06 Gennaio 2019

“Il buco del desiderio”: considerazioni su “L’ultimo metrò” di François Truffaut

“Il cinema è l’arte perversa per eccellenza. Non ti offre quello che desideri, ti dice come desiderarlo”. S. Žižek, Guida perversa al cinema

“Il cinema è un linguaggio artistico, non filosofico. Può essere parabola, mai espressione concettuale diretta”. Questo, nel 1965, scriveva Pasolini in uno dei suoi saggi “eretici” intitolato Il cinema di poesia. Ma se è pur vero che il cinema non può essere concettuale e filosofico, nessun’arte più del cinema ha evocato a tal punto il fantasma del desiderio in tutte le sue accezioni fino a diventarne la forma simbolica.

TruffautLucas Steiner è un regista e impresario ebreo che per sfuggire alle persecuzioni razziali delle truppe d’invasione tedesche in Francia è costretto a nascondersi nella cantina del teatro nel quale sua moglie e un gruppo di attori stanno provando una commedia. Tutti sanno che Lucas è scappato perciò, tranne la sua giovane e bella moglie Marion (interpretata da un’avvenente Catherine Deneuve), nessuno immagina che egli vive là sotto da mesi. Ogni sera, finite le prove dello spettacolo, gli attori della compagnia lasciano il teatro e Marion si reca in cantina da Lucas a prendere suggerimenti per migliorare la commedia. Lucas è prodigo di consigli artistici ma desidera Marion e vorrebbe che lei gli si concedesse di più. Il desiderio dell’uomo nei confronti di sua moglie è evidente e palese in diverse scene del film, come quando, seguendola su per una scala a chiocciola, le dice: “Credi che ti faccio passare per prima, per educazione? Ma nemmeno per sogno! Per guardarti le gambe”.

Oppure quando la rimprovera di non passare del tempo con lui e di non fermarsi a dormire nel suo letto: “Diserti la topaia coniugale”.

Tuttavia Lucas escogita un metodo per partecipare alla vita teatrale dei suoi attori ed essere il più possibile vicino a sua moglie pur senza essere visto: scava un buco nel muro che comunica con una botola del palco. Da lì riesce a sentire ogni cosa venga detta dagli attori mentre provano ma, soprattutto, ode la voce della sua amata Marion. Marion “gli parla” attraverso il buco cosicché il buco stesso diventa Marion. Il suo desiderio di avere Marion si tiene vivo e acceso soltanto ascoltando costantemente la sua voce attraverso il buco. Il suo oggetto del desiderio, quindi, passa attraverso quel buco nella parete ed è all’interno di quel buco che si realizza l’impossibilità del suo godimento. Lungi dall’essere una banale rappresentazione dell’organo genitale femminile, è tuttavia sui bordi del buco che Lucas consolida la sua energia pulsionale. Sono i bordi, infatti, che rendono visibile e fanno sì che il buco sia e diventi tale. Il buco del godimento è quello che per Lacan è l’object petit a, l’oggetto piccolo (a), ossia un vuoto, una mancanza che tuttavia pretende ancora di afferrare la possibilità (anche residuale) di un godimento assoluto. Ma nel film il godimento di Lucas è impossibile anche per un’altra ragione. Se Lucas seguisse il suo desiderio di possedere sua moglie e uscisse allo scoperto lasciandosi vedere da tutti, vale a dire se attraversasse il buco lasciando cadere il velo dell’innocenza e si spingesse al di là del freudiano principio di piacere (Lustprinzip), sarebbe consegnato ai tedeschi e pagherebbe con la vita la sua intemperanza. Il buco nella parete è dunque la profondità cava e mancante che separa il corpo di Lucas dal godimento (impossibile). In altre parole, oltre quel buco c’è la faccia mostruosa e intollerabile del Reale. Che il buco rappresenti Marion è infine confermato da una delle ultime scene del film. La Gestapo vuole ispezionare la cantina del teatro. Marion, preoccupata per la sorte del marito, chiede a Bernard, un giovane e bravo attore della compagnia (Gérard Depardieu) del quale si è innamorato (instaurando, come già in altri film di Truffaut, il classico triangolo amoroso) e di cui evidentemente si fida, di aiutare Lucas a dissimulare la sua presenza nel nascondiglio prima che i due poliziotti tedeschi facciano il loro sopralluogo che, per fortuna, si conclude senza nefaste conseguenze. Dopo che la Gestapo è andata via, Bernard e Lucas restano da soli nella cantina. Giacché il regista ha capito l’interesse della moglie per l’attore, tra i due nasce un breve dialogo. Non credo sia un caso se tale dialogo cominci proprio dalla parola “buco” e sfoci nella domanda cruciale in cui il desiderio di Lucas diventa il desiderio di Bernard: “Ditemi, è bella mia moglie? Voglio farvi una domanda, Bernard: lei è innamorata di voi, ma voi sentite di amarla?”.

La scena si svolge proprio davanti al buco-Marion e si chiude clamorosamente proprio quando, incalzato dalle domande di Lucas, Bernard (forse imbarazzato dalla sfacciataggine del rivale) si gira a guardare il buco nella parete. Il godimento irrealizzato e insoddisfatto attivato dal desiderio di Lucas per Marion, a questo punto è diventato non più Marion nell’immediata simbolizzazione del buco ma quello stesso buco nel desiderio di Bernard. Il desiderio, come avrebbe sentenziato Lacan, è il desiderio dell’Altro.

Vincenzo Liguori

Gruppo MAGOG