nelle estasi che possono avere origine diabolica; ad essi interessava invece la presa di possesso dell’intelligenza e della volontà da parte di Dio, fino al limite dell’alienazione dei sensi. Questa presa di possesso non può essere di lunga durata e solo un miracolo può prolungarla per più ore”.

“L’unione estatica produce nell’anima effetti mirabili: un ardente desiderio di servire Dio, un assoluto disprezzo del mondo e delle realtà della terra, una più profonda conoscenza di Dio e di sé, una sete ardente di Dio, accompagnata da un vivo desiderio di vederlo, una ferita d’amore a un tempo deliziosa e dolorosa, una grande gioia interiore che a volte si manifesta con forme piene di fascino. Alcuni salmi furono scritti in stato di unione estatica, come è facilmente riconoscibile dallo slancio che li caratterizza”.

“Il contatto con il demonio viene percepito quasi alla superficie dell’anima, sotto forma di bruciore insieme spirituale e sensibile prodotto dalla vicinanza di uno spirito infiammato. Se l’anima persiste nell’unione con Dio, se è forte, il dolore, benché acutissimo, le è sopportabile; se al contrario essa cede a qualche leggera imperfezione, anche semplicemente esteriore, il demonio avanza di altrettanto e affonda la sua terribile bruciatura fino a che con atti generosi l’anima non riuscirà a respingerlo al di fuori”.

“Per tutta la durata dell’atto della contemplazione, che è una partecipazione alla beatitudine, la sofferenza è pressoché impossibile; essa rivendica i suoi diritti soltanto quando l’anima ritorna in se stessa e pur permanendo lo stato di unione, si interrompe l’atto della contemplazione”.

Cécile Bruyère

Gruppo MAGOG