22 Settembre 2018

10 novembre 1989: la storia continua. Lo spettacolo teatrale sul Muro di Berlino

Nell’età in cui non capisci l’importanza degli eventi – quei 14 anni che sono pochi ma che ti sembrano già tanti – venne abbattuto il Muro di Berlino. In una giornata di novembre del 1989 l’Europa inizia il suo percorso di Unione, “ufficializzato” poi, ma forse solo monetariamente, una manciata di anni più tardi, o forse più. Negli anni in cui tutto era ancora lontano (alla fine degli anni Ottanta Ryanair e le altre compagnie “low” non avevano ancora iniziato ad accorciare le distanze), Berlino – la Germania no, ma la capitale sì – era una fatamorgana. Non una città ma solamente un nome, lontano, piantato in una pianura, legato alla guerra. E una lingua: quella inglese dei Pink Floyd, quella, nello specifico, di “The wall”. Il muro, per chi ascolta la musica, è quello lì: un cartone animato con i martelli che marciano in fila, come una danza, un “Bolero” rock lungo e apparentemente allegro.

Marco Cortesi, all’epoca dei fatti, aveva 10 anni. Nonostante avesse già superato l’età dell’imprinting, qualcosa di quell’evento gli deve essere rimasto dentro e dopo un’incubazione di diversi lustri ha partorito, assieme alla poderosa Mara Moschini, uno spettacolo teatrale. Teatro civile, per essere precisi: una modalità difficile, non priva di ostacoli. Raccontare la storia sui palcoscenici significa essenzialmente essere un grimpeur che affronta le salite più impervie, unendo gambe, concentrazione, cuore e passione.

Significa ascoltarsi dentro, e condividere una ricerca assieme a un pubblico.

Hanno scelto gli spazi più desueti, quelli lontani da squilli di trombe e tappeti rossi: Marco e Mara entrano da tempo nei luoghi della parola, scuole, teatrini off, giardini, piccole piazze. Vogliono che il loro teatrare sia fruibile, che arrivi in mezzo alla gente. Non deve sorprendere quindi che “Die Mauer • Il Muro” venerdì 21 settembre, sia stato presentato (e poi abbattuto) sul prato del “Centro Parrocchiale Giovanni Paolo II” di Santarcangelo di Romagna per una replica voluta da Agesci Gruppo Scout Santarcangelo 1.

Allestimento minimalista – i due attori prediligono il contenuto al contenitore – per non distrarre il pubblico dal racconto, costruito attorno a un elemento totemistico di grande impatto, quell’ulcera lunghissima che ha ferito a sangue una città, Berlino appunto, per quasi 30 anni.

Rispetto a “La Scelta. E tu cosa avresti fatto?”, lavoro a due voci di raro lignaggio poetico presentato (e visto, sempre a Santarcangelo, circa cinque anni fa), Marco e Mara, proseguendo nel solco della struttura meccanica e quasi militare dei loro spettacoli, con questo “dialogo” fanno un piccolo, ulteriore salto in avanti, non tradendo comunque il fattore “tempo”. Tempo che diventa elemento di “veridicità” (e, in parte, anche di “verità”): ne “La scelta” il pacifista Gabriele Moreno Locatelli venne ucciso a 34 anni, più o meno l’età che aveva Marco un lustro fa.

“Il muro” intreccia quattro storie apparentemente lontane che, nella formula già ampiamente collaudata dai due attori nei lavori precedenti, diventano poi “universali”: uomini e donne, ragazze e ragazzi uomini che si amano ma che non possono unirsi. Techne e poiesis, “saper fare” e “produrre”, superare il muro e cadere oppure accovacciarsi e poesare, far correre la fantasia, sognare un’unione fatta di parole “dette” e scritte, come graffiti di una generazione, quella della fine degli anni Ottanta, che è nata con quel valico davanti agli occhi.

Uno spettacolo filologico, rigoroso, che vuole raccontare una verità il più (s)oggettiva possibile: le voci degli attori si alternano alle tracce sonore che “fermano” – e restituiscono al pubblico – le testimonianze dei protagonisti, di coloro che hanno “vissuto” quella barriera. Emerge dalla polvere del cemento la storia Peter, che tiene in tasca l’anello che vuole donare all’amata ma che morirà dissanguato nell’ignoranza delle due polizie, e quella di Hans Weidner, autista “offeso” dalla guerra, un sovversivo che, nonostante le minacce della Stasi, si rifiuta di collaborare con al polizia segreta e che è riesce a scappare da Berlino Est. Blindando il suo autobus Vomag – testa di ariete formidabile – sfonda il muro e porta a Ovest la propria famiglia.

Emerge poi il racconto, bellissimo, di Gina, una giovane ragazza che ama allo stesso modo la fotografie e i Pink Floyd: impossibilitata ad assistere al live di Gilmour & co – lei che vive nella DDR quando l’esibizione è a Berlino Ovest, decide di “sentirlo” al di là del muro. Di quell’ostacolo alto 3,63 metri. Lei, come tanti altri coetanei della Germania dell’Est, uniti dalla passione del rock, da quelle sonorità proibite dalla polizia, che decide di “massacrare” quella gioventù ribelle e non allineata. La ragazza “ferma” nei suoi rullini gli scontri e li difenderà anche dalla Stasi, che li vuole far sparire, nascondendoli sotto la sella della sua biciclettina rossa.

Emerge infine lo sguardo di un padre, Holger, ex professore di matematica di 82 anni. Holger ha la voce di Marco. Holger ha perso un figlio, un figlio che voleva spiccare il volo verso la libertà ma che non ce l’ha fatta, schiantandosi contro quell’ulcera.

I giornali di tutto il mondo, la mattina del 10 novembre 1989, scrivevano: “La storia è finita”. In realtà “La storia non è finita” spiegano tra le righe Marco e Mara: va raccontata (e ascoltata) perché dimenticare significa morire una seconda volta.

Alessandro Carli

 

 

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