25 Gennaio 2020

“Fra cento anni un uomo che avrà commercio carnale con una donna sarà un pezzo da museo”: le lettere di Tomasi di Lampedusa, un “pescecane”

Il rischio, prima, fu di essere ignorato, cinto in esilio, nel cimitero delle promesse spuntate. Ora è quello di essere, altrettanto brutalmente, semplificato.

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Come si sa, Il Gattopardo è uno dei grandi libri del nostro ‘canone’. L’ha scritto Giuseppe Tomasi di Lampedusa, un genio. Atipico, atavico, anomalo, in contropiede rispetto alla letteratura italiana vigente & vincente. Il Gattopardo – si sa bene anche questo – fu rifiutato da certi editori e pubblicato, da Feltrinelli – sia lode a Giorgio Bassani – nel 1958. L’autore, purtroppo, era spirato l’anno prima. A spedire in giro il manoscritto era stato il cugino di Tomasi di Lampedusa, Lucio Piccolo, per sdebitarsi, forse, del favore che il nobile parente gli aveva fatto, qualche anno prima, prodigandosi per divulgare le sue liriche – liriche, per altro, che mandarono in estro Montale e che consentirono a Piccolo di esordire, nel 1956, per Mondadori, con un libro magnifico, Canti barocchi e altre liriche. Il resto è l’ulteriore risaputo: lo Strega postumo nel 1959, il film di Luchino Visconti del 1963, con conseguente Palma d’oro a Cannes.

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Eppure, ‘don Giuseppe’ non è soltanto questo. Chiunque s’approssima alla scrittura di Tomasi di Lampedusa, s’accorge che trasuda stile, ironia, malizia retorica, furbesca bellezza ovunque. Ecco: il rischio è quello di sintetizzare l’opera di GTD nel pur magnifico romanzo postumo. In effetti, le lettere dall’Europa ai cugini Piccolo, strepitose, raccolte come Viaggio in Europa. Epistolario 1925-1930 da Mondadori nel 2006, tali da comporre – così il titolo del saggio di Salvatore Silvano Nigro – “Il romanzo di un turista”, sono fuori catalogo, non si trovano più. È opera culturalmente pia – oltre che benedizione per bibliomani – allora, la silloge di lettere pubblicate dalla De Piante Editore come Ah! Mussolini! (con copertina d’artista di Giovanni Maranghi e postfazione di Gioacchino Lanza Tomasi), che costituisce la sugosa appendice del Viaggio in Europa. Ecco di che si tratta.

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Trent’anni dopo avrebbe cominciato a scrivere uno dei grandi romanzi italiani del secolo, forse quello più rappresentativo, Il Gattopardo; allora, nel pieno degli anni Venti, Giuseppe Tomasi di Lampedusa era un nobile siciliano con il gusto per il viaggio, coltissimo, dallo sguardo rapace. Tra gli amici a cui l’eccentrico inviava le sue lettere – piccoli pezzi d’arte – spicca Massimo Erede, genovese, che aveva introdotto Tomasi di Lampedusa alla letteratura, in particolare tra i collaboratori della rivista “Le Opere e i Giorni”, bimestrale di rilievo – vi firmarono Riccardo Bacchelli, Eugenio Montale, Camillo Sbarbaro, tra gli altri – edito da Massimo Maria Martini. Nel fascio di lettere, finora inedite, scritte tra il 1925 e il 1927, c’è, in breve, tutto Tomasi di Lampedusa: l’osservatore sagace (“Non puoi immaginare che cosa è di vorticoso e di tremendo e di affascinante Londra. Un piacevolissimo inferno”; al contrario, “Mantova è davvero troppo malinconica”) e viscerale (“Dopo accurate osservazioni compiute a Londra, Bruxelles, Anversa e qui sono in grado di annunziarti gli immensi progressi della pederastia. Se continua di questo passo fra cento anni un uomo che avrà commercio carnale con una donna sarà un pezzo da museo”), il vagabondo inquieto che ama la letteratura inglese (accenna alle donne “eteree e irraggiungibili come quelle di cui parla il mio Yeats”), che è intriso d’ironia (“Ti auguro per il nuovo anno 200.000 lire di rendita mensile e 18 ragazze a tua disponibilità dai 10 ai 16 anni”), che si preoccupa dei propri articoli con corrosiva umiltà (“Non che io creda che i miei articoli valgano qualche cosa di più di un pacchetto di Macedonia…”) e del futuro dei versi del cugino, Lucio Piccolo, poeta di genio, scoperto qualche lustro dopo da Montale.

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Alcuni sketch hanno lo scintillio di un racconto (la lettera del luglio 1927 in cui annuncia una gita di “cinque giorni un castello del Galles, invitato a caccia!”, senza arma adatta…) e tracciano “la vera vita del pescecane” di uno scrittore straordinario. Qui, per gentile concessione, pubblico un paio di lettere del folgorante epistolario. (d.b.)

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25 luglio [Parigi, 1925]

Caro Erede, eccomi finalmente a Parigi. Quindi se vuoi rispondermi sei libero. Parigi deliziosa. Ma in istato di bolscevismo latente. Sembra l’Italia del ’19. Stamane un corteo comunista è sfilato nel quartiere delle banche, mentre esigevo un modesto “cheque” con grida di abbasso, minacce e pietre. E nessuno reagiva. Ah! Mussolini!

Sarò in Italia in settembre ma per pochi giorni, perché proseguirò con mia madre per l’Austria.

Dopo accurate osservazioni compiute a Londra, Bruxelles, Anversa e qui sono in grado di annunziarti gli immensi progressi della pederastia. Se continua di questo passo fra cento anni un uomo che avrà commercio carnale con una donna sarà un pezzo da museo. A scanso di equivoci ti fo sapere che la Mimì della quale accennavo nella mia da Bruxelles, dopo accurate ed approfondite indagini, è risultata di sesso indubbiamente femminile.

Qui è molto interessante l’esposizione delle arti decorative. Si direbbe che l’arte moderna ha finalmente trovato la sua via. Ci sono in fatto di architettura e mobilio molte cose stranamente belle. Ma anche questo, come le dimostrazioni e la pederastia, è sintomo di bolscevismo. Che l’Italia non è bolscevica affatto si vede dal suo orrendo padiglione in stile classico con una interminabile iscrizione latina (per apprezzare l’orrore della cosa pensa che l’esposizione è fatta apposta con programma quasi futurista).

Meno male che ci sono Bottecchia e Ascari.

Tante cose affettuose

G. Tomasi

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29 luglio 1927 [Londra]

Carissimo Erede,

ti invio le mie più affettuose congratulazioni e i miei auguri più sinceri per il lieto avvenimento che mi partecipi nulla tua che ho ricevuto iersera. Congratulazioni ed auguri tanto più preziosi, oso dire, in quanto provenienti dal più convinto e ferreo dei vecchi scapoli. Sono del resto convintissimo, anche, del fatto che esistono persone che non possono essere felici altro che nel matrimonio; e queste persone costituiscono indubbiamente la parte più ragionevole e più pulita dell’umanità. Per conto mio sono di tendenze troppo vagabonde e di umore troppo mutevole per costringere una infelice creatura a tenere dietro alle mie fantasie. Questa per lo meno, è la versione ufficiale della ragione del mio persistente celibato. Da oggi incomincio a metter da parte il tradizionale “ventino” per il regalo. Siccome qui ventini non ce ne sono accantonerò due sontuosi “pence”, con tuo notevole vantaggio. A quando le nozze? Spero non nell’inverno ché in quei mesi sarà difficile ch’io possa risalire tutta l’Italia per assistervi, come sarebbe mio vivo desiderio.

Accusarmi di pelandroneria è viltà. Sono stanchissimo per l’eccessivo movimento che ho avuto in questi mesi: ho percorso più di 1500 km. Fra ferrovia, automobile e vaporetti su diversi laghi, ho visitato 17 città e ho anche tenuto una conferenza, in inglese, su le relazioni fra la poesia italiana del ’500e quella di Shakespeare e dei suoi satelliti – con grande successo, oso dire, non so però se dovuto al fascino della mia eloquenza o al fatto che non hanno capito una sola parola di quel che dicevo.

E non è ancora finito: dopodomani riparto per passare cinque giorni in un castello nel Galles, invitato a caccia! Ora tu sai che in fatto di armi da fuoco io posseggo (possedevo anzi) una certa familiarità soltanto con il 149 (obice), calibro simpaticissimo ma che non credo comunemente adoperato dai cacciatori. Ciò ti permetterà d’intravedere tutte le svariate possibilità di strage che mi si offrono. Del resto non importa: il castello gode fama di essere uno dei più belli che esistano, e pieno zeppo di fantasmi, come qualsiasi castello che si rispetti. Bisogna sapere che, in segno di onore, questi signori inglesi hanno l’abitudine di alloggiare l’ospite nuovo proprio nella più spiritata delle stanze. E sia pure, però spero che l’ottimo Lord Powis non si meraviglierà se terrò accese tutta la notte tutte le lampade possibili. Sarò presto in Italia, verso il 15agosto, probabilmente in Alto Adige. Qui, come sempre, piove. Lajolo è a Genova; o, almeno vi era fino a 20 giorni fa quando ho ricevuto una sua cartolina a Edimburgo. Caro Erede, rinnovo a te e alla tua famiglia i miei voti migliori di felicità e ti stringo cordialmente la mano.

G. Tomasi

*In copertina: una fotografia di scena da “Il Gattopardo” (1963), con Luchino Visconti, Alain Delon, Claudia Cardinale

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