"Il terreno di scontro non è più tra concezioni filosofiche e grandi visioni del mondo, ma al massimo sui direttori dei telegiornali". La censura dai suoi inizi a oggi
“Esistono spiriti liberi e coraggiosi a cui piacerebbe non ammettere che hanno un’anima a pezzi, tracotante, incurabile. A volte, impazzire è un travestimento, per chi ha certezze troppo infelicemente sicure”.
Impresa ardua parlare della censura, darne una definizione precisa, limitarne i confini temporali e geografici. Esisteva già nell’antichità ed è viva e vegeta oggi nell’era di Internet; attecchisce nella povertà e prospera nelle società dell’opulenza; è esplicita nelle dittature e si mimetizza nelle democrazie; può essere feroce oppure discreta, ha mille vite e mille facce, è di ferro e di gomma, si dilata e si restringe, si gonfia a dismisura e si fa invisibile.
Forte delle sue molteplici forme, la censura ha attraversato culture ed epoche diverse e se la ride delle nostre categorie: è religiosa e laica, di destra e di sinistra, maschile e femminile, vecchia e giovane, può avere un occhio solo come il grande fratello di Orwell oppure mille occhi nascosti. La realtà è che la censura, ovvero la volontà di controllare e condizionare le opinioni degli altri, fa parte della natura umana, quasi un istinto animale, e quindi è presente in ogni forma di potere, politico, religioso, economico, culturale così come nelle relazioni umane, sotto forma di reticenze, non detti. Il che non vuol dire accettarla supinamente, semmai è uno stimolo a conoscerla meglio, per sapere con che cosa si ha a che fare ed essere capaci di limitarne, per quanto è possibile, i poteri.
La consuetudine è quella di fare risalire la nascita della censura come strumento preventivo volto a impedire la diffusione di idee “nocive” all’introduzione della stampa, ma la distruzione dei libri già ai tempi di Giustiniano era un mezzo per evitare il diffondersi di dottrine ereticali e Tacito racconta come il Senato romano decretò che i libri di Cremuzio Cordo fossero dati alle fiamme perché esprimevano il rimpianto verso le antiche virtù repubblicane. Quindi l’attitudine del potere verso le voci critiche era già chiara fin da allora; la produzione del libro però, copiato a mano, e fatto ovviamente circolare in un numero ristretto di esemplari, non poneva la necessità dell’istituzione di un ufficio stabilmente dedito al controllo dell’ortodossia dei libri. Quando nel Medioevo cominciarono a diffondersi le eresie la Chiesa prese una posizione molto ferma e iniziò un’opera di repressione con l’appoggio del potere civile. A quel tempo i nemici religiosi erano anche e soprattutto nemici politici e l’Inquisizione spagnola i cui giudici, a partire da Torquemada, su dispensa papale venivano nominati dal re, fu l’esempio più lampante della repressione contro ogni tipo di dissenso.
Tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500 la nascita della stampa e la conseguente organizzazione di un vero sistema commerciale di diffusione del libro mutarono radicalmente le condizioni degli scambi intellettuali. In un momento storico in cui stavano formandosi i nuovi Stati assoluti fu facile capire la grande utilità e nel contempo i grandi rischi insiti nell’invenzione della stampa. Per la circolazione delle idee una cosa erano i singoli manoscritti, un’altra la pubblicazione di migliaia di esemplari dello stesso testo. Sia i sovrani dell’epoca sia le autorità religiose cominciarono a occuparsi della questione, ma Chiesa e Stato all’inizio non potevano ancora contare su un efficace sistema censorio.
La svolta fu la comparsa all’orizzonte della Riforma protestante. Tra il 1517 e il 1530 gli scritti di Martin Lutero vennero fatti circolare in oltre 300.000 copie, prima di allora non si era mai verificato un fenomeno del genere. Si annunciava uno scontro titanico, il mondo delle idee si era messo a correre e non c’era più tempo da perdere. Nel 1542 papa Paolo III istituì l’Inquisizione romana, un tribunale fortemente centralizzato dotato di propri rappresentanti in ogni diocesi. Da quel momento la censura diventò anche parte del grande scontro tra il Papato e Impero: all’imprimatur ecclesiastico sottoscritto dall’autorità religiosa si contrapponeva la licenza di stampa rilasciata dal sovrano. La contesa non era tanto su “che cosa” andava proibito quanto su “chi” avesse titolo a proibire, perché fino alla vigilia della Rivoluzione francese la convinzione che la pubblicazione di un libro non dovesse essere libera fu data per scontata.
Intanto soffiava forte il vento delle nuove idee, la produzione editoriale aumentava in modo esponenziale e per gli stessi censori diventava difficile orientarsi. Per venire loro in aiuto nacquero gli indici dei libri proibiti, gli strumenti ufficiali della censura. Tra il 1544 e il 1556 la Sorbona redasse sei cataloghi di libri proibiti su ordine di Carlo V e Filippo II, ma gli indici più celebri furono quelli romani: al primo nel 1559, l’indice paolino, seguirono quello tridentino del 1564 e quello clementino nel 1596.
A quel punto poteva dispiegarsi nel modo più completo un’opera di controllo e repressione senza precedenti, un meccanismo che andò perfezionandosi con il passare degli anni, nato per estirpare l’eresia religiosa, ma che travalicò quei confini e finì per investire ogni campo dell’attività intellettuale: si partì colpendo i testi ispirati alla Riforma protestante e si arrivò alla magia, alla letteratura, alla scienza.
La censura non operava solo nel modo più esplicito proibendo determinate opere, ma utilizzava anche tattiche più subdole e si affinava attraverso la pratica dell’”espurgazione”, cioè correzioni nascoste all’interno di testi che formalmente sopravvivevano. Anche negli anni della censura trionfante restava uno spazio di manovra per il censore che si muoveva in un difficile equilibrio tra le ragioni dell’arte e della verità e quelle del potere. Due esempi per tutti: il Canzoniere di Petrarca non fu mai messo all’indice, ma l’amore di Francesco per Laura venne sottoposto a un’accurata opera di riscrittura per mano di espurgatori professionisti e la stessa sorte toccò al Decameron di Boccaccio pubblicato sì, ma solo dopo avere eliminato le allusioni ironiche e i riferimenti dal sapore anticlericale.
All’inizio del Seicento anche le opere filosofiche e scientifiche caddero sotto la mannaia della censura: così nel 1600 Giordano Bruno finì sul rogo di Campo de’ Fiori, nel 1616 arrivò la condanna ufficiale delle teorie di Copernico e nel 1633 il processo a Galileo lasciò un segno destinato a durare a lungo. Questo clima innescò “naturalmente” dei meccanismi di autocensura in molti autori e librai, un fenomeno complesso e tutto da studiare, che ha lavorato in profondità ed è sedimentato nelle coscienze, e ancora oggi troviamo più vivo che mai.
Mentre uscivano indici sempre più densi, quello del 1596 conteneva 2.100 voci quello del 1711 arrivò a 11.000, la censura mostrava anche tutte le sue crepe. Già allora più un libro era proibito e più veniva richiesto, così i divieti avevano fatto nascere correnti di circolazione clandestina dei libri; inoltre i controlli e le confische rendevano incerto il ritorno degli investimenti degli editori e dei librai suscitando un malessere costante in molti Stati preoccupati per i loro commerci. Nel frattempo tra gli stessi letterati e intellettuali stava nascendo un rinnovato senso della dignità e del valore della propria libertà, testimoniato per la prima volta da John Milton che nel 1644 scrisse l’Aeropagitica, il primo vero e proprio testo a difesa della libertà di stampa, un seme destinato a germogliare cinquant’anni più tardi quando nel 1695 l’Inghilterra fu il primo Paese ad abolire la censura preventiva.
Intanto anche negli altri Paesi la censura venne progressivamente statalizzata, all’Inquisizione rimase solo il potere sui testi religiosi anche se l’autorizzazione finale spettava comunque all’autorità regia. Questo passaggio non significò comunque né libertà né agnosticismo perché lo Stato assoluto dell’ancien régime era sempre confessionale, dunque tutore esso stesso della fede e della morale. Tuttavia il potere laico si dimostrò meno efficiente e rigoroso di quello religioso e poi era tutto il clima che stava cambiando: nel Settecento dovunque si cominciò a parlare esplicitamente di “libertà di stampa”, dai salotti ai caffè letterari.
La Rivoluzione francese fu lo sbocco naturale di questo lungo processo storico e il 26 agosto 1789 con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino venne ufficialmente proclamata la libertà di stampa, un principio destinato a diventare un punto fermo per tutti gli ordinamenti liberali moderni. Senza dubbio una tappa fondamentale ma non definitiva contro la censura, che anzi proprio dagli eccessi rivoluzionari, il giacobinismo e il Terrore, trarrà nuova linfa. E allora ecco prima Napoleone che si servì largamente della censura preventiva e subito dopo la Restaurazione che in tutta Europa chiuse sistematicamente gli spazi concessi dai sovrani illuminati.
Per ritrovare riaffermata ufficialmente la libertà di stampa bisognerà aspettare il 1881 in Francia, il 1874 in Germania e il 1848 in Italia con lo Statuto albertino, che resterà a lungo la base fondamentale della legislazione italiana sulla materia. Oggi nel nostro Paese il diritto alla libertà di stampa è sancito dall’articolo 21 della Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 che riprende quasi parola per parola il dettato della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Nonostante le bellissime affermazioni di principio e i solenni proclami, la censura non è mai uscita di scena. Anzi ha imperversato più forte che mai per tutto il Novecento e la “civilissima” Europa, patria di tutte le libertà, ha chiuso ingloriosamente il suo grande ciclo storico divorata da fascismo, nazismo e comunismo che hanno fatto a gara nel rispolverare tutti i “fasti” della censura, dai roghi di libri a quelli degli uomini. Le religioni laiche, quelle che dovevano creare l’”uomo nuovo” si sono dimostrate maestre d’intolleranza e degne eredi dell’Inquisizione classica. Il meccanismo è sempre lo stesso: i censori di ogni tempo si ricollegano a una fede messianica e fanatica in un universo di pseudovalori, stabiliscono un’ortodossia ed eliminano, attraverso la censura, tutto ciò che non vi aderisce. Il censore è sempre un credente, in una fede o in un’ideologia, diffida del dubbio, della tolleranza, dello scetticismo.
Ai nostri giorni nei Paesi democratici, che restano comunque una minoranza, dove il potere non digrigna i denti e non fa la faccia feroce, la censura gode comunque di ottima salute. Certo i tempi sono quelli che sono: in giro di Galileo o di Lutero non se ne vedono e anche i censori sono solo una pallida copia del cardinale Bellarmino. L’Indice dei libri proibiti è stato abolito dalla Chiesa nel 1966, al suo posto è subentrato qualche ridicolo Codice di autodisciplina che al massimo poteva essere brandito per andare a caccia di scollature licenziose e gambe troppo scoperte di ballerine da parte di qualche funzionario della Rai. Il terreno di scontro non è più tra concezioni filosofiche e grandi visioni del mondo, ma al massimo sui direttori dei telegiornali.
Piuttosto la censura, respinta e combattuta da tutti ufficialmente, ha cambiato natura e ricompare magari sotto le sembianze di un asfissiante conformismo intellettuale che si finge anticonformista, provocatorio e trasgressivo ma in realtà sempre uguale a se stesso, abbarbicato più che mai al potere, sia esso politico, culturale o mediatico; del tutto impermeabile a ogni vera novità, cavalca il moralismo e l’indignazione del momento, si nutre di un facile consenso e soprattutto è prontissimo a isolare ogni voce fuori dal coro. La storia è da sempre una spietata lotta di potere lastricata di sangue e crudeltà e questo contraddice la visione del mondo che si è autoproclamata laica, democratica e progressista? Allora basta voltare lo sguardo, censurare, ops volevo dire cancellare, tutto quello che ci disturba del passato, abbattere qualche statua e la coscienza delle anime belle è a posto. Alla lunga l’obiettivo è instaurare una forma di sorveglianza che fa di ciascuno il controllore di se stesso. Il lungo lavoro attraverso i secoli della censura non è andato perso e sembra dare solo adesso i suoi frutti più sofisticati. Si realizza il vecchio sogno di sempre di tutti poteri: quello del censore dell’anima.
L’altra forma dietro la quale si nasconde la moderna censura è il suo opposto: una sorta di libertà totale. Possiamo leggere quello che ci pare, esistono mille canali televisivi, c’è Internet, tutti sono liberi di scrivere e di parlare, anche se non hanno niente da dire, è vietato vietare come dicono quelli che parlano bene. Bello, però in questo grande frastuono diventa impossibile distinguere le voci che varrebbe veramente la pena ascoltare ed è difficile farsi un’opinione propria libera dai condizionamenti. Se tutto è cultura, il vino, il cibo, i comici, le canzonette, si finisce per vivere in un vuoto intellettuale dove vige la legge dispotica del luogo comune. Non esiste più una sola grande verità come una volta, quella di Santa Romana Chiesa o quella dell’Imperatore, del re o di chi per lui, ma tante piccole verità autoproclamatesi tali nel corso degli anni, con le proprie liturgie, le proprie retoriche, le proprie censure e autocensure. Per chi non si adegua non c’è bisogno del rogo, del gulag o del lager, basta il silenzio.