05 Marzo 2018

“Ma ciò che tace dovrà un giorno farsi parola”: le poesie di Corrado Benigni sono una lotta senza compromessi contro il tempo, contro il silenzio

Chi riesce a sognare o desiderare l’impossibile, deve comunque ammettere come proprio limite il tempo. La temporalità è una caratteristica fondamentale dell’uomo, come riconosce Martin Heidegger. Molti scrittori, poi, vorrebbero comunicare il più possibile, persino cose che difficilmente riuscirebbero a essere intuite attraverso la parola scritta. Un autore più accorto è capace, invece, di essere maggiormente prudente e trasmettere con chiarezza ciò che è in grado di far intuire al lettore. Il linguaggio e dunque la parola, le uniche cose di cui la poesia poveramente si avvale, hanno possibilità limitate di comunicazione. Un esempio lampante è la differenza fra un romanzo e la sua trasposizione cinematografica, per cui sarà vero il solito dire: un libro stimola l’immaginazione e permette illimitate – quanto soggettive – interpretazioni. A parità di contenuto però, stessa trama e personaggi identici, un film ha una capacità comunicativa, nonché una forza di intrattenimento, che superano quelle della storia scritta sulla carta, non potendo questa avvalersi delle immagini, degli attori, e di una colonna sonora. Più o meno è come spiegare qualcosa a un bambino: ci guarda distratto, mentre parliamo, ma se la sente dalla televisione non c’è neanche bisogno che la capisca, ne viene rapidamente persuaso.

foto 1 - copertina BenigniRiflettere sul tempo come sulla parola, quando ci siamo dentro – non possiamo infatti parlare del linguaggio, se non al tempo stesso utilizzandolo – è un’impresa spinosa.  Heidegger, nelle pagine di In cammino verso il linguaggio, la affronta proprio a partire dalla poesia, in quanto quest’ultima intrattiene con la parola un rapporto privilegiato. Lo sforzo di voler riflettere intorno a quest’ultima e al tempo è vivo nella raccolta di poesie Tempo riflesso, di Corrado Benigni (Interlinea Edizioni, 2018), tanto che ne costituisce la cifra interpretativa, consegnandoci così un’opera chiara almeno negli intenti, poco incline a confondersi con l’individualità dell’autore. Chiarezza concettuale che qui non inficia la tensione poetica, ma la alimenta, grazie alla forza del significato limpidamente espresso dalla riflessione che porta avanti.

“Come suoni nelle pietre le parole nascondono/ luoghi e cellule, respiri e ore contate che dicono chi siamo,/ mentre tutto scorre attraversando il groviglio./ Pixel di voci affiorano sulla pagina,/ disegnano volti tra le lettere di un alfabeto perduto:/ i bambini che sulle rive del Nilo vendono fossili,/ Dike sul banco degli imputati, mio padre, Ulisse senza Itaca/ in un’era glaciale./ Domani tutto sarà cancellato./ Ma la strada è una lingua che ci vede/ e sotto la terra un bosco immobile aspetta di nascere.”.

Il testo di Benigni esplora dunque la nostra relazione con il tempo e con la parola, attraverso versi lunghi che tentano di entrare nelle immagini che ci circondano. Della temporalità tratteniamo solo un gioco di riflessi, che rimbalzano da una superficie all’altra in cui siamo immersi (“sono superfici quelle che vedo, in alto e in basso, contrasti che hanno bisogno l’uno dell’altro”). Ogni cosa intorno si fa immagine che possiamo osservare solo intrattenendo un rapporto con il tempo, come quando si guarda una fotografia (“Dentro una foto, il tempo inverte la prospettiva,/ figure sgranate rincorrono un punto di fuga interiore./ Così le nostre vite silenti si trasformano/ nel fuoco di tutte le parole/ che si spengono lasciando, come nature morte/ solo la memoria del loro bagliore”).

La poesia ha sicuramente un suo piccolo spazio, che occupa insostituibile tra le arti. Niente è più folgorante e impressionante, in tal senso, delle rappresentazioni evocate dai versi di Il tredicesimo apostolo, o come è stato poi intitolato La nuvola con le braghe, di Vladimir Majakovskij: una resa audiovisiva di questo testo sarebbe poco credibile. Lo stesso effetto lo provereste guardando le immagini concepite e disegnate dal pittore Eric Drooker, animate nel film Urlo (2010), scritto e diretto da Rob Epstein e Jeffrey Friedman. Queste, seppur con l’ausilio dell’animazione, non arrivano alla potenza evocativa delle parole scritte nell’omonimo poema di Allen Ginsberg.

Il testo di Corrado Benigni riapre una prospettiva in cui la poesia può avanzare una riflessione e portarla avanti in un modo peculiare, né scientifico né filosofico, ma altrettanto saldo. “Volevamo uscire dal silenzio/ ma non eravamo mai entrati”, scrive il poeta in due versi particolarmente felici della sua raccolta. Non si tratta di dire cosa sia il tempo o cosa sia la parola, di racchiuderli in un concetto, ma provare a capire fino a che punto essi ci riguardino, ci compromettano.

Alessandro Paglialunga

 

Pubblichiamo alcune poesie estratte da: Corrado Benigni, Tempo riflesso, Interlinea Edizioni, Novara 2018.

 

Pietre vive

Volevamo uscire dal silenzio
ma non eravamo mai entrati.
Pietre vive le parole,
unica traccia di quello che abbiamo cercato.
Agli alberi abbiamo chiesto in prestito la voce,
ai sassi il volto per dare forma al visibile.
Dall’acqua abbiamo imparato la pazienza dell’attesa,
dal ghiaccio che si muove seguendo la corrente.
Perché nel movimento impercettibile della polvere
è scritta la meccanica dell’universo,
la conta del tempo che non torna.

 

Prova

Perché temiamo tanto che il filo si rompa,
che la trama non torni, che il vaso si spezzi?
Il presente qui è approssimato per difetto e lo spazio
ci prende tutte le cose, voragine in una goccia.

Nulla è protetto e un silenzio, come una verità,
mira al punto cruciale delle nostre parole.
Anche la luce nella luce cerca riparo,
Voci premono alle pareti. E ora tutto è prova.

 

Le parole, il tempo

Come fare di un istante un verso, domando,
se cecità e visione qui fanno tutt’uno
e il peso del passato non si appoggia a nulla,
mentre il tempo è promesso come tempo.
quante volte, oscuro e paziente pescatore,
mi sono tuffato nelle acque più profonde della sete
per cercare il cristallo di un nome
o il disegno di una costellazione.
è scritto: nulla si perde, tutto si smarrisce,
ci uccide quella parte di noi che dimentichiamo.
Ma ciò che tace dovrà un giorno farsi parola.

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