24 Ottobre 2024

Nessuna stella da inseguire. Su “Patriottismo psichedelico”, album dei Post Contemporary Corporation

Cultura di destra (1979) di Furio Jesi è un libro controverso, a tratti crudele. Di esso, nella sua complessità, prenderemo solo una piccola parte trascurando il resto. Parte però centrale nella sua trattazione.

“La cultura di destra è caratterizzata (in buona o cattiva fede) dal vuoto”[1] afferma lo studioso, per poi dire altrove: “La maggior parte del patrimonio culturale, anche di chi oggi non vuole affatto essere di destra, è residuo culturale della destra”[2].

La principale critica che il saggista fa alla cultura di destra prende di mira l’aridità del simbolo il cui significato riposa in se stesso, il mito eterno, immobile, che veicola le Spengleriane “idee senza parole” e crea una sorta di religione della morte, in cui l’evocazione sostituisce il discorso. Il mito così inteso per Jesi è come l’abito buono della domenica, una cosa da esibire, il lusso, l’argenteria. 

A proposito di Liala egli sostiene:

“(La cultura di destra) possiede tutta la sua oscurità che è dichiarata chiarezza, tutta la sua ripugnanza per la storia che è camuffata da venerazione del passato glorioso, tutto il suo immobilismo veramente cadaverico che si finge forza viva perenne”.

Naturalmente non è così, non sempre ameno; occorre contestualizzare le parole nella temperie degli anni di piombo e della violentissima contrapposizione culturale dell’epoca, tanto più che Jesi attribuisce l’ampio utilizzo di una “argenteria” similare anche all’honnête homme borghese post rivoluzionario o all’aedo risorgimentale.

Proprio uno di questi ultimi, un letterato massone che tenne un discorso (in realtà due) in occasione della morte di Carducci nel 1907, Jesi prende come esempio di oratore del vuoto e dei miti-feticci:

“Ma il Carducci è per poco e raramente di sé. Poche volte solamente la sua personalità è fatta oggetto di poesia; e con che scherno lancia i suoi versi contro i poeti (…) Stretto ai classici latini e greci, occupata la mente della loro civiltà e coltura, canta egli pure i loro iddii e a quella mitologia che a molti dei suoi contemporanei, di arcadici fronzoli adornata, era oggetto per se stessa, ricorre a trar nuove immagini e più efficaci per i suoi versi (…) Poi, con rapida evocazione, ecco sfilare innanzi gli occhi nostri le figure del Parini, dell’Alfieri, del Metastasio, del Monti. E ritorneranno e aumenterà la schiera dei grandi che alto han levato il nome dell’Italia”.

E qui, nella constatazione della nullificazione del discorso, oggi molto più tremenda e pervasiva dell’epoca in cui uscì Cultura di destra, che l’intellettuale di sinistra Furio Jesi e l’artista di destra Valerio Zecchini possono forse trovare un piccolo terreno comune. Zecchini è cantante e leader dei Post Contemporary Corporation, il cui ultimo album Patriottismo psichedelico è un omaggio e al tempo stesso un’irrisione della cultura di destra, sostanziato in un sarcasmo malato, splendidamente declamato da Zecchini, sulla desertificazione per accumulo della vita contemporanea.

“E poi, esiste la possibilità di un mutuo agevolato per non credenti o di una fideiussione per narcisisti?”. Sono versi che vanno oltre la morte di Dio, sono delirio sacro che si fa autofagia, derisione che è un puro brandello di dolore cosmico estratto come un organo dal corpo dell’autore.

Qua e là si riconosce una contemplazione del sacro come, in Avamposto della religiosità visionaria, la purezza nera di quell’Islam che pure, come tutta la vitalità del Sud del mondo, nel pensiero di Zecchini fatalmente ci divorerà.

I luoghi comuni della cultura di destra rantolano per accumulo, sono un desiderio di ascesi da pensionati, sintomi di cretinismo e dissoluzione dell’uomo sedicente integrale che ha preferito definitivamente la prosopopea all’atto ed è nudo nel suo esistere appena.

La meravigliosa chitarra del compianto Dario Parisini, qui in una delle sue ultime registrazioni, nel suo essere plastica ed essenziale, costruisce in un fluttuare quasi industrial la struttura portante dell’album, mentre i synth di Roberto Passuti e Luca Oleastri decorano quasi silenziosamente il tutto.

Non una nota sprecata. Non una parola. Non un cielo dove fuggire né alcuna stella da inseguire. 

Roberto Franco


[1] Prefazione di Andrea Cavalletti a Cultura di destra, Nottetempo 2022

[2] Furio Jesi Cultura di Destra, Nottetempo 2022

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