26 Ottobre 2023

L’illusione dell’orgasmo. Sugli amori difficili e sulla leggerezza che ha rotto i co***oni (ma Calvino non c’entra)

«Siamo abituati a pensare che la leggerezza sia magari stupidità, cretineria. Non è così: nella leggerezza c’è anche tanto senso, da Calvino che lo raccontava in avanti, è sempre stato così».

Queste le parole di Luciana Littizzetto, recentemente nominata consulente per il nuovo Salone del Libro di Torino. Parole che riecheggiano – male – una citazione falsamente attribuita a Italo Calvino, appunto. Non è la prima volta che si attribuiscono all’autore ligure citazioni errate. Di solito, però, si tratta di frasi grossolane che agli occhi dei più acculturati suoneranno subito bizzarre. Penso agli evidenti errori grammaticali (“mangeremo”, “dormiremo”, futuri in luogo di condizionali) di Verresti, poesia dagli echi buzzatiani attribuita ora a Gli amori difficili, ora a Prima che tu dica «Pronto». Questa, invece, è particolarmente insidiosa, sia perché approdata persino al Festival di Sanremo grazie a – o per colpa di – Sabrina Ferilli, sia perché attribuita a un’opera specifica, le Lezioni americane, e in particolare la prima, quella sulla leggerezza appunto. La frase recita: «Prendete la vita con leggerezza, che [sic] leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore». Di chi è la frase incriminata? Il filologo Giuseppe Regalzi è riuscito a dimostrare che essa fu scritta per la prima volta da tal Mattea Rolfo, cuneese, professoressa di italiano che nel suo blog ha parafrasato molto liberamente la lezione di Calvino. Inutile dire che il messaggio originario viene completamente travisato. In questo articolo cercherò di spiegare il perché.

Prima, però, mi sia consentito un breve excursus. Per fortuna o purtroppo, Calvino è diventato, con Pasolini, Eco, Moravia, Ungaretti e pochi altri, uno di quegli intellettuali contemporanei onnipresenti, uno di quelli che hanno avuto la sfortuna di nascere nel mondo delle interviste e della Tv e che di conseguenza saranno perennemente citati a sproposito. Insomma, un intellettuale condannato a essere pop. Il pensiero di Calvino finisce per essere condensato in quell’unica frase, utilizzata da psicologi, fuffologi, motivatori e guru dell’amore di ogni specie. Già, perché l’amore post-moderno non può che essere all’insegna della leggerezza.

A questo proposito, vi voglio raccontare un aneddoto. Qualche mese fa ho conosciuto un ragazzo. Abbiamo parlato a lungo e ho provato una sensazione strana e sgradevole. Stava violando la mia intimità, stava entrando nella mia bolla prossemica. L’ho studiato meglio e ho deciso che la cosa non mi dispiaceva affatto. Mi ricordava una statua greca o romana, forse uno di quegli illustri amanti dell’antichità. Lo chiamerò Antinoo. Ci eravamo conosciuti da un’ora e già mi diceva che saremmo rimasti in contatto per sempre.

Passano i giorni, le settimane, i mesi. Ci vediamo per caso un paio di volte, smetto di cercarlo. Sospetto sia fidanzato con una ragazza. Poi decidiamo di andare al cinema. Una birra. Mi racconta la sua prima volta con una polacca. Non mi toglie le mani di dosso. Glielo faccio notare. Mi aveva detto di essere un tipo introverso, un INTJ come me, un introverso non si comporta così. Mi dice che lui è estroverso solo con me e con la polacca, che solo io lo posso capire. Stiamo insieme fino a tarda notte, con una scusa mi accompagna a casa. Poi avviene uno scambio di battute che non posso non riportare qui. Credo si chiami “atmosfera”, ho cercato di romperla col mio sarcasmo sabaudo.

Antinoo: «Com’è bella questa parte di Torino, non ci avevo mai fatto caso»

Nicomaco: «Bella? La notte è tutto buio, è inquietante. È un parco frequentato solo da drogati e gente strana. Una volta con un mio amico ho incontrato una ragazza con un San Bernardo che, seduta per terra, si è rovesciata un pacchetto di patatine in testa, come petali»

Antinoo: «La grande bellezza» [credo si riferisse ad American Beauty, ma pazienza]

Nicomaco: «Uno dei miei film preferiti… No, non è vero, il mio film preferito è Magnolia» (pronuncio questa frase aspettando una pioggia di rane)

Antinoo: «Guardiamolo insieme!»

Nicomaco: «L’ho proposto al cineforum…»

Antinoo: «No, solo io e te. Il prima possibile»

Ci siamo congedati così, e forse se le regole del mio collegio fossero state meno stringenti mi avrebbe accompagnato anche in stanza. Invece quello è stato il nostro ultimo incontro felice. Gli ho scritto per pianificare la visione di Magnolia, si è dileguato con qualche scusa. Mi ha detto che mi ero immaginato tutto, che non aveva mai avuto esperienze omosessuali, ma poi ho saputo da una sua amica che non era vero. Ha iniziato a rispondermi dopo ore, a sparire. L’ho punito. Gli ho dato un appuntamento e non mi sono presentato.

Ha ripreso a cercarmi e mi ha scritto la fatidica frase: voglio vederti, ma con più leggerezza, direbbe Calvino. E posto che Calvino non direbbe proprio nulla, anzi si sarà rivoltato nella tomba, volevo andare a fondo della questione. Capire che cosa fosse questa fantomatica leggerezza, come si planasse sulle cose dall’alto senza avere macigni sul cuore, come potesse stare al mondo uno che mi aveva messo le mani addosso in quel modo e che era solito scomparire per ricordare al mondo la sua esistenza, come un bimbetto lagnoso e viziato.

Nei mesi successivi, il suo comportamento è diventato ossessivo. Ogni due o tre giorni mi scriveva «come stai?» e poi spariva. Prometteva viaggi che non sarebbero mai avvenuti. La sua amica giurava e spergiurava che non lo facesse per cattiveria, ma semplicemente «perché è fatto così, e perché al liceo vivevamo tutti questi rapporti in modo superficiale». Alla fine, sono riuscito a estorcergli una mezza verità – o meglio, una mezza bugia – ovvero che lui cercava soltanto «un’amicizia così, scialla». Talmente scialla che mentre lo diceva camminava avanti e indietro nervosamente nella mia piccola stanza e tremava come un bambino infreddolito.

Ora, non è mia intenzione stabilire se questo Antinoo fosse un narcisista, un istrionico, un Asperger come diceva di essere o tutte e tre le cose insieme. Questo lo lascio decidere agli psicanalisti. Non mi interessa se si è trattato di breadcrumbing, di love bombing, di ghosting o di chissà quale altra diavoleria dell’era social dal nome in inglese. Questo lo lascio decidere ai guru dell’amore di cui sopra. Non mi interessa Antinoo, che morirà comunista e accusato di molestie come un Memo Remigi qualunque. Quel che voglio dire è che, comunque lo si interpreti, questo episodio ci racconta molto sugli amori difficili oggi e su come il pensiero di Calvino sia travisato quotidianamente. E sì, qualora ve lo steste chiedendo, sto proprio cercando di costruire una teoria a partire da un singolo episodio. Chiamatelo cherry picking, se volete.

Il fatto è che questa storia, che considero un emblema dell’incomunicabilità dei nostri tempi, mi ricorda molto un racconto tratto da Gli amori difficili, L’avventura di un soldato. In esso il giovane soldato Tomagra cerca, ripetutamente e goffamente, un contatto con la vedova che siede accanto a lui in treno. Il racconto è pervaso da una crescente tensione, tramite la quale il lettore è reso partecipe del sussulto ritmico del treno sul binario, della contrazione del polpaccio, del movimento impercettibile dei polpastrelli. La distanza tra i due è minima, ma incolmabile. La mente del soldato è attraversata dal pensiero ora di aver compiuto gesti troppo timidi, ora di aver osato troppo. La vedova non reagisce, è impassibile, i due non scambiano neanche una parola. Dove la parola non arriva, il corpo cerca una nuova forma di comunicazione, cerca di esprimere il non detto: «con un affannoso brancolare, cercava di spiegarle la sua miseria e l’insostenibile felicità del suo stato, e il suo bisogno, non d’altro, ma che lei uscisse da quel suo riserbo». Il tentativo è vano: i due corpi si attraversano senza lasciare traccia di sé nell’altro e all’incontro tra i corpi non corrisponde un incontro tra le rispettive anime.

In un altro racconto, L’avventura di due sposi, la situazione è ribaltata. Le anime di Elide e di Arturo si sono incontrate, ma i corpi si cercano senza trovarsi a causa dei turni di lavoro di lui. Ai corpi bisognosi di contatto non resta che cercare le tracce dell’altro nel calore lasciato sulle lenzuola. La loro relazione è fatta di abitudine all’assenza.

Entrambe le situazioni descrivono alla perfezione la fragilità delle relazioni contemporanee, in cui è già avvenuta una scissione tra anima e corpo, appunto. La rivoluzione sessuale permette la separazione tra la funzione ortodossa del sesso e il sesso in quanto tale, il sesso fine a sé stesso. Ne L’arte di amare Erich Fromm scriveva che il secondo è una risposta fuorviante all’umanissimo «desiderio di una fusione completa» attraverso una «illusione d’unione». Illusione perché l’unione raggiunta nell’orgasmo «lascia gli estranei distanti esattamente come lo erano prima», cosicché «essi avvertono il loro estraniamento in modo ancor più marcato di prima». In questo senso, l’orgasmo non è troppo diverso dall’alcolismo e dalla tossicodipendenza, con cui condivide un carattere transitorio e periodico.

Scrive Bauman che oggi Eros lo si trova dappertutto, ma in nessun posto resterà a lungo. L’amore liquido è all’insegna del disimpegno, dell’assenza di vincoli. Anteros ha sottratto a Eros il dominio sul regno del sesso.

«A quanto si sa, Anteros era un tipo estremamente passionale, lubrico, eccitabile e focoso, ma una volta diventato l’incontrastato signore del regno dovette mettere al bando le passioni e proclamare il sesso un’azione razionale, attentamente calcolata, dettata da ferree regole e soprattutto totalmente demistificata e disincantata».

(Amore liquido, Laterza, Bari-Roma 2003: 54)

Praticamente, il Teorema di Marco Ferradini. Il risultato è che l’amore liquido è all’insegna del movimento, della novità, del consumo compulsivo e immediato. Come per gli abitanti di Leonia, una delle Città invisibili di Calvino, in cui ogni mattina la popolazione «indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello di apparecchio». Ma ogni mattina «i resti della Leonia di ieri aspettano il carro dello spazzaturaio, tanto che vien da chiedersi se la vera passione dei leoniani non sia piuttosto «l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità».

Voglio vederti il prima possibile, e poi defilarmi alla prima occasione buona, una volta che sia intervenuta la noia. Questa potrebbe essere una buona parafrasi del dialogo che ho riportato prima. Come diceva Ralph Waldo Emerson, quando si pattina sul ghiaccio sottile, la salvezza sta nella velocità. È così che si acquisisce quella capacità di «finire subito e cominciare daccapo» di cui, secondo Kierkegaard, il Don Giovanni di Mozart era il massimo archetipo.

Non si pensi che la mia sia la condanna morale di un inguaribile reazionario. Solo penso che il mondo contemporaneo sia abitato più dai Don Giovanni che dai Casanova. Ne L’insostenibile leggerezza dell’essere, Kundera scrive:

«Gli uomini che inseguono una moltitudine di donne possono facilmente essere distinti in due categorie. Gli uni cercano in tutte le donne la donna dei loro sogni, un’idea soggettiva e sempre uguale. Gli altri sono mossi dal desiderio di impadronirsi dell’infinita varietà del mondo femminile oggettivo. L’ossessione dei primi è lirica: nelle donne essi cercano sé stessi, il proprio ideale, e sono sempre e continuamente delusi perché l’ideale, com’è noto, è ciò che non è mai possibile trovare […]. L’altra ossessione è un’ossessione epica […]. Nella loro caccia alla conoscenza, i donnaioli epici […] si allontanano sempre di più dalla bellezza femminile convenzionale, della quale si stancano presto, e finiscono irrimediabilmente per diventare dei collezionisti di curiosità».

Come si può notare, ho chiamato il primo tipo di uomo Casanova, il secondo Don Giovanni. Il dongiovannismo produce una cultura del brutto che è dominante nella società consumista.

Torniamo a Calvino. Per Calvino la leggerezza è «quella speciale modulazione lirica ed esistenziale che permette di contemplare il proprio dramma dal di fuori e dissolverlo in malinconia e ironia» (qui Calvino parla correttamente di malinconia, che è una condizione passeggera, non di melanconia, che è una condizione esistenziale; altrove confonde i due termini). Leggerezza è lo sguardo di Perseo, che rifiuta la visione diretta della Medusa, ma non per questo rifiuta la realtà circostante, un mondo di mostri che egli assume come proprio fardello.

La leggerezza calviniana è una leggerezza essenziale, che ha origine nel De rerum natura di Lucrezio, in una materia fatta di corpuscoli invisibili, in un mondo in cui il vuoto è altrettanto concreto che i corpi solidi. Scrive Calvino:

«La più grande preoccupazione di Lucrezio sembra essere quella di evitare che il peso della materia ci schiacci. Al momento di stabilire le rigorose leggi meccaniche che determinano ogni evento, egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertà tanto alla materia quanto agli esseri umani. La poesia dell’invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, così come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo».

Quello che Nietzsche chiamerebbe nichilismo attivo.

Leggerezza è quella dimostrata da Guido Cavalcanti in una novella del Decameron (VI, 9):

«l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero di automobili arrugginite».

Secondo Calvino, l’opposizione pesante-leggero, che per Kundera è «la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni», è all’origine della letteratura italiana ed europea, e vede Dante contrapposto appunto a Cavalcanti. La genialità di Dante si manifesta

«nell’estrarre dalla lingua tutte le possibilità sonore ed emozionali e d’evocazione di sensazioni, nel catturare nel verso il mondo in tutta la varietà dei suoi livelli e delle sue forme e dei suoi attributi, nel trasmettere il senso che il mondo è organizzato in un sistema, in un ordine, in una gerarchia dove tutto trova il suo posto. […] Dante dà solidità corporea anche alla più astratta speculazione intellettuale, mentre Cavalcanti dissolve la concretezza dell’esperienza tangibile in versi dal ritmo scandito, sillabato, come se il pensiero si staccasse dall’oscurità in rapide scariche elettriche».

Questa “leggerezza pensosa”, però, non ha nulla a che vedere con quella della Littizzetto o del nostro Antinoo. Anzi – scrive Calvino – può far apparire la frivolezza come pesante e opaca, perché si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso. Per dirlo con le parole di Bauman, «volare leggeri è una cosa gioiosa, volare senza barra di comando è angosciante. Il cambiamento eccita, la volatilità disturba» (p. 64). Per esempio, parlando di Kundera, Calvino scrive: «il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile».

Ne Gli amori difficili, Calvino porta a termine la traiettoria che mira a liberare i personaggi dal peso dei corpi, con tutti i disagi, le ambiguità e gli imbarazzi che li caratterizzano: nel susseguirsi dei racconti, si passa dal solo corpo al solo messaggio. Tuttavia, anche allo smaterializzarsi dei corpi l’amore rimane difficile. Questo perché, in definitiva, a rendere gli amori difficili è tutto ciò che corpo non è. Solo così possiamo capire l’autentico senso della leggerezza calviniana: come disse Paul Valéry, occorre essere leggeri come l’uccello, non come la piuma.

Al punto che viene da chiedersi se davvero Calvino sostenga come afferma le ragioni della leggerezza e se la risposta al relativismo, al nichilismo e alle ambiguità del linguaggio di questi tempi non sia piuttosto un ritorno al pensiero forte, a ciò che è chiaro, definito, stabile, corporeo e materiale, un tentativo di dare un senso che sin dai tempi di Nietzsche è la più grande sfida dell’uomo contemporaneo.

Infatti, come scrive Kundera:

«l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato».

In fondo, è proprio quel che è capitato a queste superliquefatte parole di Calvino.

Nicomaco Cozio

Gruppo MAGOG