L’inafferrabile Francesco Consiglio mi fa giungere, come dispaccio estivo, un fascicolo in cui rifà il muso ai filosofi antichi. Il fascicolo s’intitola “Fake Filosofia. Storia della filosofia mezza falsa e mezza vera”; la lettura mi pare rigenerante, rinfrescante in questa papale idiozia estiva. Di Francesco Consiglio, noto a chi legge queste pagine, già autore de “Le molecole affettuose del lecca lecca” (Baldini Castoldi, 2014) è in uscita, per l’editore Castelvecchi, “Ammazza la star”. Qui la prima puntata della serie.
*
Secondo un antico mito greco, il dio Zeus, uno di quei tipici fannulloni dell’alta società che hanno in testa solo il sesso, mentre oziava su un divano di nuvole, guardò di sotto e s’innamorò di una bella ragazza di nome Europa intenta a raccogliere dei fiori nei pressi di una spiaggia. Invece di presentarsi come il dio potente che era, prese le sembianze di un toro bianco, le si avvicinò e si stese ai suoi piedi. Ora, se il capo di tutti gli dei pensa che una ragazza possa essere attratta più da un toro che da un dio, come minimo ha un problema di autostima. Ma se la ragazza, appena visto il toro gli salta in groppa mezza nuda, non ci sono dubbi: chiamate la neuro! Questa è da ricovero. In ogni caso, appena arrivati all’isola di Creta, Zeus rivela la sua vera identità e tenta di usarle violenza, ma Europa resiste. Allora, continua il mito, Zeus si trasforma in aquila e riesce a sopraffare la ragazza in un boschetto di salici. E qui, dovendo spiegare come un uccello riesce a possedere sessualmente una donna… no, no, che avete capito? Il mito parla proprio di un’aquila con il becco, le ali e le piume. E questo rapace si sarebbe accoppiato con la scema?
Capirete che per chiunque non sia un incrocio tra una scimmia e un cervello in salamoia, credere alle favole dei poeti non fosse così semplice. Figuriamoci per Anassimandro, filosofo, cartografo e indagatore della natura, fermamente convinto che questi dei così simili a uomini infantili e irrazionali, perennemente infoiati, non potevano avere generato il mondo.
Anassimandro, contrariamente al suo maestro Talete, era un uomo serissimo, e su di lui non ci sono aneddoti divertenti, tranne uno, che però ha un fondo di tristezza: una volta, dopo avere immaginato che la Terra vola in uno spazio aperto e non galleggia sull’acqua come invece pensava il suo maestro, fu preso da un attacco di felicità improvvisa e si mise a cantare. Alcuni bambini lo sentirono e risero di lui, forse perché era stonato come una campana. Allora Anassimandro dimostrò tutta la sua infinita pazienza e, invece di prenderli a sberle per la mancanza di rispetto, si limitò a dire: “Per amore dei fanciulli devo migliorare il mio canto”. Dopo avere lungamente provato, si arrese all’evidenza di non avere una voce da usignolo. L’eco delle risate di scherno si trasformò in una sorta di maledizione millenaria e, da quel giorno e fino a oggi, nessun filosofo è stato più udito cantare in pubblico.
Anassimandro continuò a sfornare idee straordinarie, come quella che fa derivare la nascita del genere umano dai pesci, in senso quasi darwiniano, o quell’altra che individua la sostanza originaria delle cose in una realtà soprasensibile chiamata ápeiron che si trova alla periferia di un universo sferico al cui centro è posizionata la Terra. Erano teorie così lontane dal modo di pensare dei suoi contemporanei che più d’uno avrebbe voluto chiedergli: “Maestro, com’è possibile vivere sospesi nell’aria senza mai cadere? O stiamo invece cadendo da un tempo immemorabile e prima o poi faremo il botto? E se gli uomini e i pesci si rassomigliano in più di un punto, perché gli uni affogano nell’acqua e gli altri soffocano nell’aria?”. La filosofia dovrebbe nutrirsi di domande e risposte, ma da quando Anassimandro aveva rinunciato alla passione per il canto, la sua faccia era così seria da scoraggiare ogni obiezione.
Francesco Consiglio