03 Maggio 2018

“Coppi e Benvenuti, anime diaboliche come la mia”: storia di Ettore Bonato, un incrocio tra Raymond Carver e Buster Keaton

Amo gli squinternati, lo sapete. Faccio ridere i bambini, mi do alla dialettica coi vecchi, sono inadatto a stare con gli adulti. Sto dalla parte degli squinternati. Perché è lì, nello screzio al creato, nel buco in fronte al mondo che sgorga la letteratura. Ettore Bonato l’ho conosciuto a Rimini, praticando in un quotidiano ‘locale’, come si dice. Armeggiava con la scrittura. A suo modo. Da visionario e da sgrammaticato. Un incrocio tra Raymond Carver e Buster Keaton. Insomma, a me la sua cruenta ingenuità piacque assai. Un paio di anni fa, per l’editore Guaraldi, che è stato, probabilmente, dopo i molossi editoriali, il più grande editore di questo Paese di illetterati, Bonato ha raccolto i suoi racconti ‘dal sottosuolo’ in un libro, Romanzo Riminese. libro BonatoIl libro, che viene presentato oggi, 3 maggio, alle ore 18.30, presso La Cantinetta dello Stradone a San Marino (Piazzale lo Stradone, 17; andateci se potete perché contattare l’estremo pudore di Ettore è una esperienza che sfocia nel mistico), è adornato da una presentazione e da alcuni acquerelli di Vittorio D’Augusta, che è lo zio di Ettore, ma è soprattutto uno dei grandi, grandi artisti di oggi – ha cominciato negli anni Sessanta, è stato, tra l’altro, direttore dell’Accademia di Belle Arti in Ravenna, e la sua storia, se vi piacciono le grandi firme, è stata riconosciuta da Renato Barilli, Marisa Vescovo, Achille Bonito Oliva, Claudio Spadoni, Antonio Paolucci. Bonato, con la scafata ambizione di un autore americano, si descrive così: “Sono nato nel 1960 a Rimini nel Borgo San Giuliano, dove ancora vivo. Sono rinato nel 2008, dopo trent’anni di solitudine che avrebbero domesticato perfino i tori di Pamplona, liberi, ma con il destino segnato. Non sono vecchio, non sono neppure giovane, ma ho vissuto abbastanza per dire la mia”. Di lui amo i ritratti sportivi, che s’impastano nella sua biografia: quello di Valentino Rossi e di Nadia Comaneci sono bellissimi. Anche nel racconto inedito che pubblichiamo, dal titolo liturgico, le figure, di desolata grandezza e di eroica inquietudine, di Coppi e di Benvenuti s’allineano al talento di Bonato, uno che costruisce un bestiario degli sconfitti.

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Padre mio

Quando le idee, le fissazioni del padre ricadono sul figlio.

Ho avuto un padre pesante, di successo nel suo campo, conosciuto.

Lo ricordo vestito non tanto bene, quasi come se gli indumenti belli gli togliessero la fama di geometra in mezzo ai muratori, gente sveglia, furba e indocile.

Ci siamo sempre un po’ scannati durante la vita, un po’ per tutto: e in quell’appartamento ci vuole il camino, e tu devi andare dal maestro di sci, e quei denti in fuori devi metterli a pari, al pallone non hai il tiro, a nuoto hai paura dell’acqua, insomma un nemico dolce e conflittuale.

Per non parlare delle sue idee, prese di posizione, alfine dogmi.

Fausto Coppi, ciclista morto prima che io nacqui, per lui era come Dio. Un po’ come quelle torme generazionali per Pantani.

Saronni e Moser, paladini delle solite torme, per lui erano pezzi di tronco che galleggiavano in un mare nuovo, uguale, senza odore né fama, senza amore né fame, senza nulla anche se avevano tutto.

Poi aveva anche gli uomini contro, che lui bollava sistematicamente.

Uno di questi uomini era Nino Benvenuti, che proprio in questi giorni ha purtroppo avuto un malore da cui si sta riprendendo.

“Non ha la castagna”, diceva mio padre, “vale poco, è sopravvalutato”, “quando incontrerà uno che …mena sarà finito.”

In effetti venne fuori Monzon, The wall, che pose fine alla sua carriera, a dir la verità monumentale e bagnata dalla sempre onorevole medaglia olimpica, conquistata, come fece Clay, nella città eternamente malata, Roma.

Ma non è finita qui.

Il figlio di cotanto padre, io, scrivo e leggo da molto tempo, ma l’odio che avevo per mio padre si è trasformato in un idillio, in una resa incondizionata, in una pace.

Infatti Benvenuti, mitico mulo di Trieste, città che adoro, in effetti non aveva il pugno, la famosa castagna.

Coppi? È diventato il mio idolo. Infatti sto leggendo un libro del divo Gianni Brera, un vero letterato prestato al giornalismo, che prima di elucubrare neologismi sul calcio si fece le ossa con il duro mestiere del ciclista e portò le vendite della Gazzetta dello Sport, detta La Rosa, ai massimi livelli di vendite.

Il libro si chiama “Coppi e il diavolo”, me l’ha regalato mia moglie, frugando un po’ dappertutto.

Anche Gianni Brera, da me all’epoca ritenuto un pallone gonfiato, ora è sistemato nel mio empireo, insieme a mio padre Bob.

Poi ho preso su Amazon 3 libri suoi, tra cui “Il corpo della ragassa”, da cui è scaturito un film, anche se per ora non li sto leggendo, ma li suggerisco a tutti i lettori.

Combinazione, sia Coppi che Benvenuti erano uomini inquieti e irrequieti, sia nel campo sportivo che in quello amoroso. Coppi era odiato per via del suo amore per la Dama bianca, conosciuta e bazzicata quando lui (e lei) era sposato. Ma anche Benvenuti era immerso in una relazione scabrosa. Infatti i 5 figli avuti dalla prima moglie non lo chiamano più, non hanno un dialogo con lui, lo intralciano, lo odiano.

“Non odiate mai il padre, lui vi perdona e vi perdonerà sempre.”

Invece sia Nino che il Fausto all’epoca erano definiti rivoltosi e peccatori, due uomini da evitare e da condannare. Meglio il frate Bartali.

Nello sport erano due anime diaboliche: se vincevano era d’obbligo, se perdevano non si sa dove andassero, forse dove il vino è più graduato, dove il sole è meno screziato, dove il cielo è quasi sempre nero, dove vanno a morire gli elefanti ma per una sola sera, quella decisiva.

Onore a Coppi e Benvenuti, due eroi, nel bene o nel male, di mio padre e, ora, anche i miei…

Ettore Bonato

Gruppo MAGOG