08 Maggio 2023

Sia lode a Wakefield “il reietto dell’Universo” che ha voltato le spalle alla società, scegliendo di diventare un segreto

Vorrei presentarvi Mister Wakefield. È un parente stretto di Mister Bartleby, lo scrivano protagonista del racconto di Herman Melville, quello che a qualsiasi richiesta rispondeva sempre «preferirei di no», del professor Kien che in Auto da fé di Elias Canetti per difendersi dal mondo esterno si rifugia tra le migliaia di libri nella sua casa senza finestre, e anche dell’aristocratico Des Esseintes raccontato da Joris Karl Huysmans in Controcorrente, che, disgustato dal mondo contemporaneo, va a rinchiudersi in una sorta di personalissima clausura estetica nella sua casa di campagna circondato da tutto quello che ai suoi occhi rappresenta la bellezza.

Ma torniamo al nostro Mister Wakefield. Io l’ho conosciuto parecchio tempo fa grazie a Nathaniel Hawthorne, il grande scrittore americano noto soprattutto come autore de La lettera scarlatta, che ha avuto l’ottima idea di metterlo al centro di un suo meraviglioso racconto, scritto nel 1835 e intitolato proprio Wakefield.

È la storia di un uomo che lascia la sua casa dicendo alla moglie che tornerà dopo pochi giorni. In realtà non va da nessuna parte. Affitta un appartamento in una strada vicino e, senza un’ombra di motivo, vive lì per vent’anni senza dare più notizie di sé. In quel lungo periodo, Mister Wakefield, che come capita spesso ai tipi strani è un abitudinario, ogni giorno passa a vedere la sua casa e segue da lontano la vita della moglie che lentamente si abitua alla vedovanza. Una volta addirittura in una strada piena di gente lui e la moglie si trovano a tu per tu, per un momento i loro occhi si incrociano, ma la folla li trascina via e li separa nuovamente. La donna ha come un trasalimento, si volta, lancia uno sguardo perplesso ma poi si allontana. Do you remember L’uomo della folla di Edgar Allan Poe?

Fatto sta che, trascorsi vent’anni, in una serata di pioggia, mentre come d’abitudine passa davanti alla sua casa, Mister Wakefield vede il bagliore del camino acceso, osserva attraverso le finestre il profilo della moglie e, come se fossero passati pochi minuti e non anni, torna a casa.

«Sale i gradini con passo pesante, perché vent’anni gli hanno rattrappito le gambe, da quando li ha scesi l’ultima volta, anche se lui non se ne rende conto… La porta si apre, e mentre lui ne varca la soglia diamo un ultimo sguardo di commiato al suo volto e riconosciamo quel furbesco sorriso che aveva anticipato l’innocente burla che egli ha continuato a giocare ai danni della moglie».   

Un racconto di neanche dieci pagine ma che ha la forza di avvilupparti in una stretta che non ti lascia più. Una storia che scorre silenziosa come un fiume carsico sotto la superficie per poi riemergere e diventare materia feconda per la nostra intelligenza, sempre ammesso di averne una. Chi è Mister Wakefield? Perché, apparentemente senza una ragione, se ne è andato di casa? Perché dopo venti anni torna come se fosse niente? E potremmo andare avanti con le domande per ore. Siamo liberi di fare mille congetture, di arrivare a mille conclusioni, giuste o campate per aria. L’unica cosa certa è che aveva ragione Hawthorne quando sosteneva di scrivere per esplorare le regioni oscure della natura umana.

L’enigmatico sorriso che compare sul volto di Wakefield sia mentre esce di casa sia quando vi ritorna farebbe propendere per uno scherzo del quale poi si diverte a vedere l’effetto che fa. Ma le cose non sono così semplici. Per molti versi ai miei occhi Wakefield appare come la personificazione di quel fenomeno, misterioso e terrificante al tempo stesso, di dissociazione psichica che caratterizza la personalità schizoide. Lo psichiatra inglese Ronald D. Laing con il suo straordinario libro L’io diviso ci ha lasciato pagine illuminanti al proposito, ricordate anche da Claudio Magris quando parla dell’“esistenza mancata” di alcuni personaggi letterari che si negano alla realtà e alla vita per timore che la realtà e la vita annientino la loro personalità. Quella che mettono in atto è una disperata forma di autodifesa. Di fatto si uccidono per timore di essere uccisi. Insomma, Wakefield di fronte alla prospettiva di trascorrere il resto dell’esistenza in una tranquilla vita da bravo e onesto cittadino mediamente agiato, in compagnia di una brava e fedele moglie decide di sottrarsi a quel destino che lo avrebbe annientato giorno dopo giorno. A un certo punto del racconto il protagonista riflettendo sulla stravaganza del suo comportamento

«esclama con tutta la sua passione: Wakefield! Tu sei pazzo!».

Potrebbe essere benissimo. In fin dei conti, che cos’è la pazzia se non una forma di fuga, di rifugio. Vedi alla voce Robert Walser, lo scrittore svizzero che trascorse la seconda parte della sua vita in un manicomio dove passava le giornate intento a piegare sacchetti di carta e a soddisfare il suo più grande desiderio: quello di diventare uno “zero assoluto”. 

Wakefield, Bartleby, Kien, Des Esseintes e lo stesso Walser sono uomini segreti e d’altra parte come si fa a essere uomini se non si è segreti, ma non badateci questa è una mia vecchia teoria. In ogni caso non fatevi ingannare dalla loro apparente mitezza. Tutti quelli come loro che, per così dire, non ci stanno sono personaggi pericolosi. Sottrarsi ai doveri verso la comunità è visto come folle ma ancora di più come immorale; il loro silenzioso rifiuto del proprio ruolo sociale è un granello di sabbia che rischia di far saltare tutto il meccanismo. Si sa come vanno queste cose: si comincia con un’inezia che sembra solo una bizzarria e si fa presto ad arrivare all’ansia, all’alienazione, al rifiuto di un mondo diventato incomprensibile, a un punto di non ritorno. Le vere rivoluzioni si fanno così: con discrezione, senza proclami, in silenzio.

Alla fine del racconto Hawthorne riporta a casa Wakefield, ma non lo segue oltre la soglia; saggiamente preferisce che il suo futuro resti indecifrabile come i venti anni della sua scomparsa:

«Non seguiremo il nostro amico al di là della soglia. Ci ha già offerto sufficiente materia di meditazione, e questa dovrà almeno in parte prestarsi a una morale e prendere la forma di una metafora. Nell’apparente confusione del nostro mondo misterioso, gli individui sono così ben adattati a un sistema, e i sistemi l’uno all’altro, e a tutto un insieme, che un uomo, se si fa da parte per un solo attimo, si espone al terribile rischio di perdere il suo posto per sempre. Al pari di Wakefield, egli può divenire, per così dire, il reietto dell’universo».

Strana storia quella di Mister Wakefield. Una storia che sembra a volte sul punto di svelare il suo segreto e subito dopo svanisce tra le mani e torna a essere solo un po’ di polvere che ricopre un vecchio libro. Se avevate delle certezze contribuirà a spazzarle via, se avevate dei dubbi servirà a farli aumentare. Sì, aveva proprio ragione Nicola Chiaromonte a dire:

«Non si scrivono romanzi per affermare verità sempiterne ma per porre questioni aperte e annose che perlopiù riguardano le persone. È un genere che ha più domande che risposte».

Silvano Calzini

Gruppo MAGOG