06 Agosto 2024

“Volevo che la grande caccia passasse per la savana dei miei capelli”. In memoria di Annie Le Brun

Listate a lutto, le edizioni Gallimard piangono la morte di Annie Le Brun, “figura radicale e di spicco della letteratura e del pensiero filosofico”, le cui “dispute col bisturi hanno lasciato un marchio su diverse questioni sociali, culturali, del femminismo”. Segue, lista dei libri dell’autrice pubblicati da Gallimard: l’ultimo, Ombre pour ombre, è stato stampato quest’anno; si tratta della riedizione dei testi poetici di Annie Le Brun, consacrati – in sintesi – a un surrealismo più frugale, imbestiato, con pochi fronzoli retorici. D’altronde, l’autrice – nata a Rennes, il giorno di ferragosto del 1942 – aveva conosciuto, ventenne, André Breton, suo maestro, nuovo Adamo della letteratura. Più che altro – ed è questo che identifica l’indole lirica di Annie Le Brun – intendeva il surrealismo come una liberazione, come il punto di fusione tra arte & vita: “Il surrealismo – scrisse – non è affatto un’avanguardia, bensì un atteggiamento verso la vita, la cui vera radicalità consiste tanto nel rifiutarne la miseria quanto nello scovare in essa la meraviglia”. Il suo primo libro, Sur le champ, uscì a Parigi, presso i torchi delle Éditions surréalistes, nel 1967, con grafie di Toyen.

Avversava, Annie, i letterati di professione, chi professa alla letteratura un culto inane, inavvertito dalla vita vera, chi crede di poter imbrigliare la belva poetica con la museruola della cultura, “i poeti sotto sovvenzione che con il loro fiato corto esaltano gli irrisori piaceri della vita di ogni giorno”, incapaci di scorgerne la tirannia, il terrore, la bulimia di ipocrisie.

Fece coppia con il poeta croato Radovan Ivšić; è morta in Croazia, il 29 luglio scorso. Figura dirompente, dal fascino sinistro, sorprende, piuttosto, che di Annie Le Brun non ci sia quasi traccia in Italia. Nel 1978 Arcana Editrice pubblicò il saggio al vetriolo contro il femminismo (Disertate! Il femminismo è morto); secondo Annie Le Brun l’ideologia “neofemminista” era un’impostura, “caricatura del totalitarismo dei benpensanti”, specie di “stalinismo in sottoveste”. Il suo saggio sulla “mercificazione del sensibile”, L’eccesso di realtà è stato pubblicato da BFS edizioni, a cura di Martina Guerrini.

Dalla fine degli anni Settanta, Annie Le Brun disarcionò la postura lirica, si diede al saggio – scrisse di non aver mutato “genere” (la poesia è “l’ombra che non ha smesso di accompagnarmi”) ma “registro”. Si è occupata a lungo di Sade, sguainato in ostilità al pensare dominante (“Siamo debitori a Sade non per averci dato delle idee, ma per avercele tolte tutte, per aver eliminato tutto ciò che ci inganna su ciò che davvero siamo”): nel 2014, al Musée d’Orsay, ha curato la mostra “Sade. Attaquer le soleil”, esisto di uno studio pluridecennale. Ha scritto di Raymond Roussel e di Aimé Césaire, di Leonora Carrington e di Robert Desnos, di Alfred Jarry e di Pierre Louÿs,

“personaggi che hanno rischiato consapevolmente tutto per inseguire i propri sogni e i propri fantasmi, per avventurarsi nell’aperto di paesaggi sconosciuti, che non hanno preteso di fare del bene a nessuno… di qui, l’estrema deferenza che gli tributo”.

Nel 2000 pubblica Du trop de réalité, una specie di elogio dell’utopia e del rischio:

“Con il ritorno della naturalezza delle stagioni, ogni mattina i bambini scivolano nei loro sogni. Sanno ancora piegare la realtà che li attende come un fazzoletto. Niente è per loro meno distante del cielo in una pozza d’acqua. Allora, perché non ci sono più quegli adolescenti selvaggi che rifiutano per istinto il sinistro futuro che viene apparecchiato loro?… Perché non dovrebbero esistere esseri abbastanza determinati da opporsi con tutte le loro forze al sistema di cretinizzazione di massa da cui l’epoca trae il suo alto consenso?”.

Giocava, sempre, ferocemente, a spiazzare, Annie Le Brun. “Solo la rivolta è garante della più appassionata coerenza: oggi ci obbligano ad abbandonarla in cambio di una fede alla servitù volontaria”. Quell’ardore – editorialmente, dunque: a frastuono dell’esistere – occorre scoprirlo, ora. È bello, a mo’ di esergo, questo auspicio:

“Oggi il naufragio è tale che devo svelare un segreto: è sul pazzo e sul perduto che non cesserò di scommettere”.

Solo gli ammutinati sanno ammainare le braccia al sole, levare un cuore più ampio del toro. Sia lode a loro.

**

Da Ombre pour ombre

“È il filo del linguaggio che tiene l’aquilone di ciò che siamo o è il volo dell’aquilone a donare al filo la sua particolare tensione? Resta il fatto che qualcosa trattiene e trascina fino a rivelare una forma che non è più dell’altro che mia. Sicuramente, è al di là di quanto si espone. Ombra per ombra”.

*

Primo cerchio

Non so dove vado, so ciò che disprezzo. Non ridere, non sai nulla.

Ne convengo: non è buona educazione, nella riserva letteraria, rivolgersi al lettore. Le rare bestie monologano dietro il loro recinto con l’elegante angoscia di chi ha fatto di tutto per farsi catturare e sa pensare agli occhi degli sbadati viandanti nelle domeniche della cultura. Di costoro, non parlerò in modo infante, perché ho l’ingenuità di sapere, per vaghi cenni, le cause del loro smarrimento; non li assumo, li voglio unici e molteplici, sovrani e passeggeri.

Mio amante, mio fratello, ti lascio un margine di insicurezza da svestire; lei perseguirà sempre ciò che perseguito.

Ho una scheggia di sole nella scapola sinistra: non rimuoverla. Per bruciarti, mi spoglierò; non per offendere, ma per distoglierti da ciò che non sei.

Abuserò senz’altro del perché, perché questi non sono che segni della notte, trame di passi, marce che mancano dal bordo della via.

*

Secondo cerchio

Tu o qualcun altro vi nascondevate dietro molteplici bilance, così sofisticate da avere cerniere interne. Era come se le tue dita potessero incendiare il mondo, ma il palmo era mollemente chiuso sopra l’accendino.

Infine, sono arrivata alla tua intimità, piccola barchetta che nasconde ciò che di te non mi attendo. Sono scoppiata a ridere e, davanti ai tuoi occhi, da quel profondo formicaio di parole, ho sguainato uno specchietto, ho guardato il mio sesso: immobile e troppo intelligente, ti attendevi che scoprissi la condizione della donna, l’eterno femminino, il rosso appello del voto, lo squarcio metafisicamente spalancato…

In realtà, lo specchietto si è nebulizzato, d’improvviso, non avevo più età né sguardo, ma soltanto un vago sorriso, balaustra sulle labbra del mondo. Mi sono ricordata di quel giorno in cui mi avevi indicato l’esistenza di un allume di nebbia, da qualche parte, a Parigi. Divinai le sue innumeri forme, come dai recessi delle campagne del cervello. Ti ho mollato.

*

Quarto cerchio

Branchi di animali notturni si accalcano sulle rive degli occhi. La profondità dei loro orgasmi pesa sul cuore delle pupille.

Tu che mi conosci, non farti trascinare dalle impressioni: sai che non sono bella come dicono, che metto il rossetto soltanto quando ha il gusto della rosea crema del crimine.

Volevo che la grande caccia passasse per la savana dei miei capelli, che levasse il ghibli lì nascosto come selvaggina. In agguato, attendo ancora la bellezza delle femmine, tendo loro le più temute inoffensive trappole: cadono quasi tutte, crudelmente dissolute e dissolte nella mia memoria. Chi sa pesare le pietre miliari e farne collana ha denti adatti a incardinare antichi morsi, piedi per serrare dolcemente gli occhi, ventri tesi all’ascolto, cosce che invitano al pensiero.

N.B. Gli spiriti eccitati da tale saggezza si rassicurino o si affloscino: nulla so di prove psicologiche o sportive, della caccia in generale della sensibilità femminile in particolare.

Annie Le Brun

Gruppo MAGOG