23 Agosto 2023

“Gettato nell’oscurità, io brucio”. San Giovanni della Croce & Roy Campbell

Anche Rainer Maria Rilke fece di Toledo il cuore della propria rigorosa geografia simbolica. “Nulla come Toledo, se ci si abbandonasse al suo influsso, permetterebbe di perfezionare in tale grado la rappresentazione di ciò che è sovrasensoriale, perché le cose hanno là l’intensità di ciò che, comunemente e quotidianamente, non è visibile: l’intensità dell’apparizione”. Rilke è in Spagna dal novembre del 1912 al febbraio del ’13: la sua impressione è estatica.

“D’un tratto comprendo la leggenda secondo cui Dio, quando nel quarto giorno della creazione prese il sole e lo mise al suo posto, lo mise esattamente sopra Toledo: tanto stellare è la natura di questa immensa presenza, così protesa fuori, nello spazio…”

(il 2 novembre del 1912, a Marie Turn und Taxis)

Insieme alla Russia, all’Egitto, al Vallese, Toledo diventerà parte della personale mappa simbolica di Rilke. Il poeta, alla strenua ricerca di ‘immagini’, era affascinato dalla pittura di El Greco – “il bisogno di dedicarmi seriamente a lui ha quasi l’aria di una vocazione” (2 ottobre 1912) –; in Spagna idealizzò la figura del pastore “che va arso dal sole e col lancio del sasso/ riporta il gregge dentro i suoi confini quando si sperde”:

“Ancora oggi in segreto
un Dio potrebbe in questa figura calarsi; e non sarebbe minore.
Ora sosta, ora va, come la luce del giorno,
e le ombre delle nuvole
lo attraversano come se lo spazio
pensasse lentamente pensieri per lui”

(da: La trilogia spagnola)

Vent’anni dopo Rilke, un altro poeta, Roy Campbell, si trasferisce a Toledo, la città che sconvolge la sua vita. “Toledo: quel luogo paradisiaco che per me significa più di ogni cosa al mondo”, scriverà, anni dopo, sul retro di una cartolina, a un amico.

Campbell, nato in Sudafrica, cresciuto, indisciplinato, tra gli indigeni Zulu e la malsopportata Oxford, aveva esordito nel 1924 con il poema immaginifico The Flaming Terrapin: i più ne riconobbero la possanza, l’energia apocalittica, l’estro a getto continuo. L’anno prima, Rilke aveva ‘concluso’ il proprio destino poetico pubblicando i suoi testi più vertiginosi: le Elegie duinesi e i Sonetti a Orfeo.

Roy Campbell era approdato in Spagna dalla Provenza nel 1933. In Inghilterra aveva litigato con i ragazzi del Bloomsbury, tra cui spiccava Virginia Woolf; si era fatto la fama di avventuriero, anticomunista, ‘selvaggio’. Amava cibarsi di ciò che cacciava – piccola selvaggina, di solito. La moglie, Mary Garman, ambita ragazza, amazzone, ricca, gradiva la vita frugale a cui la costringeva Roy. Da Barcellona, stanchi della città, i coniugi si trasferirono nel villaggio di Altea, presso Alicante. Anche Roy Campbell, come Rilke, fu affascinato dalla figura del pastore, re spagnolo dei campi:

“Abbiamo vissuto per un po’ in una piccola fattoria, dove i lavoratori erano buoni cattolici, e c’era una tale fragranza, una freschezza, una libertà nella loro esistenza… il coraggio del riverire, la fierezza nell’obbedire, che si impossessò di noi”.

Il parroco di Altea, frate Gregorio, accompagnò Roy Campbell alla conversione: fu assassinato dalle milizie repubblicane durante i torbidi della Guerra civile spagnola.

A Toledo, “città sacra della mente”, i Campbell si trasferirono alla fine del 1935. Abitavano non distante da un convento carmelitano. Durante la Guerra civile, i Campbell danno rifugio a diversi monaci, espropriati dai loro possedimenti, in pericolo di morte. Per prevenire il disastro, i monaci chiesero al poeta di custodire alcuni documenti rari del Carmelo, che comprendevano alcune carte personali e una fascio di lettere di San Giovanni della Croce. “Il giorno successivo al rocambolesco salvataggio dei documenti, le forze repubblicane avanzarono a Toledo costringendo i difensori al ripiego. Senza soldati a difenderli, preti, monaci e suore furono alla mercé delle milizie. Diciassette monaci del Carmelo furono radunati per strada, fucilati sul posto e lasciati lì, a monito. Nella piazza antistante il municipio di Toledo, le milizie inviate da Madrid accesero enormi falò alimentati da crocefissi, paramenti sacri, messali e ogni sorta di icona o documento religioso confiscato da chiese e monasteri” (Joseph Pearce).

Il poeta fissò il massacro, credendo di assistere all’apocalisse. In lui, si rivelò il devoto e il guerriero, “allo stesso tempo soldato e poeta, e convertito al cristianesimo”, come raccontò J.R.R. Tolkien al figlio Christopher. Aveva conosciuto Roy Campbell nel 1944, restandone folgorato. Il poeta, in congedo a Oxford dopo una grave caduta dalla motocicletta, stava organizzando truppe britanniche contro Hitler, in Kenya.

Visto che i repubblicani avevano macellato gli amici monaci, Roy Campbell scelse di parteggiare per i nazionalisti, per Franco. L’intelligenza britannica non gli perdonò la scelta di campo, folle, unica, estranea, diversa rispetto a quella mantenuta dal resto degli scrittori europei (da Hemingway a Malraux, da Orwell a Auden, un po’ tutti giocarono alla guerra ‘da sinistra’, ipnotizzati dal comunismo, dall’opportunismo, da un sano senso di giustizia, diciamo così). Investigato dai miliziani, minacciato di morte, perquisito, Roy Campbell – così raccontò in un’intervista radiofonica – affidò il suo destino a San Giovanni della Croce: fece voto che se avesse avuto salva la vita avrebbe tradotto le poesie del santo. Così accadde. Nel 1951, per la Harvill Press Ltd, il poeta conferma e risolve il voto pubblicando una strabiliante edizione dei Poems of St John of the Cross, introdotta da M.C. D’Arcy. Mistico paradosso: questo sarà il libro di maggior successo – il solo bene accetto – di Roy Campbell, poeta al di là delle mode, dei plausi, dei patetici peana, in fondo un solitario. Quando gli davano del fascista, andava in furia: in Sudafrica aveva lottato contro l’idiozia colonialista, nella Seconda guerra aveva combattuto contro Hitler e quando, nel 1936, gli offrirono un posto di rilievo nel British Union Fascists di Orswald Mosley, rifiutò, non voleva essere al servizio di altro che del proprio inappellabile giudizio. Amava le posizioni scomode, le idee imperdonabili e predatorie: si prendeva per un Don Chisciotte.

Nel 1952, in un discorso trasmesso dalla BBC, Campbell disse che il successo delle sue traduzioni – alcune delle quali sono qui tradotte – era dovuto alla grazia. “Se fossi superstizioso, direi che Giovanni della Croce mi ha portato fortuna. Ma non lo sono: per questo dico che è un miracolo”. Durante una conferenza a Madrid, due anni dopo, disse che “Il buon santo mi ha aiutato: quando mi stancavo, il mio spirito veniva meno e l’ispirazione svaniva, mi limitavo a guardarmi alle spalle… ed eccolo, San Giovanni della Croce, che mi sorrideva, incitandomi, ‘corri, burrito!’ Allora, continuavo a trottare”.

Nel 1965 Folkways Records pubblicò due dischi in cui le versioni di Roy Campbell da Giovanni della Croce vengono arrangiate e cantate. Chi conosce il poeta riconoscerà nel verso le stimmate di un lirico allo stato brutale: si tratta, come in rarissimi altri casi – in Italia: l’Eschilo secondo Pasolini; le lettere di San Paolo secondo Giovanni Testori; i lirici greci secondo Salvatore Quasimodo – di una traduzione/rielaborazione efficace. Una voce non si rispecchia ma si riversa nell’altra. Il punto non è domare, ma scatenare.   

Nell’aprile del 1957 il poeta e la moglie sono a Siviglia per le celebrazioni della Settimana Santa. Guidano una Fiat 600 e si fermano alcuni giorni a Toledo. A fine mese, i coniugi Campbell ripartono per il Portogallo, dove hanno casa. Durante il viaggio, una gomma della macchina esplode; il mezzo va fuori strada, centra un albero. Mary ne esce illesa. Roy Campbell, tra i grandi, inclassificabili poeti del secolo, muore, a cinquantacinque anni. La moglie ricorderà che a Siviglia il poeta aveva vissuto con particolare intensità le devozioni. Uomo di luce, arcangelico nell’ira e nella generosità, cantò i meandri della notte oscura dell’anima.  

***

Senza l’assenso dell’assoluto
con divina intenzione

Senza legami eppure legato
gettato nell’oscurità senza lume
né raggio: per intero io brucio.
L’anima è slacciata da ogni
cosa creata, è libera e varca i cieli
si supera, fluttua, vola, preda
di uno straordinario sogno – solo
nei confini di Dio il peso ha valore.
La cosa che più ama la mia fede
ed è degna di essere riferita:
che la mia anima sopra me fluttua
senza legami eppure legata.
Se marcisco tra le ombre
se svanisco tra i mortali
non è grave il mio dolore:
se nessun bagliore rischiara
la mia oscurità io splendo
della celeste vita. Canto
l’ardore di una simile vita
che nell’oscurità più si fa oscura
più si volge al vero:
benché nessun lume laceri questo buio
mai così buio, Amore insegna
che può compiere opere miracolose.
Annienta la differenza, eguaglia
le distanze, lavora con dolcezza:
fiamma tanto raffinata e odorosa
che riduce il mio essere a me stesso
senza tema di erranza: le vestigia
di ciò che ero non sono consunte –
ormai, sono io ciò che brucia, completamente.

*

Fiamma d’amor viva
Canti dell’anima in intima comunicazione
e unione con l’amore di Dio

Oh, fiamma d’amor viva
che con tenerezza costringi
la mia anima all’intimo cuore
della tua ardente lampa!
Ora non sono più rapito:
uccidila, persegui i tuoi intenti,
e al nostro dolce incontro squarcia
ogni veste.

Oh tenera prigionia!
Oh ferita del mio soccorso!
Oh mano gentile! Oh tocco che
docilmente devasta. Tu rendi la vita
eterna, sollevi da ogni debito
e muti la morte in vita anche quando uccido!

Oh lampa dal feroce bagliore
al cui fulgido olio
le fosse più profonde della mia anima
brillano: muto di tenebra e nube
nel suo strano rinnovamento
l’amato riceve calore, luce.

Amore che lega e che cuce, in quale pace
costringi il mio cuore
che solo tu puoi dire casa:
con affabili afflati, nella gloria,
nella grazia e nel riposo
con decisa dolcezza mi fai innamorare!

*

Canto dell’anima felice di conoscere Dio per fede

I

Conosco bene il flusso impetuoso della fontana
benché sia notte

II

Nascosta fonte immortale. Conosco
dove fiottano le sue sorgenti
benché sia notte.

III

Nessuno conosce la sua origine:
ma tutto ha origine da lei
benché sia notte.

IV

Non esiste così dolce cosa
terra e cielo bevono a quel refrigerio
benché sia notte.

V

Conosco la profondità che nessun uomo osa
che non ha guadi per poter essere varcata
benché sia notte.

VI

Limpidezza che non si offusca:
da essa viene la luce, a grappoli
benché sia notte.

VII

Il fiume si gonfia, orgoglioso, digrigna i denti
contro gli argini: conosco le sue acque
le nazioni, i cieli e gli inferi.

VIII

La corrente che si nutre di quella fonte
diventa onnipotente
anche se è notte.

IX

Dalla fonte all’affluente il corso non ha fine
nessuno supera il proprio gemello
anche se è notte.

X

Eterna fonte che nasconde il Pane della Vita
di cui mendichiamo in ogni istante
anche se è notte.

XI

La creatura piange, ascoltala!
Dovete bere a sazietà, inginocchiandovi nella bocca del buio
anche se è notte.

XII

Viva fonte a tal punto chiara
che sboccia dal Pane della Vita: ora ti vedo
anche se è notte.

Roy Campbell

Gruppo MAGOG