
Dissolvere l’Opaco. Roberto Masi, poeta inconsapevole
Poesia
Davide Grittani
Cantava la fugacità della vita umana, Robert Herrick: visse fino a ottantacinque anni, molti dei quali passati a raffinare, con cruciale perizia, i propri versi. A suo dire, la poesia doveva essere nobile come un falco, limpida come acqua tra le mani; in uno dei suoi più celebri componimenti, d’altronde, dichiarava di cantare “i ruscelli i fiori gli uccelli/ le selve di aprile… le veglie e le torte nuziali”, in contrasto con “le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,/ le cortesie, l’audaci imprese” narrate da Ariosto. In uno dei celebri, laconici versi, il 475 del suo canone, Herrick scrive:
“Dunque:
sono stato
e sono morto
di passaggio
come uno
sconosciuto”
Trovò la sua dimora interiore a Dean Prior, minuscolo borgo del Devonshire, dove si era fatto inviare come vicario della Chiesa d’Inghilterra. Amava i prati, il mare sullo sfondo, il regno delle fate, le passioni brevi, che si smorzano con una battuta. Amava il vino, la fantasticheria e un dio bottegaio, che conosce il fuoco e la rosa. Sapeva cantare, con classica eleganza, con la maestria di chi si finge rétro, i futili narcisi e il formidabile petto di una passante, il cuore di pietra e l’amore che dissangua; scrisse l’epitaffio per un bimbo morto neonato, recintò in pochi versi “la pietà di Dio”.
Istruito al genio lirico da Ben Jonson, ebbe parentela, più che altro, con Catullo, Orazio e Virgilio; fu il più ‘latino’ degli inglesi, adorabile per il suo essere sfalsato rispetto al secolo; gli venivano a noia le spericolate vertigini degli elisabettiani, il sangue a litri, offerto a buon mercato, le liti familiari, le filiazioni incestuose, l’urlo sguaiato, quello sgattaiolare tra latrine e assoluti.
Nonostante la tempra, visse in tempi difficili. Ascritto tra i “Cavalier poets”, fedele a Giacomo I e a Carlo I, durante gli anni di Cromwell fu espropriato di tutto, visse mendicando. La sua raccolta più importante – Hesperides – uscì nel 1648, nel pieno dei torbidi della guerra civile: il re sarebbe stato decapitato pochi mesi dopo. Hesperides nasce dai torchi di John Williams e Francis Eglesfield, reca la corona in copertina, è retto da una citazione di Ovidio (“il mio carme spiccherà sopra l’effluvio degli avidi roghi”); il sottotitolo – Or: the Works both Humane & Divine – dice della duplice intenzione di Herrick, dire l’umano e il divino, il sovrabbondante e il frugale, Innocence and Experience.
Con la Restaurazione, gli fu permesso di ritornare nella City e godere dei suoi previlegi da alto intellettuale. In His Return to London Herrick inneggia a “Londra, la mia casa”, ritrovata dopo “il ferreo, frastornante esilio”. “Sono debole, tra poco crollerò/ sia sepolto nel tuo grembo il mio cadavere”. Le preci di Herrick non si realizzeranno: il poeta dei vasti silenzi e del commento salace, non sapeva più sopportare il chiasso londinese, la poesia alla moda, i prelati tribunizi. Dal 1662 si ritirò ancora a Dean Prior, dove visse per quindici anni, senza più scrivere un verso – morì, e secondo la profezia che si era autoinflitto, fu dimenticato il luogo della sua sepoltura, corrosa dai salmastri venti, purosangue del cielo, la sua lapide.
Figlio di un orafo del re – da lì, il talento nel labor limae, nell’allineare a lama d’oro il rozzo verseggiare –, Herrick aveva il naso grosso, aquilino, e la chioma scapigliata. Le sue amanti – le dozzine che sbocciano tra i versi – sono tutte fittizie, estemporanee fatine: il poeta non si sposò mai, alcuni lo dicono per sempre vergine.
L’ondata dei ‘metafisici’ finì per travolgere la sua poesia, schietta, di primo impatto, priva di sofisticherie e di ambizioni d’alchimia lirica. Robert Herrick, si può dire, è l’esatto opposto di John Donne. Ritornò in auge nell’Ottocento; la sua musica si ausculta – quella furia epigrammatica, l’orecchio per ogni minimo trillo del creato – in certi versi di Emily Dickinson. Un tempo – Isopel May, nell’Enciclopedia Italiana Treccani – lo si diceva “uno dei più notevoli lirici inglesi”; resta il fatto che in Italia è pressoché intradotto.
Cantava, con smaliziata eleganza, la luce, la gioia, la grazia. Proprio perché tutto è effimero, tutto va amato con fierezza iliadica, con la dedizione di chi annaffia una pianta. Tutte cose che in questo tempo, il tempo degli avvoltoi del rancore, dei gradassi in piena luce, dei cinici e dei ciclici cilici, fa quasi sorridere. Tutte cose che ai più sembrano superate ma che sono insuperabili.
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Di cosa scrivo
Canto i ruscelli i fiori gli uccelli
e le selve di aprile, maggio e giugno
canto le estasi di luglio e i destrieri
di maggio, le veglie e gli sposi e le torte
nuziali. Scrivo della giovinezza e dell’amore
perché il mio canto è puro, è sfrontato.
Canto la rugiada e la pioggia, brandelli
di balsamo, l’olio, le spezie e l’ambra bigia.
Canto il tempo che trasmuta, scrivo delle rose
che diventano rosse, dei gigli che ingigantiscono
il bianco. Scrivo i boschi e i crepuscoli, canto
di Mab che regna sulle fate. Scrivo degli inferi
ma canto e canterò sempre il Paradiso
perché dopo tutto spero di meritarlo.
*
Delizia dello scapigliato
Un quieto disordine nel vestire
accende la vita alla sregolatezza;
un’irsuta giacca gettata sulle spalle
rende nobile il caos; barba
errabonda, poi, che abbaglia
il petto cremisi; i polsi negligenti
dunque nastri che si annidano
alla rinfusa; sia vigorosa l’onda
della tempestosa camicia;
alle scarpe, allampanati lacci
annodati secondo modi selvaggi:
incanti di più così rispetto a chi
con arte si perita di essere perfetto.
*
Daffodils
Superbi narcisi, troppo presto
sfiorite: il sole non è
ancora a mezzogiorno.
Restate, restate con noi
finché il giorno
non rovina nel canto
della sera: dopo aver
pregato svaniremo insieme.
Come il vostro, breve è il nostro andare
improvvisa la primavera;
come voi, cresciamo e subito
crolliamo: questo è l’enigma del creato.
Come voi
moriremo nel giro
di un’ora, futili
come la pioggia d’estate
come coralli di rugiada al mattino:
nessuno saprà più ritrovarci.
*
Cuore di ghiaccio
Gelo, gelo, nulla abita in me
se non neve e ghiaccio.
Ti prego, aiutami a sciogliere
questa neve, a sbriciolare questo
ghiaccio: tracannerò fiamme, se vuoi,
ma se nient’altro che l’amore può darmi
sollievo, preferisco questo gelo
questa neve a quell’ardore.
*
Cuore ferito
Allora: conduci l’arciere
con arte ferisca il mio
cuore, lo lasci gocciolare
qui e qui: nessun
dardo saprà farti lacrimare
nessuno potrà trafiggerti
in qualche spiraglio;
sia questo il mio scopo:
voglio svelare
il tuo segreto – tu sai
far sanguinare
il mio cuore
il tuo non soffrirà mai
per me.
*
Che cos’è l’amore
Amore: sfrenato affannarsi
nella dolce sfera dell’amare.
*
A se stesso
Fui giovane, sono vecchio
non ancora un freddo stoccafisso.
Gioco d’azzardo e se voglio
azzanno alla vita una vergine:
nel suo grembo rivivo
e redivivo muoio di fantasticherie;
se lei mi schiaffeggia o mi dà un bacio
risorgo – ecco come l’amore
sopravvive alla mania degli anni.
*
A Silvia, amante padrona
Quando qualcuno dirà, era bella la tua Silvia
risponderai: il responso dello specchio dice
il contrario; ciò che era verde ora si appanna
ciò che ora non ha prezzo allora era inestimabile.
Rughe si radicheranno sulle tue forme:
crollerai senza far rumore.
Sei impagabile, è vero, cioè: senza valore.
*
Epitaffio per un bambino
Nacqui: come breve delizia
fluttuai davanti agli occhi
dei miei – il più duro fato ha arrestato
il mio restare – sono morto.
Se verserai una lacrima o due
onorando le lacrime dei tristi
genitori, se ai fiori aprirai
la mia tomba, ti sarò grato. Addio.
*
Il silenzio
Siano le tue gambe, non la lingua, a camminare:
Dio, il solo Saggio, rade al suolo ogni dire.
*
Preghiera di assoluzione
Per quelle incirconcise rime
scritte nei giorni selvaggi
mio Artefice, per ogni frase
concetto o parola che in Te non
si intarsia, mio Dio, perdonami, annienta
ogni rima dai miei libri: se tra tutte
ne trovi qualcuna degna della Tua
benedizione, eleggila tra le altre:
sia quella la mia legge, la mia gloria.
*
La pietà
Sconfinata pietà di Dio per il peccatore:
oceano fertile per sempre – si dirama
in mille rivoli, ancora sconosciuti, ancora
da riempire – benché tutti accolga
non è mai colmo: pienezza
è parola che non ha principio.
*
Come trovare Dio
Pesa il fuoco; trova il modo
di misurare il vento.
Distingui le maree che si intrecciano
in quel teatro tetro abisso, e assaggia
com’era il mare al principio.
Dimmi chi dimora
nei più profondi regni;
intrappola una nuvola
e sarchia i semi della pioggia.
Dimmi dei grani, della polvere, della sabbia
quando l’estate smuove le sue orecchie;
mostrami il mondo delle stelle
e come svuotano su di noi la loro sorte.
Se ne sei in grado, allora mostrami
Lui a cavallo di gloriosi cherubini.
Robert Herrick
*In copertina: “Gather Ye Rosebuds While Ye May” (1909), il quadro di John William Waterhouse ispirato dai versi di Herrick