Che anno, quell’anno. John Fitzgerald Kennedy batte Richard Nixon e diventa Presidente degli Usa, il numero 35; Adolf Eichmann, l’ideologo della ‘soluzione finale’, viene beccato dal Mossad a Buenos Aires; La dolce vita di Federico Fellini vince la Palma d’oro a Cannes. Nonostante questo, la perfida Albione, in quel torbido 1960, è ancora alle prese con un romanzo pubblicato trent’anni prima, su cui grava l’infamante – anzi, galvanizzante – accusa di ‘oscenità’.
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Di mezzo, per altro, c’è anche l’Italia. David Herbert Lawrence, come si sa, scrive L’amante di Lady Chatterley in Toscana. E lì lo pubblica, clandestinamente, in forma privata, presso la Tipografia Giuntina, nel 1928. Seguiranno, l’anno dopo, edizioni in Francia e in Australia – e un fiorire di accuse. Oggi il romanzo fa la figura che fa: una bistecca neovittoriana pepata dall’eros. Non ci sconvolge più la storia d’amore tra la lady e il selvatico guardiacaccia al cospetto del marito di lei, paraplegico, che resta a guardare – ‘situazione’ narrativa, ad ogni modo, imitatissima – eppure, indubbiamente, D.H. ha avuto un merito liberatorio, per così dire. Se non altro, degli autori anglofoni del Novecento, è tra i più tradotti e pubblicati in Italia.
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Ora, passiamo dal 1928 al 1960. D.H. è morto da trent’anni, nel 1959 la perfida Albione allarga le maglie della censura con l’‘Obscene Publications Act’, Penguin fiuta l’affare e pubblica, nel 1960, l’osceno Lady Chatterley’s Lover. Ora dobbiamo immaginare la signora Lady Dorothy Byrne che accucciata nella sua casa londinese, tra l’uncinetto e l’arrosto, provando, forse, qualche scossa di godimento, legge D.H. “annotando per il marito i passi sessualmente più espliciti”. Il marito di Dorothy, Sir Laurence Byrne, è il giudice che deve dirimere la causa intentata contro la Penguin, rea di aver pubblicato il romanzo perverso.
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Il foglio, griffato ‘Central Criminal Court. City of London’, che allinea le pagine ‘pericolose’ del romanzo, è una reliquia che insieme all’edizione dell’Amante di Lady Chatterley graffiata dalla devota moglie del giudice andrà all’asta, il 30 ottobre prossimo, da Sotheby’s Londra, con un prezzo che oscilla tra le 10mila e le 15mila sterline (che significa: tra gli 11mila e i 16.700 euro). Il prezzo in sé è irrisorio rispetto al tema, ancestrale, che quel foglio e quell’edizione sequestrata si portano dietro: che libertà può concedersi l’arte? che rapporti ci sono tra arte e società? l’arte dev’essere utile all’educazione di un popolo?
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Il processo fu intrigante. Al di là delle idiote freddure all’inglese (“Accettereste che i vostri giovani figli e le vostre giovani figlie – dacché le ragazze sanno leggere tanto quanto i ragazzi – leggessero questo libro? Accettereste questo libro in casa vostra? Accettereste che questo libro venga letto da vostra moglie e dalla vostra donna delle pulizie?”), conta l’esito, esemplare. A processo furono invitate “35 personalità accademiche”, tra cui E.M. Forster – l’autore di Passaggio in India e di Casa Howard – Rebecca West, Richard Hoggart. “La giuria impiegò poco meno di tre ore per esprimere il verdetto di non colpevolezza”. Per la Penguin fu un successo assoluto: 200mila copie del romanzo furono vendute in un giorno, in due anni il libro di D.H. superò la cifra record di 2 milioni di copie vendute. Vien da malignare che il processo all’Amante di Lady Chatterley sia stata una delle più poderose operazioni di marketing mai ingegnate dall’editoria.
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L’unico giudizio degno intorno a un libro riguarda la sua forma: se è scritto bene o male, se il contenuto ha figliato o meno una forma coerente. Eppure. Provate a scrivere un romanzo in cui vostra moglie se la fa con tutti gli adolescenti del quartiere e anche con i poveracci che citofonano alle ore più impensate del mattino, mendicando soldi: cosa ne sarebbe della vostra ‘reputazione’? Ecco. Chi desidera essere riconosciuto dal prossimo come ‘bravo, buono, giusto’, beh, non imbocchi la via della scrittura, è destinato a essere un pessimo scrittore.
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La riflessione che ne segue è semplice come l’acqua. Oggi possiamo pubblicare tutto, la libertà è sovrana, ma i libri decenti sono pochi, quanto a quelli indecenti, ce ne fossero… La scrittura nasce per pervertire il noto, ma siamo accerchiati da scrittori che coltivano il buon gusto e il buon senso, eventualmente imbracciano un patetico ribellismo politico: alienati dall’umano, si occupano di sociologia e di teoria delle masse. Il tempo in cui i libri erano oggetto d’inchiesta da parte di un tribunale era meglio di questo, annientato dalla melassa. (d.b.)