Un classico è per sempre. Il motto, buono per ogni stagione e in ogni accezione – si può applicare ad automobili, a vestiti, a cibi – è tornato, fortuna nostra, a griffare l’editoria nostrana. In tempi di vacche magre narrative – scrivono in troppi, troppi libri inutili – gli editori si danno all’usato sicuro, il ‘classico’, appunto, smaltandolo con nuova traduzione. Gli esempi, nell’anno editoriale appena trascorso, sono stati tanti, alti. Anna Karenina, il capolavoro di Tolstoj, nella versione di Claudia Zonghetti per Einaudi, ad esempio, oppure La peste di Albert Camus, resa per Bompiani da Yasmina Mélaouah, Cent’anni di solitudine secondo Ilide Carmignani per Mondadori (l’abbiamo intervistata qui), mentre Feltrinelli, finalmente, ha spedito in libreria la nuova traduzione del Dottor Zivago di Boris Pasternak ad opera di Serena Prina (l’abbiamo intervistata qui), destinata a sostituire quella un poco australe di Pietro Zveteremich – in attesa di editare l’Ulisse di Joyce nella versione del poeta Alessandro Ceni. Se i grandi editori – è ovvio, debbono andare all’incasso – traducono sempre i soliti noti – che fine hanno fatto Marcel Jouhandeau, Henry de Montherlant, Wyndham Lewis, Eugene O’Neill, Allen Tate, per dirne alcuni, un tempo inscatolati tra i grandi? – i ‘piccoli’ hanno lastricato l’anno passato di leccornie. Mattioli 1885, editore che promuove classici di qualità, ci ha deliziato con Theodore Dreiser (Il titano), Fazi con Willa Cather (Il mio nemico mortale), Nutrimenti ha riscoperto l’opera di Julien Green mentre L’Orma, che è partita ritraducendo tutto E.T.A. Hoffmann, il classico da incubo, ha tirato fuori dal nulla editoriale, con stile, Julien Gracq. D’altronde, le neorisorte Edizioni Theoria hanno esordito con una calcolata riedizione di classici irrisolti come Arthur Machen, Roberto Arlt, Drieu La Rochelle, e inaugureranno l’anno con la nuova traduzione del Jean Santeuil di Marcel Proust e dell’Ussaro blu di Roger Nimier (entrambi secondo Salvatore Santorelli). Una abbuffata, ne abbiamo da divorare per anni, per decenni. Il fenomeno editoriale è così prepotente che la conclusione pare ovvia. Cari editori, pubblicate soltanto classici. Classici ‘classici’ – questo il titolo, per altro, di una formidabile collana editoriale curata da Albo Busi per Frassinelli, un paio di decenni fa, da recuperare assolutamente. O classici contemporanei. Basta con i contemporanei e basta, ecco. Degli scrittori italiani recenti abbiamo fatto indigestione: i loro romanzi – sedicenti capolavori, suadenti bestseller – sono quasi tutti dei pacchi, delle nenie stracotte, delle sole assodate. Per qualche lustro non pubblichiamo più gli autori viventi. Avranno tempo per rinfrescare l’ispirazione nella Siberia del silenzio, per lavorare bene, per pensare meglio a quello che fanno e soprattutto che scrivono. Meglio un Moby Dick oggi, come ieri, per domani, che l’ennesimo Saviano o D’Avenia – tranquilli, sono interscambiabili – balenottere che surfano sull’onda del nostro sconforto.
Davide Brullo