12 Settembre 2018

Fascista e partigiano: la storia di Uber Pulga, emblema della “guerra civile” italiana. Dialogo con Alessandro Carlini, tra Fenoglio, Grossman e la memoria ulcerata

Cosa significa tradire quando una intera generazione è stata tradita nelle sue attese, nelle sue speranze? Il momento davvero memorabile è a pagina 114. Fine gennaio 1945. “Ce l’ha proprio di fronte, a pochi centimetri, può notare ogni particolare del suo viso. Le occhiaie scendono sulle guance pallide, il sorriso è stentato, la mascella molle e scarnificata che pende da quei due zigomi sporgenti, ha perso tutta la virilità di cui si parlava”. Benito Mussolini, sbarcato dalla Fiat personale, nomina Uber Pulga “sottotenente della divisione Italia” per meriti: ha sgominato una banda di ‘resistenti’, di partigiani, li ha sgozzati. Ma quando Uber afferra la mano di Mussolini, “è gelida”, s’accorge, “come quella di un morto”. Poi parte il mortifero flash back: “A Uber vengono in mente le mani dei corpi che ha toccato e preso di peso per spostarli come sacchi di patate. Le mani dei morti jugoslavi, dei morti dei villaggi bruciati, quelle dei suoi camerati morti nella fuga dalla Sardegna… ma la mano del Duce sembra più morta di tutte le altre”. Che valore la parola ‘coerenza’ nel grumo atroce della guerra civile del 1943-45, quando gli italiani falciavano gli italiani, macello di concittadini, scanno di compatrioti? Uber Pulga, caporale di militare audacia, il giorno dell’Armistizio è tra i paracadutisti Nembo, in Sardegna. Il suo battaglione si schiera con i tedeschi, gli alleati dell’Italia mussoliniana: un gesto di livida coerenza che riguarda molti italiani. Uber, svelto di testa e d’azione, impara il tedesco, è arruolato tra i servizi segreti delle SS, insediato tra le file partigiane, a sabotarne le gesta. Ma è quando incontra Mussolini, allo stremo, che Uber capisce. Capisce che la gloria italica è un ghigno disperato, che la colpa è un bastione di ferro, che bisogna fare la cosa giusta, ora. Divenuto partigiano, beccato mentre ruba alcune armi ai nazi, infine, Pulga, decorato ardito fascista, viene giustiziato dalle Brigate Nere. La storia di Uber Pulga, sempre con il cuore in prima linea, che ha sfidato la vita con ferocia, icona dello smarrimento degli italiani durante quei due anni durissimi, d’eroismo truce, di scelte sempre sbagliate, sempre parziali, pare scattare da un racconto di Beppe Fenoglio, da un bagliore di Vita e destino, il romanzo epocale di Vasilij Grossman. L’ha scritta, invece, un giornalista di genio, Alessandro Carlini, che ha dissotterrato la storia di Uber Pulga, raccontata come Partigiano in camicia nera (Chiarelettere, 2017), tra le memorie sepolte della famiglia – è un cugino di quarto grado – commiste a una mole di documenti raccolta in Italia e all’estero per anni. Dieci anni. Tanto a lungo questa storia – narrata con scaltrezza da scrittore – è maturata nella testa di Carlini. Ora torna in vita – perché ogni vita, ogni ulcera, ogni scandalo di quegli anni decisivi e totali deve tornare alla luce: solo così non saremo una stirpe di giustiziati. (d.b.)

libro carliniIntanto: come ti è capitata tra le mani la storia di Uber Pulga e perché hai scelto la via narrativa rispetto al saggio storico? Quali sono state le tue ‘fonti’ narrative, gli scrittori che ti hanno aiutato a dare un tono, un ritmo alla narrazione?

La storia di Uber Pulga rappresenta l’eredità che mi ha lasciato mio nonno materno, Franco Pulga, cugino di secondo grado del protagonista. L’ho custodita per anni nei ricordi, immaginata ed elaborata, e poi in età adulta sono passato alla raccolta delle fonti storiche partendo dai documenti arrivati alla mia famiglia (lettere, foglio matricolare, testimonianze etc.) per cercarne altri negli archivi, in Italia e all’estero. Un viaggio alla scoperta delle mie radici familiari che è stato un viaggio alla scoperta delle radici di un intero Paese, segnato dalla guerra civile del biennio ‘43-45. Per lo slancio emotivo necessario in questo sforzo personale ho puntato sulla via narrativa, preferendola rispetto a quella del saggio storico. Questa scelta è stata fondamentale perché non volevo limiti e vincoli di nessun genere nel descrivere la psicologia del protagonista e della sua generazione, per coglierne gli aspetti più profondi e oscuri, le diverse sfumature, le scelte tragiche e sofferte. Tutto questo andando oltre la divisione canonica di schieramenti e divise. Il processo è stato molto lungo, è durato circa 10 anni, e gli scrittori ai quali mi sono maggiormente ispirato sono stati due, Beppe Fenoglio e Vasilij Semënovič Grossman. In misura diversa, pur essendo stato il primo un partigiano nelle Langhe e il secondo il più grande inviato di guerra dell’Armata Rossa da Stalingrado a Berlino, nelle loro opere sulla Seconda Guerra mondiale hanno osato guardare anche negli occhi e nella psicologia del nemico, e quindi nello schieramento nazifascista. Ho tentato, nel mio piccolo, di proseguire lungo quel cammino e mi sono addentrato nella figura di Uber Pulga per scoprire un uomo che sfuggiva alle normali categorie. C’è una frase di Cesare Pavese che ben riassume lo sforzo che ho cercato di compiere e la chiave interpretativa che ho adottato: “Ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione”.

Quando decide di optare per il fascismo, Pulga, e perché? E come mai passa ai partigiani?

Uber, preferisco chiamarlo per nome, essendo mio cugino di quarto grado, aderisce alla Rsi quando questa ancora non esiste. Mi spiego meglio. Quando arriva l’8 settembre del ’43 e l’armistizio, si trova col XII battaglione della divisione paracadutisti Nembo, in Sardegna. Quel reparto compie un vero e proprio ammutinamento, in quanto decide di restare con gli ormai ex alleati tedeschi e per farlo va contro gli ordini dei propri comandanti. In quelle ore confuse viene ucciso da alcuni uomini del XII battaglione il tenente colonnello Alberto Bechi Luserna, un eroe di guerra che aveva cercato di far desistere gli ‘ammutinati’. Italiani che ammazzano altri italiani, addirittura dello stesso reparto: lì inizia la guerra civile del biennio ’43-’45. Uber si trova, come gli capiterà spesso in quegli anni, al centro degli eventi. Fa la sua scelta per ‘coerenza’, anche se oggi ci può sembrare strano, decide così di restare con la divisione tedesca alla quale il suo reparto italiano era stato affiancato. È solo l’inizio di una nuova esperienza drammatica che lo porterà prima a diventare una spia al servizio dei tedeschi e della Rsi, infiltrato tra i partigiani della provincia di Reggio Emilia. E poi, dopo l’incontro con Mussolini nel gennaio 1945, a rinnegare i suoi ideali fascisti, quando comprende che l’Italia è ridotta a un cumulo di rovine sopra una distesa di morti e lui ha contribuito a creare quell’inferno.

Uber Pulga
Uber Pulga (1919-1945): soldato, fascista, spia, partigiano

Ricordaci l’incontro di Pulga con Mussolini: il contesto, il motivo.

Mussolini, in una delle ultime apparizioni pubbliche prima della morte, visita a fine gennaio del ’45 la divisione Italia (nuovo reparto di Uber dopo la nascita della Rsi) di stanza nella zona di Collecchio, Parma. Il protagonista è appena tornato dalla missione come spia infiltrata fra i partigiani di Reggio Emilia e il Duce lo promuove per i suoi meriti di guerra (ha decapitato i vertici di un Gap nella zona di Reggiolo) a sottotenente, di fronte alla sua compagnia. Dovrebbe essere l’apoteosi nella carriera militare di Uber, arruolatosi come soldato semplice. Inizia invece la profonda crisi che lo porterà ad affrontare il suo senso di colpa e il suo tragico destino cercando una sorta di “bella morte”, ma fra le fila dei partigiani sulle colline fra Parma e Reggio Emilia.

Traditore degli uni e degli altri – perciò fedele a tutti –, fedele, forse, a se stesso. Per certi versi la storia di Pulga sembra una catabasi negli enigmi del cuore umano. Che idea ti sei fatto del suo agire?

Sembrerebbe il personaggio più incoerente che si possa descrivere, o peggio un voltagabbana, un opportunista. Invece è proprio il contrario. In Uber Pulga c’è una coerenza personale perché ogni scelta è portata alle estreme conseguenze. Mette sempre tutto sul piatto, si gioca la vita, sia quando è fascista che quando diventa partigiano. E c’è un destino comune che lo lega in quegli anni a migliaia di italiani, anche agli stessi partigiani, cresciuti nel solco del fascismo, ma che poi di fronte al suo fallimento hanno scelto la strada opposta entrando nella Resistenza. Si potrebbe affermare che Uber Pulga incarni o personifichi la guerra civile, le due anime protagoniste, è vincitore e vinto, fascista e partigiano.

D’altronde, la guerra ‘civile’ italiana, in sé, non è forse un grande tradimento? Cosa, di attese smarrite, di utopie corrotte, si legge dell’Italia attraverso la storia particolare di Uber Pulga?

Quella a cui appartiene Uber Pulga, qualsiasi schieramento si consideri, è una generazione tradita. Traditi dal regime fascista e dai Savoia i giovani mandati al macello sui campi di battaglia in Russia, Africa e Grecia (per citare alcuni fronti) con la consapevolezza di essere male armati e ancor peggio guidati da generali incapaci. Traditi i giovani arruolati tra le fila della Rsi col bando Graziani e la minaccia dell’internamento in Germania, nonostante le rivendicazioni post-’45 dei nostalgici nudi e puri. E traditi, anche loro, i partigiani, che si sono ritrovati in un processo incompiuto, con una epurazione dai fascisti fatta solo a livelli molto alti (e non sempre) e una promessa di rivoluzione mai attuata. Contraddizioni e conflitti che ci siamo portati dietro per decenni, nelle piazze, negli Anni di piombo e ancor oggi nel settarismo che divide la nostra società.

Nel libro, non c’è traccia di assoluzione. Sappiamo che la storia la scrivono i vincitori e che di alcuni uomini è dannata la memoria. Che cosa ti prefiggi con questo libro?

Come sostengo nel libro, il grande problema è che la storia la scrivono e la riscrivono i vivi ancor prima dei vincitori. Ovvero la utilizzano nel loro periodo storico a proprio uso e consumo. Vorrei invece ricondurre anche la storia lacerante di quei giorni a una dimensione personale, intima, il più possibile libera dalla strumentalizzazione ideologica e politica. Inoltre non si deve aver più paura di raccontare qualsiasi vicenda. E così si comprende come l’esperienza di Uber Pulga sia più vera e per certi versi anche più illuminante di tante altre che riguardano cosiddetti eroi senza macchia. Il fine ultimo di questo libro è quindi quello di tentare la strada di una riconciliazione nazionale, concetto abusato ma purtroppo mai realizzato anche se da quei giorni sono passati più di 75 anni. La riconciliazione scaturisce da una memoria condivisa. E costruirla è arduo se non impossibile quando ancora tanti, troppi italiani, vivono la storia con lo stesso spirito di un ultrà a una partita di calcio.

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