
Contro i traditori del pensiero, un libro per immoralisti e scalatrici
Filosofia
Federico Magrin
Gianni Brera compie 100 anni. Scrittore sontuoso, ha rivoluzionato il giornalismo italiano, chi non lo sa. Non mi pare, però, che l’editoria sia ammattita per onorarlo. Tocca il solito refrain: fossimo negli Stati Uniti, dove, è noto, si ritengono i più capaci di tutti – sono sempre lì a tessere le lodi giornalistiche di Tom Wolfe, Hunter S. Thompson, Gay Talese, Truman Capote… bravissimi, ovvio – a Brera avrebbero fatto un monumento in edizioni nazionali. Da noi, tutto tace o quasi, a parte piccole delizie (“Così di beve vino”, il mirabile inedito uscito per De Piante lo scorso anno, ad esempio) e il lavoro, costante e discreto, dei piccoli editori (Book Time). Per questo, la “Giornata di celebrazione per il centenario dalla nascita di Gianni Brera”, in atto sabato 30 novembre nell’aula magna dell’Università di Pavia, dalle 15.30, con stuolo di esperti (da Andrea Maietti a Renata Crotti, da Stefano Bruno Galli, Assessore alla cultura della Regione Lombardia, a Pier Luigi Vercesi, Tony Damascelli, Luigi Sampietro) è una specie di liberazione. Soprattutto – e qui sta il succo – intorno alla Giornata, coordinata dall’Associazione Terra Insubre, è sorto un libro, che rischia di essere la pubblicazione più ragionevole, ragionata, buona & giusta su Brera nell’anno del suo centenario. Il libro s’intitola “L’è forsi mej el folber” ed è una raccolta di “Perle arcimatte” a cura di Andrea Maietti (con un studio di Luigi Sampietro in postfazione, “Gioânnbrerafucarlo, maestro di civiltà”). Insomma, è una antologia, in cui si stivano, in un centinaio di pagine, gli acuti più belli di Brera. Non c’è solo il calcio (che pure c’è). I ritratti sono memorabili, dacché Brera fu, come tutti i grandi scrittori, alchimista dell’esistenza. Quello di Primo Carnera (“uomo buono e candido, con un solo vero nemico al mondo: l’orrida fame dei poveri”), di Salvatore Quasimodo (che rotonda ironia l’incipit: “Era geometra, dunque un autodidatta. Anche lui si è riscattato individualmente come sembra essere destino degli italiani migliori. Intanto gli altri italiani neppure si accorgono della morte del poeta”), di Fausto Coppi (dite se non è omerico questo flirt di frasi: “È ancora eroe, e sta miseramente decadendo. Negre angosce lo prendono. Incomincia a sospettare di avere sbagliato tutto. Lo consola il figlio, tanto simile a lui. Sul resto tace”). Abbiamo scelto di riproporre, per gentile concessione, l’“Epicedio per Giorgio Gagarin”, omaggio eroico al primo uomo che volteggiò nel cosmo, dando all’umanità profilo di mito.
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Epicedio per Giorgio Gagarin
GIORGIO GAGARIN è morto. Era stato il primo messaggero degli uomini nel cosmo: l’eroe che esprimeva l’ansia di tutti noi, improvvisamente umiliati dalla pochezza del nostro mondo. Quando un grande eroe perisce, l’uomo appena degno di questo nome sente ingroppirsi la gola. Non valgono parole a celebrarlo. Tanto meno le parole di un umile artigiano della penna. Giorgio Gagarin aveva nel volto chiaro e onesto la serena innocenza del predestinato. Per singolare destino, gli eroi veri sono candidi: i loro occhi esprimono mite purezza: sono puliti fino a commuovere. Giorgio Gagarin assurge ora a simbolo d’un nobile popolo pervenuto alla ribalta della storia traverso inenarrabili sacrifici. Voi potete pensarla come volete a proposito di socialismo. Ricordando Giorgio Gagarin non dovete macchiarvi di calcoli banali, troppo bassi per lui e per la sua gloria. Giorgio Gagarin era un contadino russo. Con venti copechi si è iscritto a un Aereo Club ed ha conseguito il brevetto di pilota d’aereo. Quando si ricercavano astronauti per la conquista del cosmo, Giorgio Gagarin si è presentato ed è toccata a lui la fortuna di precedere tutti. Era un individuo perfetto. Aveva tanto coraggio da accettare il rischio con superumana calma. È così entrato nel novero dei pochissimi che aiutano i loro simili – in apparenza – a sentirsi uomini, cioè superiori alle bestie. Tra questi pochissimi potete includere alcuni santi soavi ed eroici, alcuni sublimi artisti, alcuni scienziati. Giorgio Gagarin era egli pure un santo, incoronato di un’aureola scientifica: è in effetti l’ultimo santo della nostra religione assurta a filosofia, dunque a scienza.
Non vi sono molti modi di rendere omaggio a un santo che aiutandoci a vivere ci onora. Io sono sopraffatto da queste espressioni che mi vengono dritte dal cuore e da una cultura che purtroppo ignora le rampe dei lanci interplanetari. Avrei semplicemente voglia di piangere e penso che se fossi a Mosca andrei al funerale di Giorgio Gagarin sentendomi per una volta esaltato di vivere in tempi che si onorano di lui.
La vita non è solo rifugio di vili se esprime uomini come Giorgio Gagarin: ma poiché la nostra natura è mediocre, io da pover’uomo mediocre annoto in questo diario che la terra era troppo bassa per quell’anima grande e serena. La limpida fantasia dei primitivi era meno ingombra di simboli distorti: i loro eroi venivano rapiti in cielo: la memoria di essi era mito. Un epicedio di Giorgio Gagarin è veramente valido se viene composto di sole lacrime virili.
Addio, dunque, Giorgio Gagarin di Mosca. Domani, non veduto, coglierò un fiore e pronuncerò il tuo nome: forse pianterò un albero, un umile salice di riva, che ti ricordi a ogni frusciare di foglie. Solleverò una zolla come per gettarla sulla tua tomba. La mia mano tozza di contadino stringerà e tratterrà quella zolla per un istante. Nessuno dovrà sapere con quanta fierezza compirò simile gesto, io contadino come te, Giorgio Gagarin di Mosca.
Gianni Brera
1 aprile 1968