
Albert Camus vs. Ernst Jünger: l’uomo in rivolta & il ribelle
Politica culturale
L’ho sempre confuso con un altro libro, altrettanto eccentrico, con l’altro autore. Per la copertina, per le iniziali degli autori, per una certa ombra esotica. E per l’anno. L’edizione Adelphi de Lo stampo, il libro più roccioso e crudo di T.E. Lawrence, ha in copertina un girofalco, magnifico rapace, in uso, racconta Marco Polo, tra i re del vastissimo impero mongolo; L’astore, sempre edito in Italia da Adelphi, è dedicato a quel magnifico uccello, icona dei falconieri. L’autore, T.H. White, rimanda all’oscuro T.E., per le lettere iniziali, sprezzanti, col punto (ma uno faceva Thomas Edward, l’altro Terence Hanbury). L’esotico è più vago: T.E. White nasce a Bombay, T.E. Lawrence è il demonio d’Arabia e infine il nichilista tra India e Pakistan. Una certa esigenza selvaggia li univa. Piuttosto, T.E. White comincia a scrivere L’astore a metà degli anni Trenta, quando Lawrence muore, incidentalmente: The Mint – cioè “Lo stampo” – è edito, postumo, nel 1955; The Goshawk – cioè “L’astore” – è pubblico nel 1951. Fine delle coincidenze. O quasi. T.E. e T.H. avevano entrambi la passione per i miti, più o meno brumosi: Lawrence ha dato al suo paese una notevole traduzione dell’Odissea di Omero; White ha tradotto in una versione leggibile – e poi pop – il ciclo arturiano.
T.H. White, in effetti, è conosciuto per lo più per The Sword in the Stone, “La spada nella roccia”: pubblicato come un classico da Mursia per decenni, è la base del film animato, famosissimo, della Disney. Un anno dopo l’uscita del film – era il 1963 – T.H. White passò agli altri mondi; anzi, neanche, visto che era ateo. “Notoriamente libero dalla paura di Dio, aveva, in sostanza, terrore del genere umano”: così sintetizza la filosofia di White la sua biografa, Sylvia Townsend Warner. In verità, “La spada nella roccia” è solo il primo libro di un ciclo, edito tra 1938 e 1940, dal titolo complessivo The One and Future King, basato su Le Morte d’Arthur di Thomas Malory. Il ciclo in Italia – terra poco avvezza agli eroi – è passato di moda: nel 1989 Mondadori ha pubblicato, con l’intro di Giuseppe Lippi, Re in eterno, ora fuori serie, fuori catalogo.
L’astore, piuttosto, è un piccolo libro mirabile. Racconta il rapporto – con esiti funambolici – tra lo scrittore e il rapace. La formula è quella del diario, dove i due, uomo e falco, appaiono come simboli eroici ed eterei di un mondo altro. Il rapace, agli occhi di chi lo ha amato fino a domarne l’amicizia – almeno, all’apparenza – è la cruna di una aristocrazia inviolabile. “Io ho la barba, e per qualche motivo che adesso non riesco a rammentare Gos una volta mi colpì sul mento. Ricordo benissimo la scena: io in piedi con un sogghigno da lupo sulla faccia e il sangue che colava mescolandosi al groviglio dei peli, e Gos che continuava tranquillamente a mangiare il suo pasto… Era un Ittita, un adoratore di Moloch. Immolava vittime, saccheggiava città, passava a fil di spada fanciulle e bambini. Era un ufficiale prussiano con tanto di elmo chiodato e monocolo, che non esitava a prendere a sciabolate i borghesi che gl’intralciavano il passo. Sarebbe andato perfettamente d’accordo con Attila, il più truculento degli uomini. Era un geroglifico egizio, un toro alato d’Assiria”.
Dopo aver scritto un paio di romanzi apocalittici, Earth Stopped e Gone to Ground, White, nel 1936, lasciò il consesso degli umani. S’era preso un cottage, nel Buckinghamshire, proponendosi di “vivere allo stato selvaggio”. Cacciava, pescava, scriveva. Si era iniziato – con ingenua gioia – alla falconeria. Il libro racconta il suo vagabondaggio nell’arte della falconeria. Alcuni brani sono molto belli. “Lui sapeva, mentre noi credevamo. Veniva fatto di pensare al cammino della civiltà: alla potenza che muove col passo del trionfatore verso occidente, insieme col sole; ai nuovi padroni che si levano nel loro sovrabbondante, pubico vigore: Roma e l’Impero britannico. L’una e l’altro erano scivolati nella vecchiaia, la loro orribile vitalità evaporata; nella condizione di adulti non più bisognosi di affermare se stessi; nella saggezza; in quel canto triste, ma che emanava accettazione. Una cosa eccellente! Appartenere a una civiltà più vecchia, non più dominatrice, ma che ha raggiunto la conoscenza. Alla fin fine, dovremmo riuscire ad attingere la nostra pace. Forse già nel corso della nostra vita Hitler e Mussolini e Stalin e tutti gli altri ci porteranno verosimilmente alla rovina, che di quella pace è la precondizione. E a quel punto dovremmo essere capaci di trascinarci all’aperto, verso la conoscenza. Lasciandoci alle spalle la devastazione, l’assassinio e la catastrofe, finalmente abbandonati dalla potenza nella sua marcia verso occidente, emergeremo per cantare – increduli – accompagnati da nient’altro che una balalaica o una cetra. La sua era una ninnananna che sapeva il destino dell’uomo. Spogliarsi dei beni superflui e innanzitutto degli altri esseri umani: è questo il compito della vita… Il contatto con Gos, con il conclusivo immacolato distacco, era meglio dell’interminabile meschino conflitto tra maschio e femmina, o della brama di potere nella battaglia adolescenziale che porta gli uomini agli affari e alle Rolls-Royce e alla guerra”.
Nella spirale del falco, si polverizza una civiltà decrepita. Sembra di ascoltare William B. Yeats:
Turning and turning in the widening gyre
The falcon cannot hear the falconer;
Things fall apart; the centre cannot hold;
Mere anarchy is loosed upon the world…
Chi è domato, qui, è lo scrittore falconiere – addestra i suoi atti a seconda del rapace e del suo genio. Quando apre le ali, sembra un triangolo bianco, affetta il cielo fino all’ultimo dio, e tutto è in tensione e respira sul filo del suo fischio. (d.b.)