“Uomini siamo, più stanchi che vili”. Sulla poesia di Sandro Penna
Poesia
Giorgio Anelli
Dando conferma al caso e valore alla volontà della mia biblioteca, in questi giorni rileggevo alcune poesie di Miodrag Pavlovic, il grande poeta serbo. Amo questi versi, tratti da La preghiera per i monaci del Monte Athos: “Scorgo la resurrezione:/ essa inizia ogni mattina e non teme la caduta./ Ogni giorno qualcosa s’innalza/ e la salvezza ci sfiora le labbra”. Certo, c’è la Sfinge e la fibra dei Salmi in questi versi, così semplici, così fermi. Da uno stesso stampo, penso, provengono i versi di Antonio Trucillo, la cui opera poetica mi pare opera di pietà, estensione lirica della misericordia, a mendicare, dai marziani a questo tempo, dai residui disarcionati dalla belva-Storia, il senso. “Un poeta capace di scarto e di visione”, lo disse Davide Rondoni, introducendo La nuvèla, la raccolta di Trucillo edita da Marietti nel 2011, dove il Beato Angelico che squarcia la copertina è già indizio di poetica. Cioè, di un poeta che agisce nella cella, obbediente al verbo e non alla fama parziale e bugiarda con cui il tempo soffoca, a colpi di incenso e di presentazioni pubbliche, le ‘prestazioni’ di troppi poeti presunti, troppo ‘presenti’, presuntuosi, untuosi. L’ultimo libro di Trucillo s’intitola Un’idea di bene (Giuliano Ladolfi Editore, 2019), e insieme ad altri libri (ad esempio, Nella luce di un giorno di paga, Ensemble, 2017), compone l’unico libro di uno che medica dall’assenza di Dio, che si incunea nelle ulcere, che a leggerlo pare pure un risarcimento. (d.b.)
Un’idea di bene: intanto, perché questo titolo? Il bene è una idea? Che cosa è il bene, in fondo? La cosa, mi pare, meno ‘poetica’ che ci sia: di solito si tende a indorare nella lirica il male o il proprio fantomatico ego.
Non so precisamente cosa sia il bene. So solo che è la cosa a cui aspiro. Forse è un’idea evangelica, chissà. So, però, che è una possibilità o anche una probabilità. È questo il senso della parola ‘idea’, qualcosa, insomma, che potrebbe o dovrebbe ‘accadere’. No, non credo alla poesia come contenitore di male o amplificatore dei nostri piccoli ego. Baudelaire, paradossalmente, la pensava proprio così.
Perché la poesia, la cosa meno ‘mondana’ che ci sia? Come è sorta in te e quali sono le letture che ti hanno formato, o gli incontri?
La poesia (ma mi vergogno un po’ a dirlo) in me è sorta prestissimo. Avevo sette-otto anni e scrivevo dei componimenti in lode dei miei calciatori preferiti, Sivori del Napoli, soprattutto. Evidentemente erano dei miserrimi epinici, prima che leggessi Pindaro! Mi ha formato sicuramente la lettura della poesia delle origini: i Siciliani, Guittone, Cavalcanti, Dante, naturalmente. Poi Leopardi, certo Pascoli, Rebora, Campana, Montale, Penna. Tra gli stranieri… sono troppi. Due su tutti: Baudelaire e Lorca. Se poi dovessi dire cos’è per me la poesia, allora mi viene in mente il cosiddetto sonetto della Garisenda di Dante. Cosa guarda Dante? Cosa gli impedisce di vedere la torre? Ma c’è poi stato davvero a Bologna? Ecco, per me la poesia è questo tenerissimo mistero, questa mallarmeana oscurità, che può svelarsi o non svelarsi.
Estrai un verso che descriva il tuo percorso lirico, e dimmi perché ti sintetizza.
È difficile rispondere. Forse questi pochi versi: “Oh, tu non puoi trasportare per le scale / questa madonnina di legno, così fragile, / esangue, farla dormire nel tuo letto, / vegliarla come si veglia una bambina / che ha la febbre, non ne sei degno!”. Ecco, talvolta ho la presunzione di credere di essere degno di portarmela a letto. È anche questa la mia idea di bene.
Estrai, invece, in virtù di gratitudine, un verso di un autore che ami e dimmi perché lo hai scelto.
San Martino di Carducci. È una poesia perfetta. È tutto un mondo. È un dipinto ad olio potente e penetrante, entra tutto nel profondo.
Cosa può il poeta di fronte all’alito della Storia? Cosa può il poeta di fronte alla tragedia dell’uomo?
Ah, può poco. Credo proprio che possa fare molto poco. Io, per me, ho le mie rabbie, le mie rivoluzioni, il mio malcontento per come va il mondo. Sicuro. La poesia che scrivo, allora, è la mia protesta totale, il segno della mia ferita, il mio sentirsi offeso nei confronti della Storia.
Ti interessa la poesia e la letteratura contemporanea in genere? Che cosa ti piace leggere?
Fino a qualche anno fa ero molto più attento. Leggevo moltissimi autori contemporanei, poeti e narratori. Ora ne leggo molto meno. Ho 63 anni. Mi pare di perdere tempo. Cerco di leggere quello che ritengo valga la pena di leggere. Ed è moltissimo, comunque. Tra i romanzieri, alla rinfusa, Peter Handke, Bernhard, Guimarães Rosa, Singer, Céline, Hrabal, Rea, Ortese, il dimenticato Prisco, tanti altri… Tra i poeti, bè, mi devono com-muovere, come quando leggo il Lamento di García Lorca. Mi piacciono il Viviani di Merisi e di Preghiera del nome (dopo non più); Cesare Greppi; Gino Scartaghiande. Ma dimentico sicuramente molti altri.
***
Per gentile concessione si pubblicano alcune poesie dalla raccolta di Antonio Trucillo, “Un’idea di bene” (Giuliano Ladolfi Editore, 2019)
Dei sandaletti la plastica infantile
sul sangue terragno della corte
e questo dare,
è questo dare da trattenere,
dico, Signore – è questo il dare,
e questo dare-dare per non avere
fame – Non
la fila di parole scempie di poesie
di uno qualunque, scriba qualunque.
*
Ogni sera che cala, la mano
come manovrata dai cieli
articola un moto,
uno stupore annidato in seno,
reiterante – Io lo faccio
per chiedere perdono
di colpa atroce,
un rosa-grigio correre di nuvole distese, posa
acquietata
nei miei gesti:
io prono, vocativo.
*
Primo sopraggiunge il muso schiumante,
il carro che all’empireo ascende,
stridente fra i gelsomini
ebbri e l’aria malva.
C’è questa zoppa danza
che a prendersene cura senti com’è
il mondo.
Non so se la pietà sia
da questa parte tutta, istante minimo, passo
dopo passo nella gloria incessante, l’umano
intero basso torturare.
Antonio Trucillo
*In copertina: Caravaggio, “Le sette opere di misericordia corporale”, 1606-07, particolare