Nell’immagine onnipossente, la donna, dopo anni di isolamento, decapita una tigre: è ora pronta ad approcciare e ad accettare gli insegnamenti oscuri del buddismo. Vissuta nell’VIII secolo, Yeshe Tsogyal è la figura femminile più importante del buddismo tibetano: Regina del Lago della Sapienza, Oceano Vittorioso del Sapere, è ritenuta la reincarnazione della madre del Budda, Maya, quando non la reincarnazione in foggia femminile del Budda stesso. Insieme a Padmasambhava, il Prezioso Maestro nato dal Loto, suo maestro e compagno, avrebbe incardinato in Tibet un buddismo specifico – fondato, genericamente, sul Tantra – e svelato i cosiddetti terma, insegnamenti nascosti, atti a proteggere e a illuminare.
Incerti i rigagnoli biografici di Yeshe Tsogyal: alcuni dubitano della sua reale esistenza. Stando alle cronache spirituali, la donna sarebbe nata in Tibet intorno al 777, da famiglia di alta nobiltà. Favolistico il parto – secondo i modi del Budda: la madre l’avrebbe messa al mondo senza dolore, cullata dai lembi di un mantra –, mirabile la giovinezza. Sfuggì a orde di pretendenti, fu costretta ad accettare l’unione con Trisong Detsen, imperatore del Tibet. In quel periodo, Padmasambhava decise di trasferirsi dall’India, portando in Tibet i suoi saperi. Yeshe Tsogyal mollò la corte per seguire il maestro, diventando la sua consorte. Le storie, tuttavia, non fanno di Yeshe Tsogyal una mera appendice di Padmasambhava, una pia discepola: è lei, in solitudine, facendo pratica, tra asperità e assoluti, a inoltrarsi nei misteri della vita contemplativa, a raggiungere la perfezione, tanto da fondare una propria scuola, con un numero di adepti e un lignaggio che si traccia fino ad oggi.
Di lei – vissuta, pare, centenaria – resta il culto, imperituro, e una manciata di poemi sapienziali. In Italia, di Yeshe Tsogyal è presente la biografia magica di Padmasambhava, Nato dal fiore di loto (Eifis Editore, 2020); altrimenti, per avere notizie su di lei, bisogna volgersi in area anglofona: Lady of the Lotus-Born: The Life and Enlightenment of Yeshe Tsogyal (2002), The Life and Visions of Yeshe Tsogyal: The Autobiography of the Great Wisdom Queen (2017). Alcuni insegnamenti in lirica sono raccolti nell’immane The Shambhala Anthology of Women’s Spiritual Poetry (2002, a cura di Aliki Barnstone).
Come nel caso di Milarepa – i sublimi Centomila canti sono editi in Italia da Adelphi, 2002, ma al primo volume non è poi seguito il secondo –, anche per Yeshe Tsogyal la poesia è il veicolo eccellente per la trasmissione della sapienza. Non si tratta, va da sé, di poesia come ce la immaginiamo: verbi messi in posa per la cura dell’io o di una corte, a favore di cronaca e di bei sentimenti. Il pubblico di questi versi sono i discepoli, la versificazione pretende ascesi, è piena di trappole verbali, ti tiene a preda. Di fatto: ciò che si può tradurre di questa pratica è la mera trama del dire; il remoto – a noi balbuzienti dello spirito – resta inaccesso. Ciò che si traduce, in sintesi, è il miraggio, il mero schermo, il velame verbale: ci si accontenti – il lettore sia in grado, a seconda del rafting mentale, della tempra d’anima, di passare dalla pozza all’oceano. Come i grandi presocratici – Parmenide, Empedocle, per dire – Yeshe Tsogyal procede per visioni, allusioni, lumi sotto torchio di bava: il greto biografico non è mai ‘confessione’ ma comunione, bestia mossa al rito. Tutto sta nello smuovere il verbo, appunto, perché cagli e si faccia altro: le parole ci legano a questo mondo, ci bendano, ci inchiodano; le parole, allo stesso tempo, sono l’unica arma per liberarci dal giogo del mondano. Come piccoli coltelli, scavano spiragli tra questo e gli altri mondi, scalciano, piccole lame infanti. Leggere vuol dire dunque sprigionare, spaccare gli specchi.
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Yeshe Tsogyal
(Tibet, 757 ca. – 817)
Finché la mente dell’identità dualistica non si scinde e dissolve
potrebbe sembrarti che ci stiamo separando.
Ti prego, sii felice. Quando comprenderai
la mente duale, nessuna separazione
potrà dividerci. I miei auguri saettano in cielo.
*
Udite, fedeli del Tibet:
mi immergo nel fondamento, nella radice di tutto ciò che è –
il dolore e la sofferenza svaniscono…
Il figlio si ricongiunge alla madre, l’elemento
interiore del corpo con quello esteriore.
I resti svaniranno nella terra e nella pietra.
La compassione non mi abbandona:
le agnizioni del maestro riempiono il cielo
e gridano, beneaugurali.
Questa donna selvaggia ha rotto tutto:
molte volte sono fuggita, ma ora non ha senso.
Sono la moglie tibetana che torna nel seno della famiglia
ora sono la Regina, la Benevola, il Dharmakāya.
La nera signora che di nulla ha bisogno
ha scosso le cose da ogni parte:
ora seguirò il sentiero del Sudovest.
Gli intrighi sono terminati
gli intrugli, i cascami dell’illusione e gli inganni:
ora mi faccio strada nella distesa del Dharma.
Ho pianto quando molti uomini
mi hanno piantata – ma ora sono io
quella che si avventura nelle terre del Buddha.
*
Bianca è la mia mente, più bianca dei monti che svettano innevati
ma sta diventando oscura, più oscura della ruggine
irretita dai demoni alieni – ti prego
annientami con la compassione…
I miei intenti sono buoni, brillano come gioielli
ma diventano crudeli, simili alla cruda pietra
contaminati dagli alieni demoni – ti prego
tu che puoi riportami alla luce!
In questa vita, in questo corpo
posso realizzare il Dharma abissale:
ma questi demoni mi avviluppano con il fango del samsara.
Tu che hai compassione, riportami ora sulla vera Via.
*
Ascoltatemi
fratelli e sorelle
se mi riconoscete: sono
la Regina del Lago della Consapevolezza
che accomuna vuoto e forma
sappiate che vivo nelle menti
di tutto ciò che vive.
Vivo nel cuore della mente
e nel campo dei sensi: materia
non è che ossa e pelle.
Non siamo sdoppiati
eppure mi cercate fuori di voi;
quando mi troverete dentro di voi
la vostra nuda mente
quella Singolare Sapienza empirà i mondi.
Allora la gioia dell’Uno
accadrà come un lago:
i suoi pesci dagli aurei occhi
diventeranno numerosi e grassi.
Aggrappatevi a quel sapere
e il Creativo aggiungerà aquile
al vostro volo – crollerete
tra verdi prati, illusione della terra
varcherete i pascoli celesti – svanirete.