John Dowland fu svariate persone: musicista, uomo di corte scalognato, informatore. Nacque cattolico da qualche parte in Irlanda nel 1563, anno di chiusura della Chiesa cattolica dopo il concilio di Trento contro i protestanti e del nord e anno, fatalmente, della scomparsa di Michelangelo. I testi di Downland più famosi sono su Poetry e, come d’abitudine, ignoti in Italia.
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John Dowland oggi gode un riverbero di fama dopo che Sting nel 2006 ha lanciato un album, Songs from the Labyrinth, con musiche e testi del musicista ai suoi tempi campione di liuto. Con le parole di Sting: “Dowland per me è musica di riflessione su di sé. Questa riflessione è un concetto molto sottovalutato nella nostra società. Questo genere di riflessione ti porta alla malinconia e questa è una buona emozione. Nulla a che vedere con la depressione che invece è un serio problema clinico. La malinconia ti porta alla riflessione, a un senso di umiltà, un senso di gentilezza, di compassione – ecco perché ne abbiamo bisogno”.
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Sting ha dato voce alla malinconia di un uomo del Cinquecento. Sting parla per noi più degli eruditi (Starobinsky, Panofsky & Saxl) per farci capire cosa sentivano gli uomini della cosiddetta Prima età moderna che veramente percepivano ballare la terra sotto i loro piedi dopo che gli avevano spiegato che il sole sta fermo ed è quello, non la terra e il suo Dio, il centro dell’universo – per quel poco che se ne poteva sapere: “Tutto il cielo per come lo attraversano le stelle, il nostro fioco pianeta si muoverà”.
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Di qui lo scrupolo di Dowland a ribadire la futilità di tutto, di qui l’esaltazione dell’amore – se è vero che nulla vale, allora possiamo gettarci a capofitto nella più oziosa delle passioni, usurata da mille poetini inglesi che scopiazzavano da Petrarca (Sidney e Spenser inclusi). Così che il vieto paragone stilnovista degli occhi dell’amata prende nuova vita: “Ma gli occhi celesti del mio sole/ Non ti vedano piangere”.
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La novità di Sting rispetto a chi eseguiva prima di lui Dowland è che Sting è andato sul colloquiale, in intimità con quella voce antica perché ai suoi tempi il ‘bel canto’ non era ancora stato inventato, è scoperta di fine Seicento. Di qui l’inserzione nell’album, novello Faber in salsa protestante, di stralci di lettere di Downland. Ora, per la storia, Dowland fu un informatore. O spia, se preferite il termine. Del resto, non si è mai capito se fosse figlio di Maria oppure…
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Il testo privato più esaltante per gli studiosi di storia, e non solo, è questa lettera al suo protettore Sir Cecil, ambasciatore a Parigi. Sting cita da qui. Io vi propongo un assaggio che vale cinquanta romanzi gialli perché è vita vera, senza patine. Poi chi vuole annoiarsi va a leggersi le note del filologo che ti fanno trovare il solito ragnetto nel buco…
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“E un pomeriggio che camminavo in Piazza a Firenze un gentiluomo mi disse che stava spiando un prete inglese e che il suo nome era Skidmore figlio del noto Sir John Skidmore di Corte, così volendo andarmene a Roma a studiare col famoso musicista Luca Marenzio, feci una girata da questo signor Skidmore il prete e gli chiesi se fosse inglese e mi disse di sì, che era figlio di chi sapevamo e fu lieto di sapere il mio nome perché avevo bisogno di una sua parola per miglior sicurezza. Gli dissi Se dovessero prendere un granchio allora sarei in difficoltà perché già sono in cattive acque credendo tutti a corte che io sia cattolico. La Regina [Elisabetta] mi ha fatto sapere dalle voci che ha messo in giro che io sarei in grado di servire ogni principe di questo mondo e che comunque sarei un ostinato papista. Al che rispose Signor Downland, se non fosse così, Lei faccia in modo che le parole della Regina siano fatte vere”.
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Pare Shakespeare: For I hard that Her Majestie beinge spake to for me, saied, I was a man to serve any princ in the world, but I was an obstinat papist. Whearunto he answered, Mr. Dowlande, if it benot so, make her words true. È più del vecchio William: è sangue…
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Questo Mr Skidmore, il prete, sarà croce e delizia del nostro. Fino alla biografia canonica su Dowland uscita più di trent’anni fa, il nostro è circondato di ambiguità. Si legge nella lettera di prima: “Il prete mi disse che avrebbe difeso il suo paese contro gli Spagnoli e che sarebbe tornato in Inghilterra con una picca sulle spalle”. Di ambiguità in ambiguità: Dowland esibisce il suo cattolicesimo recepito tra Irlanda e Inghilterra mostrandosi scontento della Regina; la spia papista, verosimilmente un gesuita, esibisce le sue credenziali inglesi e sostiene che la vera Inghilterra è la sua. Aggiungendo che disponeva di jares, marionette, da mandare nell’isola.
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Si ha la sensazione che Dowland fosse coinvolto in un grande gioco troppo più grande di lui, e diversamente da Kim non aveva una giungla indiana dove nascondersi. Nel Cinquecento, l’Europa intera era una giungla…
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Per rendersi specchiato, comunque sia, Dowland spedì poi a Parigi la lettera di raccomandazione del prete che oggi è conservata insieme alla lettera a Sir Cecil.
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La vita di Dowland, passo passo, la trovate qui. La trascorse per lunghi anni suonando in Danimarca. Dedicò il Primo libro di canzoni a Lord George Carey che tra le altre cose era membro del Consiglio Privato, come dire un antesignano dei Servizi di Sicurezza. Nella dedica gli scrisse parole alate: “quell’Armonia che cerca, Giusto Signore, è espressa con sapienza dagli strumenti che per la varietà di numeri e proporzioni distendono la mente di chi ascolta, producendo ammirazione e delizia: potere e autorità della Musica che unisce alla dolcezza dello strumento la viva voce dell’uomo enunciando valide sentenze o, se preferisce chiamarle così, poesie. Di qui Lino, Orfeo e tutti gli altri…”. E poi la sua dichiarazione di innocenza dopo il viaggio in Italia: “Quanto tempo abbia dedicato diligentemente alla ricerca della musica, quali viaggi in paesi stranieri, quale successo e stima abbia trovato presso questi stranieri, lascio dire ad altri”.
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La verità vera è che lui da irlandese si capiva benissimo col musico Luca Marenzio nativo di Coccaglio, Brescia, luogo dove attecchivano le eresie del nord e gli inglesi non venivano visti in blocco come dei diavoli. Per giunta, Marenzio suonava per il cardinal Madruzzo che era uno dei più miti nello schieramento cattolico e al concilio di Trento cercava senza speranze un compromesso onorevole coi dogmi protestanti…
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Coda. A cavallo tra Cinque e Seicento Dowland suonava in Danimarca. Fa un certo effetto leggere la dedica del Secondo libro di Canzoni (1601) rivolta a Lucie contessa di Bedford. “A giudizio degli antichi, la Musica era per eccellenza femminile così che le Muse presero di qui il loro nome… possa Vostra Signoria accogliere questo lavoro che giunge da una terra straniera. Da Helsingnoure in Danimarca il primo di giugno 1600. In umile devozione, John Dowland”.
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Tra 1600 e 1601 il signore di Stratford sull’Avon ambienterà una certa storia di figli complessati in quel castello danese. Che letteratura, la vita… (Andrea Bianchi)
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Dalla lettera di dedica di Lachrymae (1604) ad Anna di Danimarca, moglie del re inglese Giacomo I, autore dello staliniano libro sui Doni del Re (Basilikon Doron):
“Ho avuto la presunzione di dedicare questo lavoro musicale alle vostre sacre mani, perché lo iniziai nella terra dove siete nata, e la terminai dove ora regnate. Benché il suo titolo prometta lacrime, inadatte a questi tempi gioiosi, pure senza dubbio piacevoli sono le lacrime quando sgorgano dalla musica, né poi si piange sempre per tristezza: talvolta si piange di felicità e contentezza. Quindi, volendo Iddio, prendete sotto la vostra protezione questi zampilli di Armonia: almeno, se faranno socchiudere i vostri occhi, quegli zampilli per Metamorfosi si faranno vere lacrime.
In umile devozione
delle Vostre Maestà
John Dowland
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Cara, se tu cambi, non farò più la mia scelta;
Dolce, se tu vai a fondo, non penserò più all’amore;
Specchiata, se tu fallisci, giudicherò vana tutta la bellezza;
Saggia, se troppo debole, non tenterò più il verso;
Cara, dolce, specchiata, cambia pure,
Va’ a fondo senza esser debole
E sulla mia fede, la mia fede non si spezzerà mai.
Presto la terra adornerà il cielo coi suoi fiori;
Tutto il cielo per come lo attraversano le stelle, il nostro fioco pianeta si muoverà,
Il calore del fuoco scemerà e verrà il tempo del gelo di fiamma;
L’aria, fatta per risplendere, sarà nera come l’inferno:
Terra, cielo, fuoco, aria, il mondo
Apparirà trasformato,
Ma prima di allora –
O sarò falso per fede
O un estraneo per te.
(Primo libro di canzoni, 1597)
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Finitela di piangere, tristi fontane;
Perché avete bisogno di scorrere così velocemente?
Guardate come il sole del cielo gentilmente
Distrugge le montagne nevose.
Ma gli occhi celesti del mio sole
Non ti vedano piangere
Ora che lei giace dolcemente
Dormendo, ora che giace dolcemente dormendo.
Sonno è riconciliazione
Un riposo che dà la pace.
Il sole non sorride forse
Quando sincero si leva al mattino?
Riposatevi dunque, occhi tristi,
Riposatevi senza sciogliervi nelle lacrime
Mentre lei ora giace dolcemente,
Ora che giace dolcemente
Dormendo.
(Terzo libro di canzoni, 1603)
*In copertina: Theodore Rombouts, “Il suonatore di liuto”, 1620