In questi giorni si sta consumando una congiura mediatica ai danni del principe Andrea d’Inghilterra. Il principe Andrew, come lo chiamano affettuosamente da noi, è accusato ripetutamente da anni di aver praticato sesso con una minorenne nel 2001. La ragazza rientrava nel fatidico circolo Epstein. Fin qui, la notizia che leggete sui media nostrani. Cerchiamo di veder meglio.
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Il principe si è buttato nell’arena. Ha parlato con la giornalista per un’ora e l’atmosfera pareva più quella del tribunale puritano degli Stati Uniti che della morbida e felice Inghilterra. Va così: Andrea infila una serie di scuse memorabili e quando la giornalista gli butta in faccia che la ragazza lo accusa di aver sudato abbondantemente durante il loro incontro, lui ribadisce “non potevo sudare all’epoca dei fatti per una disfunzione di adrenalina dopo aver servito nella guerra alle Falkland”. Una medaglia per la faccia di bronzo se la merita in ogni caso…
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L’ex segretario della Regina Dickie Arbiter ha espresso così i suoi pensieri da risentito: “scegliendo di farsi intervistare senza il sostegno dei suoi consiglieri, il principe ha fatto di peggio che un semplice incidente d’auto – è come se avesse provocato uno schianto tra tir”. Questa e altre frecciate si leggono sul giornale informato ed equilibrato d’Inghilterra, Independent. Vi lascio immaginare cos’ha cucinato Guardian per l’occasione.
A ora di cena inglese, tra le sei e le sette di domenica 17, è uscita la pistolettata di Suzanne Moore Il principe Andrea ci ha mostrato quel che realmente è il potere: ammiccare all’abuso. L’editoriale attacca invece così: La nostra visione – il principe Andrea ha tutti i titoli, è ottuso e vergognosamente tace sulle vittime di Epstein. Perché effettivamente Andrew si è fatto prendere dal furore oratorio ricostruendo i fatti secondo il suo tempo privato che però non ha molto a che vedere coi fatti accertati. In quello studio con la giornalista e le luci soffuse, Andrea è tutt’uno con la sua fabula e il suo intreccio. Ne esce fuori il raccontino di lui che con Epstein ha avuto “una collaborazione proficua”…
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Questa vicenda del principe impazzito che va in scena e mostra il deretano fa ricordare che la cosiddetta pazzia può essere un’arma di difesa. Noi abbiamo avuto Pirandello e il suo Enrico IV che si accorge del taglio nella tela e dell’impossibilità della finzione: molto metafisica come storia, quasi sensuale. Gli inglesi sono stati, al solito, più pragmatici e con Alan Bennett hanno prodotto il contraltare della favola della pazzia.
Bennett ha scritto anni fa la commedia La pazzia di re Giorgio che leggete, insieme ad altre cose sue, coi soliti ignoti Adelphi. È un testo eclettico e prezioso che mostra il re in balia della corte mentre le colonie americane si danno la loro indipendenza e i cortigiani vorrebbero fare carne di porco del corpo del re. Così la tragicommedia procede fino al colpo di scena, col riacquisto della “normalità” da parte del re.
Morale della favola. Quello che i media italiani non vi diranno, e che gli inglesi mentono pur sapendo, è che comunque siano andate le cose a) dopo la fine violenta di Epstein la verità non verrà più fuori e b) il principe Andrea dimostrerà coi fatti dove sta la so-called verità. Se effettivamente non ha commesso violenza, continuerà a fare il matto. Se ha indulto con la minorenne, tornerà sobrio e sarà fatto sparire dalla famiglia reale (appunto).
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Una gemma dall’intervista. Gli chiedono come fa a ricordarsi con precisione che quella sera del 2001 aveva accompagnato la figlia a mangiare la pizza per il compleanno di un’amica e lui se ne esce così: “Vede, per gli uomini compiere l’atto sessuale è un’azione positiva, richiede del moto, è un gesto compiuto. Ecco perché non riesco a ricordarmi di questa ragazza, se ci fosse stato qualcosa non avrei potuto scordarmelo perché quel gesto sessuale sarebbe stato un atto positivo”.
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Solita terapia: la letteratura per decifrare la realtà, per affondare i denti nel costato di una nazione e leggere le sue usanze tra una costola e l’altra. Eccovi una lista personale destinata al lettore italiano. Tra le commedie di Bennett, leggete La signora nel furgone e Il vizio dell’arte per ridere degli eroi nazionali (rispettivamente degli effetti del welfare state andato a rotoli e poi dell’idolo nazionale Auden; Bennett affronta da omosessuale il corpo omosessuale Auden – ve lo immaginate un pezzo teatrale italiano ai danni di Montale?).
Passate poi ai pezzi leggeri Gente, La cerimonia del massaggio, Nudi e crudi, Signore e signori per svelare il sesso ipocrita nella società dei consumi perbenista. Infine, concedetevi un’ora e mezza con Gli studenti di storia per vedere come dovrebbe funzionare per davvero il sistema educativo.
Quanto alla prosa, potete sbirciare Una vita come le altre e Scritto sul corpo per capire che l’umorismo si nutre di esperienze tragiche. Per poi tornare a più miti consigli con le crasse risate che sono il meglio di Bennett: Due storie sporche, nella tradizione di Swift, e La sovrana lettrice che è opera metaletteraria, dove la regina Elisabetta si anima, si stacca dalla silhouette impassibile dei media e prende vita dandosi a letture onnivore.
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Questa è una scelta approssimativa. Sono certo che dopo aver gustato un boccone dolce e uno salato di Bennett non vi farete più ammansire le notizie scandalistiche dall’Inghilterra col paraocchi cattolico della nostra stampa. Ne apprezzerete le stilettate e le pruderie.
Al lettore italiano manca, però, il Bennett pubblico, che ironicamente si trova… nei diari.
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Eccovi alcune annotazioni di Bennett che dagli anni Ottanta continua a seguire la vita pubblica e culturale del suo paese. I diari sono, una volta tanto, opere pensate per la contemporaneità, quasi gesto effimero ma che nel momento vuole avere risonanza.
Al punto che questi lavori di Bennett sono disponibili sia in formato audio, letti proprio da lui, sia online su London Review of books. Traduco qui una manciata di note.
Enjoy! (Andrea Bianchi)
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Dal diario di Alan Bennett
20 luglio 2017
Un programma, si dice ora, incredibilmente popolare è Love Island che per format è simile a Grande fratello nel senso che una dozzina di ragazzi di bell’aspetto sono isolati in una villa lussuosa che si trova, mi sembra, a Maiorca, anche se poi non si capisce bene di che posto si tratta perché la gente non ne esce fuori quasi mai. La premessa del programma è che i partecipanti si accoppieranno – cosa che invero sono tenuti a fare – e fallire nell’impresa significa che si è sfortunati e si deve fare le valigie. Si adunano intorno a una piscina e nessuno è molto vestito, alcuni di loro sono visibilmente meglio messi degli altri, e devo dire che gli uomini sono spesso inguardabili e sono del tutto cancellati dai tatuaggi che li ricoprono. Presumo che la lettura sia proscritta tra quelle mura, dove si trascorrono le giornate nella scelta del partner, prendendo note e discutendo – ma non penso si tratti di vera analisi – le loro relazioni. Vi è, certo, la prospettiva leggermente illusoria del sesso benché (a meno che non mi sia perso qualche passaggio) tutti dormano in una grande aula a forma di corridoio senza spazi privati.
Mi vien da pensare che questo programma, per quanto noioso sia, abbia origini decisamente rispettabili, e invero delle migliori. Si tratta pur sempre di Bloomsbury anche se non saprei dire se c’è più di Moore o Forster o Virginia Woolf, gente il cui motto era ‘relazioni personali per sempre e così sia’ e queste creature affascinanti del programma televisivo, sciabattando intorno alla piscina assolata, hanno sottoscritto le leggi del circolo Bloomsbury. La cosa migliore a questo mondo sarebbe avere una biblioteca a Love Island.
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12 giugno 2018
Da bambino una volta sedevo ascoltando un sermone che pensavo concernesse il tema ‘missioni’. Non era un’area dell’atteggiamento cristiano che mi preoccupava più di tanto così sentii solo a mezzo, forse mi misi a sfogliare il libro di preghiere e quella metà del sermone che riuscivo a sentire non mi sembrava avesse granché senso. Solo sulla via di ritorno a casa Mr Henderson (più tardi arcidiacono di Halifax) mi disse che il predicozzo non verteva su Youth e Asia ma su euthanasia, parola che non avevo mai incontrato.
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7 agosto
Per le regole stringenti della messa in scena e per il conseguente bisogno di tener sempre gente sul palco ho notato una tendenza nei miei ultimi pezzi teatrali a riportare sempre tra i vivi qualche personaggio che nel frattempo era morto. Mi era successo nella Pazzia di Giorgio III quando il re in finale d’opera discetta davanti all’audience sui pericoli della celebrità. A Nigel Hawthorne la cosa non andava giù quindi il pezzo, amichevolmente, fu tagliato ma l’impulso è rimasto come si può notare negli Studenti di storia quando Hector risorge per conto suo per dire quel che ha imparato dai tempi scolastici. (…) Stessa faccenda per l’ultima piece, Alleluia! Nick Starr, manager commerciale del Bridge, mi spiega che all’80% è stato venduto ogni spettacolo e la cosa mi lascia a bocca asciutta perché non c’è stata quasi una sola pagina pubblicitaria e zero propaganda in rete. Quando uscì Gli studenti di storia nel 2004 e avevo settant’anni suonati, i giornali riportavano storie e gossip sui personaggi di quell’opera. Oggi quasi nulla invece. Forse perché mi rivolgo a gente vecchia che non interessa a nessuno. Ed è quello che racconta anche l’ultima pièce.
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24 agosto
Nel suo La spia orfana Roland Philipps descrive Donald Maclean e il suo apparato psicologico, quello che frullava dentro la testa del grande traditore e spione di Cambridge. Diversamente dal più grande Philpy, mi pare che qui l’innamoramento da spione per URSS abbia avuto tanto di patriottismo quanto di spionaggio. Maclean sembra volesse tenere equilibrate UK e URSS, facendo uno sforzo cosciente di servire entrambe, soprattutto quando negli anni Trenta gli interessi morali di UK erano trascurati dai vari Baldwin e Chamberlain. Maclean, con l’altro traditore di Cambridge Burgess, non mi aveva mai interessato – mi parevano pallosi [something of a bore]. Però Philipps in questo libro rende stringente la storia del soggetto e il suo lento venire alla luce come spia. In definitiva, un triste peso.
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2 settembre, Francia.
Siamo in collina a nord di Tolosa. Caldo, casa comoda, facciamo quasi nulla, ci avventuriamo nella valle di Lauzerte e di Intermarché. Non sono centri commerciali molto sofisticati, non l’avrei detto, ma sono ben messi e le strade ricordano da vicino la nostra Inghilterra. Anche se non ci sono molti turisti inglesi, la somiglianza rimane. La mia prima reazione: perché non abbiamo negozi sul genere di questi francesi, in Inghilterra? La seconda: Brexit, se avviene, renderà ancor più irrealistica l’ipotesi di avere questi negozi.
Alan Bennett
*traduzione di Andrea Bianchi