“Non ho mai capito perché la gente mediocre dovrebbe smettere di essere mediocre solo perché sa scrivere”.
(Christian Morgenstern)
Il supplemento culturale del quotidiano la Repubblica, chiamato “Robinson”, abbiamo già avuto modo di classificarlo fra i più scadenti disponibili oggi in Italia: paginazione scarsa, grafica mediocre, le firme sono spesso membri della famiglia che s’incrociano in rapporti incestuosi. Un fascicolo da buttare, nel complesso. Ci pubblicava perfino una tizia che si fa chiamare Petunia Ollister, che ogni santo giorno metteva nei social – Facebook e Instagram – inquadrature dall’alto di libri posizionati su tovagliette da colazione accanto alle tazze col caffè, alle brioches, al müsli e granaglie varie, oppure chincaglieria in peltro dall’aria vintage: una moda durata anni, piena di imitatrici e wannabe, che sospettiamo abbia contribuito al generale rimbecillimento di una certa generazione e che speriamo si esaurisca presto.
Tutta roba che voleva servire alla promozione libraria, quindi con intenti nobili: come leggemmo su un’edizione palermitana di Repubblica, «Si chiamano bookblogger, bookstagrammer e booktoker e sono i nuovi protagonisti che proliferano su Internet anche in Sicilia: lettori, scrittori e aspiranti tali che pubblicano con costanza nei loro lit-blog e sui social, così come i giovani aspiranti scrittori. Recensiscono le ultime uscite in libreria, leggono estratti di libri per promuoverli, coinvolgono un vasto pubblico che, se fidelizzato, si trasforma in una vera e propria comunità interattiva». Dunque, prendiamo atto dell’esistenza – dopo i consolidati bookblogger e bookstagrammer – dei nuovi booktoker, i giovani discendenti che promuovono i libri sul social cinese di filmati chiamato TikTok.
Ma dicevamo di “Robinson”, il supplemento che oggi ha deciso di rinnovarsi totalmente, definendosi “il nuovo Robinson”: dalla sezione cultura di Repubblica del 20 settembre apprendiamo che «Dopo il bagno di folla nel nostro spazio Arena Robinson al Salone del libro di Torino e a Più libri più liberi a Roma, dopo l’esperienza di Festivaletteratura di Mantova, con i nostri inviati booktoker in giro per gli eventi, TikTok Robinson si prepara a un altro racconto social del lungo fine settimana di festival». Dunque, TikTok Robinson si prepara ai nuovi appuntamenti: dopo questa girandola di eventi festivalieri si va a Trani: «la mattina, la bookchallenge Robinson The big game, con due booktoker che si sfideranno per scegliere il romanzo che racconta meglio l’amore oggi; la sera un dibattito sulla rivoluzione social che ha cambiato il mondo dell’editoria e la scommessa di Robinson che in Booktok crede». Benissimo, e i giorni seguenti che succede? «Robinson sbarca a Firenze per Rare, l’evento attesissimo nato dalla volontà di un gruppo di appassionate e già sold out, per gli amanti della letteratura romance: un firmacopie internazionale, dove lettrici e autrici si incontrano senza barriere».
Robinson The big game, ecco la nuova impresa di Repubblica con le booktoker: buttarsi a pesce sulla letteratura romance, quella che s’imparenta con la vituperata chick-lit, la letteratura per pollastrelle, entrambe vecchie dannazioni e bersaglio degli anatemi delle femministe, una questione spinosa ancora irrisolta che mai si risolverà. E che dire del firmacopie internazionale? Anche quello non promette nulla di buono, come vedremo. Ma cosa distingue la romance dalla chick-lit? L’abbiamo chiesto a una specialista, che ce l’ha spiegato. La chick-lit è incentrata sulle giovani donne lavoratrici e sull’emotività delle loro vite; citando dal Longman Dictionary of Contemporary English: “libri sulle giovani donne e sui problemi tipici che hanno con gli uomini, con il lavoro, con la forma fisica ecc. In particolare sono romanzi scritti da donne per le donne”. Di solito le copertine si somigliano, fatte di colori che colpiscono l’occhio, personaggi a fumetto, glitter, tacchi a spillo e caratteri sbarazzini. Un esempio fra tutti, il celebre Diario di Bridget Jones. Ma se la chick-lit spazia di più sulle relazioni e su differenti contesti, in un clima di spensieratezza vera o simulata, ma senza trascurare la crescita personale delle protagoniste, il romance si concentra sulla relazione sentimentale con l’uomo, alla vecchia maniera: forse la formula tradizionale più vituperata dai movimenti femministi, che fra le altre cose vogliono affermare l’affrancamento della donna dai condizionamenti del maschio, per definizione considerato tossico. Dunque abbiamo un regresso totale, che Repubblica, in barba a tutte le dichiarazioni programmatiche con cui è abituato a lavarsi la coscienza, continua a alimentare per conformarsi alla voga del momento. E la cosa non stupisce, visto che il giornale perde ogni anno intorno al 10% di vendite, e deve cavalcare ogni opportunità e vestire qualsiasi ipocrisia per cercare di rimanere a galla.
Ma andiamo al firmacopie internazionale che si tiene a Firenze:
«Centosettanta scrittrici si concederanno alle lettrici in due momenti. Venerdì, dalle 16.30, ci sarà l’evento chiamato Meet and Greet: un party informale per far incontrare senza barriere le autrici e le appassionate di letteratura rosa. Sabato, dalle 9.30 alle 17.30, sarà la volta del firmacopie: ogni autrice avrà a disposizione un tavolo sul quale sistemare libri e gadget. Il pubblico potrà avvicinarsi al tavolo per farsi autografare i romanzi, fare qualche foto e chiacchierare. Un festival promosso soprattutto dal passaparola sui social, che Robinson racconterà su TikTok. Venite con noi?».
Venire con voi? Piuttosto prendiamo le armi e andiamo a farci ammazzare in qualche guerra, potete starne certi. Il Meet and Greet? Signori di Robinson/Repubblica, ma vi rendete conto di cosa state facendo? Non solo andate a ficcarvi in un posto idiota come questo social cinese introdotto nel nostro Paese per poterci spiare, ma vi mettete anche a fare gli animatori in mezzo a una massa di esponenti rincretiniti della cosiddetta generazione Z? Cioè intendete alimentare i deficit delle nuove generazioni, trasformando quello che dovrebbe essere “letteratura” in mangime per maiali? Ma andiamo per ordine. Innanzitutto, affermate che centosettanta scrittrici “si concederanno” alle lettrici: centosettanta, se abbiamo capito bene, e il tutto in poche ore. Al solo pensiero immaginiamo una baraonda infernale, una marea di pollastrelle, cioè ragazze in cerca dell’amore – soprattutto del maschio, se è il romance tradizionale – che vorranno provare l’ebbrezza di toccare le loro scrittrici, di fotografarle, di chiacchierare con loro come se fossero in un salotto di feticisti. Poi, le centosettanta autrici siederanno dietro centosettanta scrivanie dove mettere i gadget: ma quanti metri quadri serviranno, considerato che per ogni autrice dovrebbero esserci più lettrici? Come ci si muoverà là in mezzo? Siete sicuri che legioni di pollastrelle lasciate senza controllo in una situazione del genere non finiranno in crisi isteriche? E tutti quei tavolini non ricorderanno forse certe immagini apocalittiche del Novecento di enormi hangar pieni di dattilografe sedute dietro piccole scrivanie, in catena di montaggio? Ma non sarà raccapricciante? E si è sicuri che tutte le centosettanta autrici riusciranno ad avere davanti le loro pollastrelle – oche, si diceva una volta – che chiedono le firme? Se alcune di queste scrittrici restassero senza nessuno davanti, guardando le altre colleghe di successo che firmano a tutto spiano come reagirebbero, avrebbero delle crisi di nervi?
Insomma, “Robinson” di Repubblica si butta dentro il cinese TikTok, il social più stupido che abbiamo nel Paese, per promuovere la letteratura delle booktoker e far gioiosamente regredire la questione femminile, in una specie di missione in cui dichiara di credere. Ormai sembra chiaro, ciò che conta è seguire ogni scia che prometta di sviluppare business, di qualunque natura sia, anche se dovesse mandare in merda la letteratura, avvelenare il mercato dei libri e squagliare il cervello delle lettrici, a dispetto dell’attivismo femminista che ci martella da tempo immemorabile. In questo modo, tutto il resto perde credibilità, dai goffi comunicati di redazione che si dissociano dal classismo del padre del padrone del giornale – vedi l’affaire Elkann – fino alla collana di propaganda dei libri di “una donna libera” – la MichelaMurgia™ –, presa a modello di letteratura per farne un marchio.
Sappiamo che con lo sviluppo dei social si è moltiplicato il numero degli scrittori e degli aspiranti, e che attraverso questi canali si è ingigantita la loro attività pubblicistica e di auto-promozione. Ormai se si pubblica qualche opera ci si deve esporre personalmente per venderla, qualsiasi livello di notorietà si abbia, altrimenti sembra che l’atto di pubblicare perda senso. Se si è scrittrici o scrittori affermati, si fanno le presentazioni davanti al pubblico per potenziare le vendite e la popolarità; se si è emergenti o sconosciuti ci si affanna a fare presentazioni per far conoscere la propria esistenza e vendere qualche copia del proprio libro. Talvolta accade che queste presentazioni, ovvero il tentativo di vendersi trasformandosi in piazzisti di sé stessi, vadano a vuoto perché non si presenta nessun potenziale lettore. E capita pure che l’autore o l’autrice che incappa in questa disavventura abbia l’indecenza di confessarlo pubblicamente. Di recente abbiamo letto su facebook una cosa del tipo: “Alla presentazione di ieri a Bookcity non c’era nessuno. Non mi era mai successo. A volte ti sposti qua e là e in libreria trovi pochi lettori, ma stavolta nessuno. Ma poi abbiamo improvvisato una diretta Instagram e abbiamo iniziato a parlare”. Ecco, questo è un esempio di perdita della dignità per chi si improvvisa piazzista di sé stesso e fallisce. Dunque, a queste persone – e non solo a loro – vorremmo spiegare alcune cose che negli ultimi decenni si sono perse di vista e forse si considerano superate, visto che viviamo nella società dell’informazione, dove si tende a vendersi in modo massiccio e dove veniamo venduti nostro malgrado.
Si è sempre detto che gli scrittori, e gli artisti in generale, devono parlare soprattutto attraverso le loro opere. Se queste necessitano di essere spiegate, qualcosa non ha funzionato, o da parte del creatore o da parte del fruitore. Oggi, come sappiamo, l’incontro-commistione fra scrittori e lettori – usiamo il maschile sovraesteso per semplicità – è non solo raccomandato, ma viene praticato con impegno da entrambe le parti, soprattutto da quando le vetrine social non solo offrono, ma impongono l’auto-esposizione a chiunque intenda farsi conoscere. Ma questo non deve far dimenticare il nocciolo della questione, che viene da lontano e non perderà il suo valore. Un amico che ci lasciò quindici anni fa – quando facebook stava per irrompere da noi – aveva idee molto chiare che amava affermare senza filtri, anche attirandosi antipatie. «Se mi fosse mai dato, in virtù di chissà quale sortilegio, di incontrare Dostoevskij, mi getterei ai suoi piedi e piangerei per ore», leggiamo nelle sue mail. «Sarei disposto a sacrificare un testicolo per Dosto e un altro per Cervantes. E darei volentieri un rene per Tolstoj. La mia adorazione per questi dèi è totale, incondizionata. Se incontrassi Gabo, bacerei la mano che ha scritto Cronaca di una morte annunciata, mi offrirei di fargli il galoppino gratis, ma se entrassi in confidenza, gli direi che è una testa di cazzo ad appoggiare Fidel Castro che ha fatto morire Reinaldo Arenas. Se potessi incontrare Dostoevskij, farei anche in modo che la nostra conoscenza finisse dopo questo tributo, non vorrei frequentarlo fino al punto da annullare la magia che deve separarci. Non vorrei trovarlo “noioso”, “cattivo”, come so che lo troverei. Se mi fosse dato conviverci, magari arriverei al punto di annoiarmi, di accorgermi che nella vita è un cataplasma».
La verità, secondo lui, è che gli scrittori ci parlano attraverso il momento magico della creazione, e tutto quello che viene dopo è sovrastruttura che inquina. Lo scrittore dovrebbe tacere quando ad aprire bocca è la sua opera. Questo perché, sosteneva,
«i lettori sono esseri ripugnanti: vogliono avvicinarsi al loro “dio” per distruggerlo, vogliono poter dire “oh ma è una persona così simpatica, così alla mano”, salvo poi trovare che gli puzza l’alito. Quando lo scrittore scende dal piedistallo per annullare democraticamente le distanze, i lettori non staranno sullo stesso piano: prima o poi finiranno con il seppellirlo (fattolo scendere dal piedistallo, lo collocheranno sottoterra). Uno scrittore deve essere bravo, ma non importa che sia simpatico, e tantomeno deve essere disponibile con i suoi lettori. Ciò che ha fatto lo ha fatto scrivendo il libro. I lettori sono esseri ripugnanti quando hanno la possibilità di avvicinare uno scrittore. Vogliono annullare la distanza che li separa dal loro idolo, vogliono analizzarlo, fargli un’autopsia in vita. Vogliono vedere dov’è il genio, se è sotto l’ascella o fra i peli pubici. Uno scrittore che accetta il dialogo con i lettori è un povero pazzo suicida. I lettori sono i peggiori nemici dello scrittore: vanno disprezzati e tenuti a distanza. Il dialogo con i lettori lo si fa soltanto attraverso i libri: lo scrittore ha parlato, i lettori assentiranno o dissentiranno. Il resto o è ipocrisia o è demagogia o è promozione letteraria».
E oggi succede che la promozione letteraria, che impone la sua dittatura, rischia di indurre i lettori a sentirsi in diritto di sindacare sull’opera dello scrittore, pretendendo di condizionarlo con i propri punti di vista. Uno scrittore ormai affermato, per fare un esempio, nato proprio su facebook e impegnato a gestire il suo seguito, si è visto contestare dalle fans la pubblicazione di una foto in cui si baciava in modo “troppo sensuale” con la moglie, perché questo contrastava con l’aura familiar-buonistica soffusa nei suoi libri e che loro avevano assorbito; qualcuna minacciava addirittura di abbandonare i suoi libri, come se si fossero tradite le aspettative di chi si sente “azionista”, quindi con voce in capitolo. E qui entriamo nel campo del politicamente corretto, la piaga che sta tormentando il nostro tempo: quella che ha già indotto qualche scrittore, nel presentare il suo romanzo, a prendere le distanze preventivamente dalle azioni di qualche personaggio violento o misogino, precisando che lui quelle azioni “non ha mai nemmeno pensato di giustificarle”. Siamo nella nuova era, e vedremo che sviluppi avrà.