11 Marzo 2021

“Devi sapere che sarai sola…”. Manuela Diliberto dialoga con Patrizia Barbera

Palermo, estate 2018, ancora lontani dalla pandemia. Ci ritroviamo in tarda mattinata vicino casa di mia madre. Lei arriva in macchina da Trapani, fa due giri e trova posto. Malgrado il caldo torrido, esce dalla vettura fresca come una rosa, elegantissima. Mi chiedo come faccia ad essere sempre in ordine, appropriata, adeguata, questa donna che spiega nelle scuole di Trapani quanta violenza si celi dietro gli stereotipi di genere. La dirittura morale ricorda quella di una vestale romana, l’ironia fine me la rende intima come una vecchia amica. La postura dritta, a testa alta, la voce chiara, diretta, lo sguardo attento, luminoso, in lei ogni tratto sembra esprimere forza, mentre, non so perché, io ne sento da sempre la fragilità. Dovevo presentare il mio libro ad Alcamo nel 2017. Eva Calvaruso, una delle organizzatrici di AlcamArt, mi disse : “Mi è venuta in mente una persona che andrebbe benissimo per il tuo libro!”. Quando la vidi pensai subito di volerla intervistare. L’intervista, cosa inedita, si svolge “dopo” la seduta fotografica. Nella cucina del bed and breakfast, sedute attorno ad un tavolo di marmo bianco, mi spiega con meticolosità la sua anima.

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1. Come ti chiami, e perché i tuoi genitori hanno scelto proprio questo nome?

Patrizia Barbera – Io mi chiamo Patrizia. I miei genitori hanno scelto questo nome perché… non ce l’ho chiarissimo. Ma credo che mi abbiano detto – io sono nata nel ’63 – che a quell’epoca piaceva tanto una ragazza in televisione, una valletta… Sì, mi sembra una valletta in una trasmissione! … La prova è che molte delle mie amiche si chiamano “Patrizia” e hanno tutte la stessa età, anno più, anno meno (ride).

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2. Se non ti chiamassi in questo modo, che nome sceglieresti se potessi prenderlo in prestito ad un personaggio storico o dell’attualità, del passato o del presente?

Patrizia Barbera – Allora, a me sarebbe piaciuto avere un nome corto, senza la “Z”. Quindi un nome un po’ più dolce… Perché Patrizia mi sembra un nome un po’ spigoloso per me, non so come dire… Allora mi sarebbe piaciuto, che so, Clara

M.D. – Ma di che personaggio?

P.B. – Un personaggio, qualcuno che mi ha ispirato… (ci riflette un po’). In questo momento, non so perché, non te lo so dire, casomai poi ci ragioniamo su, mi viene in mente Oriana.

M.D. – Fallaci?

P.B. – Eh, sì, ma non so perché… Mentre parlavo con te e tu mi hai detto “un personaggio…”, mi è venuta in mente lei. Questo se devo dirti la prima cosa che mi viene in mente, ovviamente. Se poi mi metto a ragionarci su…

M.D. – Sì, sì, infatti così va benissimo!

P.B. – Ma forse, a ben riflettere, quando mi hai fatto la domanda, non so perché mi sono rivista ragazzina… mi sono vista con mio papà che mi dà un libro da leggere (Carlo Barbera, militante per i diritti civili e sociali, socialista, eletto sindaco di Trapani nel 1980) ed era un libro di Oriana Fallaci… È stata un’associazione di idee. In effetti la ragione della scelta, più che alla scrittrice, la lego a quell’evento particolare. È stato uno dei primi libri che mio padre mi ha fatto leggere… Ogni tanto passava dalla mia stanza e mi lasciava dei libri (ricorda, intenerita dalla sensibilità del gesto). Uno dei primi è stato proprio un libro della Fallaci… io ero ragazzina, avrò avuto sedici anni… Poi mi lasciava un po’ di tutto, dai Beati Paoli, ai Promessi Sposi… Insomma. Non so perché mi è venuta questa associazione (sorride)!

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3. Sai che questa intervista anticipa il mio prossimo progetto letterario in cui sono intervistate persone note o sconosciute che avrebbero potuto condurre una vita comoda e vivere con tranquillità e facendo finta di nulla, ma che han deciso di sobbarcarsi rischi, disagi di ogni genere ed il biasimo della famiglia, degli amici e\o della società, per aver compiuto scelte “scomode”. Tu, secondo te, perché sei seduta su questa sedia e stai per essere intervistata?

Patrizia Barbera – Devo dirti… siamo io e te… sai che non so dire cose che non penso! Devo dirti che me lo sono chiesto (rido)… Non sono riuscita a darmi una risposta precisa, però una cosa che mi ha un po’ emozionato, quando tu mi hai chiesto di intervistarmi, è che sei forse la seconda persona nella mia vita a chiedermi di me. Questo mi ha molto sorpresa. Una persona che mi chiedeva di me era mio padre… Non ricordo negli ultimi cinquantacinque anni – tanti ne ho –  che ce ne sia stata una terza che mi abbia detto: forza, raccontami di te!

M.D. – Ma è strano, sei una donna così affascinante! Forse non hanno il coraggio di chiederti…

P.B. – Anche questo mi sono domandata! Forse sono io ho che ho fatto in modo che non accadesse. Se la gente si intimidisce davanti a me, allora una responsabilità ce l’ho anch’io…

M.D. – Quindi non sai che scelta scomoda hai fatto?

P.B. – Nooo… scelte scomode ne ho fatte! Intanto la mia scelta scomoda, anche se dipende da come la si vede, è una scelta di solitudine proprio perché non so fare scelte comode. Non le so fare perché ci sono delle cose che non so accettare. … Non sono brava nei compromessi! Questo mi limita molto e sono destinata alla solitudine, perché questa rigidità, questo essere dura con me stessa, innanzi tutto…

M.D. – Ma perché l’amatissima figlia di un personaggio importante di Trapani, di famiglia borghese, una bellissima donna, ha deciso di non sposarsi con tutti i crismi con il più importante partito della città e andare a vivere una vita agiata e borghese, ed è invece finita ad insegnare la storia del femminismo nelle scuole, lavorando duro per crearsi una credibilità nella sfera delle attività sociali? (Ride). Quale motore ha spinto questa donna che avrebbe potuto avere tutto sulla carta, e che ha finito per avere invece tutto… ciò che conta per lei?

P.B. – Devo dire che il motore è stato – devo ripetermi – avere un padre come il mio. Io ho avuto un padre un po’ particolare rispetto all’epoca in cui è vissuto e per la tipologia di posto in cui sono cresciuta: io vengo da una cittadina di provincia in cui tutto dev’essere – come dire? – socialmente compatibile e in cui bisogna osservare le regole… Però ho avuto anche un padre discreto, stimatissimo, ma che se voi l’aveste visto, non sembrava un rivoluzionario, e invece lo era (ride con fierezza), perché mi ha trattata in un modo… Chiedeva solo a me, e non ai miei fratelli, di accompagnarlo a comprare il giornale – lui ne comprava sette alla volta – e mi diceva: “Leggi la stessa notizia sui sette giornali diversi e poi dimmi che ne pensi”, mi ha portato a conoscere e a condividere delle vite di altre persone che non erano quella che noi, magari anche in maniera privilegiata, potevamo avere. Era, come dire, assolutamente contro tendenza rispetto ai tempi. Pensa che, non rammento esattamente a che età, credo dieci o undici anni, mi passava di fianco, e, di nascosto – io unica femmina con due fratelli più grandi – mi diceva: “Ricordati di non dipendere mai da nessuno, meno che mai da tuo marito”! …Che io, a dieci anni, non sapevo neanche che mi volesse dire! (Ride). Però me l’ha ripetuto tante di quelle volte… E questo è andato avanti, sempre. C’era questa cosa… quasi una specie di segreto, no? Invece mia madre era completamente diversa, del tipo: “Le persone che devono dire?” (Rifletto sulla frase sentita tante di quelle volte da piccola da trasformarsi in me in questione esistenziale) e che era assolutamente nelle regole del posto e del tempo (sorride ironica)!

M.D. – Quindi tuo padre ha programmato, nel vero senso della parola, una femminista attivista!

P.B. – (Ridiamo insieme). Sì, assolutamente sì!

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4. Ne L’arte della guerra, scritta fra il 1519 e il 1520, Machiavelli diceva che “Gli uomini che vogliono fare una cosa, debbono prima con ogni industria prepararsi per essere, venendo l’Occasione, apparecchiati a soddisfare a quello che si hanno presupposto di operare”. Nelle piccole cose, o ancor più nelle grandi, è sufficiente impegnarsi con ogni industria, con grande zelo, tenacia e ostinazione, o si ha anche bisogno dell’Occasione?

Patrizia Barbera – Ma… Sai, anche il saper riconoscere l’occasione serve per “l’essere attrezzati per”…

M.D. – Nel senso che l’occasione capita più o meno a tutti, ma è la gente che non la riconosce?

P.B. – Sì, probabilmente sì. Riconoscerla fa parte dell’essere apparecchiati in un certo modo. Essere apparecchiati, attrezzati, non è che significa solo avere le armi giuste per andare in guerra, ma anche avere la testa “giusta”, l’occhio sveglio! E al di là dell’accorgersene o meno, se si è effettivamente attrezzati, probabilmente è solo questione di tempo: prima o poi accade… se veramente vuoi… Mi piace pensare così.

M.D. – Allora l’occasione si può anche creare?

P.B. – Credo di sì, sai? … Mi piace pensare questo, devo dire la verità. Ed è così. (Riflette). Posso dirti che è così.

Manuela Diliberto insieme a Patrizia Barbera; photo Cristina Dogliani

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5.

A cosa pensi, cosa provi nei momenti più duri quando hai tutti contro e le critiche si abbattono numerose? A quale forza ti sei aggrappata?

Patrizia Barbera – (Sorride). Dunque… in questa domanda hai praticamente riassunto la mia vita. Funziona così non perché ci sia un motivo particolare, ma probabilmente perché è un’abitudine alla cittadina di provincia: ci si critica parecchio, si sa sempre tutto di tutti… Io dico che è come uno sport provinciale! (Ride). Ma quando ho tutti contro e vengo criticata, mi aggrappo a me, devo dirti la verità. Ho provato nel tempo ad allungare una mano e ad aggrapparmi a qualcun altro, ma non ho mai trovato nessuno. Sai qual è la cosa? E il perché spesso io sia stata graziata dalle critiche? Perché sono consapevole del fatto che io non sono così come dicono. La mia forza è la consapevolezza che io ho di me. “È inutile – dico – che ci provate! Mi potete solo sparare per fermarmi, perché se mi legate io mi slego, se mi rinchiudete io esco fuori: un altro metodo per fermarmi non c’è!”.

M.D. – E se questa forte consapevolezza di te tu la dovessi visualizzare con un’immagine?

P.B. – Se la dovessi visualizzare con un’immagine… questa forza, questa consapevolezza (dice, riflettendo al tempo stesso)… un’immagine che mi viene è un mare enorme. “Mare”, sì! Proprio una distesa enorme… Sai quando tu dici: ma come lo fermi? Non lo puoi fermare! Anche lo sbattere dell’acqua sugli scogli che torna e ritorna… E ti puoi rassegnare perché sarà sempre così, non si può fermare il mare! Questo è quello che sento… ed è anche la mia “dannazione”, perché oggi sono qui, ma domani chissà cosa farò? E questo alla mia età inizia un po’ a stancarmi… Sì, a 55 anni sono un po’ stanca! E allora a volte mi dico, ma perché non mi rassegno? Ho la mia attività, una figlia meravigliosa, va bene così, non c’è bisogno di andare sempre contro, contro i pregiudizi, contro i cliché… Però… non lo so, è come se la vita mi dovesse ancora tante cose… (mi guarda fra il serio e il faceto. Fa una pausa). E perché gliele devo lasciare?! (Dice tutto d’un fiato prima di scoppiare a ridere insieme).

M.D. – Infatti non devi!

P.B. – Ecco!

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6. Cosa fa la differenza fra il decidere di intraprendere la via più tortuosa e, invece, il far finta di niente?

Patrizia Barbera – Guarda… a far finta di niente ci ho provato! Tante volte. Solo che poi mi vengono tutte le malattie del mondo…

M.D. – Fisicamente?

P.B. – Sìii… Una cosa terribile! Mi vengono dei malori… (Rido pensando che soffro della stessa sua “sindrome”). Devo dirti però che io non mi piaccio tanto. Questo è un lato di me che non mi piace molto. Perché alla fin fine il mondo dovrebbe essere come piace a me? È ovvio che non lo sia… dovrei adattarmi, accettarlo! E invece non ci riesco. E in ogni caso, se riesco a far finta di niente, è solo perché non mi interessa la cosa per cui sto facendo finta di niente. Anzi, mi dà il metro di quanto me ne possa importare di quella cosa lì!

M.D. – E quanto costa la via tortuosa?

P.B. – Forse l’ho detto all’inizio: costa solitudine. Devi sapere che sarai sola. Allora ti devi chiedere se ne valga la pena di essere sola.

M.D. – E il premio qual è?

P.B. – Intanto, alzarti la mattina e piacerti, il che già è una cosa buona! Vent’anni fa non so come avrei risposto a questa domanda. Oggi ti rispondo: ho una figlia di vent’anni. Adesso il premio è lei. È leggere nei suoi occhi che questa mamma le piace… quindi il premio è la sua ammirazione.

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7. Una grande pena, una grande apprensione o una grande paura, possono giustificare la defezione da una scelta che in determinate circostanze può rivelarsi fatale sia per se stessi che per la collettività? Fino a che punto ci possiamo scusare quando a pagare per la nostra inerzia è anche qualcun altro?

Patrizia Barbera – Zero. Non possiamo giustificarla. Non c’è giustificazione. Non c’è. Io sono stata molto fortunata nella mia vita, al di là della fatica di cui stiamo parlando… ma è una fatica scelta. E per fortuna ho avuto la possibilità di scegliere. Ma posso raccontarti un episodio. Mio padre faceva politica, era socialista, sindaco a Trapani e San Vito. Tu sai che noi viviamo in un contesto in cui ci sono delle regole non scritte – mettiamola così. Sono elegante, vedi come sono elegante? (Aggiunge ironica e divertita).

M.D. – Molto! (Rido)

P.B. – Regole non scritte che puoi più o meno scegliere di accettare. Quando lo fai sono scelte che condizionano non solo te ma anche tutta la tua famiglia – un po’ quello che dicevi tu. Ecco, nella nostra famiglia ci sono stati momenti della quotidianità in cui le ruote della macchina le trovavamo tutte a terra, o mio padre con periodi di scorta, in tempi ancora non sospetti, quando ancora l’idea della scorta era avanguardistica, o la mia casa di San Vito che è saltata in aria… Quindi ti dico, non me lo chiedere cosa significa la “grande paura” o se ci si debba voltare dall’altra parte: non ci si volta dall’altra parte!

M.D. – Visto che l’hai vissuto sulla tua pelle…

P.B. – Ci si mette in gioco! È il motivo per cui non mi volto dall’altra parte e tu mi trovi in mezzo ai ragazzi e alle ragazze a parlare del valore di ognuno di noi. Perché? Perché me ne sento responsabile. Mi si può dire, ma tua figlia è perfetta, è sicuro che si fa rispettare, eccetera. Sì, ma mia figlia. Ma noi siamo responsabili anche degli altri. È come se fossero tutti figli miei! E allora non posso non vedere quello che accade… Perché a casa mia io sto comoda! (Mi guarda dritta negli occhi e fa una pausa). Ho un bel divano, comodo, dove sto benissimo… (Cristina ed io la osserviamo con il fiato sospeso).

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8. Un mio conoscente conserva ben in mostra fra i suoi libri, nella libreria del suo salone, una copia di Mein Kampf. Davanti al mio stupore e alle mie domande ha spiegato seraficamente che si tratta dell’omaggio che i suoi genitori ricevettero il giorno del loro matrimonio in Germania, negli anni ’30, come si usava fare per le coppie di giovani sposi, e che per lui non si tratta che di un caro ricordo di famiglia, e niente di più. Pensi che la sua spiegazione e la sua scelta siano comprensibili e legittime?

Patrizia Barbera – No (netto, secco, chiaro). Perché io penso che questo vada bene fino a che si abbia un’età adolescenziale in cui ancora non è venuto quel libero arbitrio per cui poi si sceglie. Da quel momento in poi, Mein Kampf non può rappresentare solo un ricordo di famiglia. Immagino che per ricordare i genitori egli abbia delle foto, dei gioielli, degli oggetti anche più rappresentativi di ciò che era la sua famiglia. Ma il fatto che abbia scelto un oggetto del genere, dice anche altro…

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9. Se non fossi te ma fossi un’altra persona e ti incontrassi e avessi occasione di conoscerti un po’, con che parole descriveresti Patrizia? Che descrizione ne daresti?

Patrizia Barbera – (Sospira riflettendo). Se io mi incontrassi, intanto mi abbraccerei (Rido sorpresa).

M.D. – Sei la prima che risponde così (continuo ridendo). Ti abbracceresti?! Carino!

P.B. – …Mi abbraccerei e probabilmente mi basterebbe quello. Poi se dovessi raccontare di aver incontrato una persona, forse direi che ho incontrato (fa una lunga pausa)… che ho incontrato un dolore (altra pausa. Non so perché decido di fermarmi lì).

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10. Se non fossi Patrizia Barbera, chi vorresti essere?

Patrizia Barbera – Intanto ti dico che è una domanda che non mi sono mai posta. Se mi devo impegnare a dirti chi vorrei essere… non ho in mente una persona precisa. Però mi sarebbe piaciuto essere… una mamma di tanti figli! Mi sarebbe piaciuto avere tanti figli. Cinque, sei o sette… (La guardo stupita).

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Domanda Personale. Quanta strada deve ancora fare la donna, secondo te, per arrivare alla parità dei diritti con l’uomo?

P.B. – (Fa una pausa e poi risponde con tono ironico). Quanto tempo hai tu ancora a disposizione per l’intervista? (E ride. Mi unisco a lei e ridiamo divertite).

M.D. – Quali sono gli ostacoli più grandi che impediscono che questo processo si attui?

P.B. – (Risponde subito). I luoghi comuni. I luoghi comuni, intanto. I luoghi comuni che passano come cose normali. Te ne faccio uno? “Ma tu ancora con ‘sta questione delle donne? Ormai! Ormai che abbiamo tutto!”, le prime a dirlo sono le donne. Un altro luogo comune? Gli uomini quando dicono: “No, ma siete migliori di noi! Veramente…” (rido). Ecco, in automatico, quando c’è qualcuno che dice questo, mi metto in posizione di difesa perché vuol dire che si pensa esattamente il contrario. Perché si dice? Perché ognuno rimanga dov’è. Salvo poi… vuoi che ti parli di statistiche? Quindi non di un’opinione, ma di numeri… Il 94% dei posti apicali è occupato da uomini. E allora io dico, che significa? Che io faccio parte di un 6% anche se sono più preparata. Nei posti ai vertici ci sono soltanto i maschi e nessuno si chiede come mai. Perché questo avviene in automatico… e in automatico ciò è pensato come “merito”! Cioè, è giusto che sia così…

M.D. – Ma qual è il principale nemico della donna?

P.B. – Intanto tutto quello che ci siamo dette finora. Cioè: quante di noi sono disponibili a stare sole? È una scelta di solitudine, perché la prima scelta la faccio in casa, la faccio con mio marito, la faccio con mio figlio (mentre parla mi ricorda in un modo incredibile Bianca D’Ambrosio, la protagonista de “L’oscura allegrezza”. Quasi che Bianca si fosse incarnata per magia in Patrizia). Per poter cambiare le cose, io devo essere disponibile prima a metterci la faccia. Mi deve saltare in aria la casa e devo sapere che se mi salta in aria, io devo andare avanti lo stesso! Devo sapere che mi arriveranno le lettere di minaccia… metaforicamente… per me, per mia figlia, per tutti i nipoti… Noi siamo stati minacciati tutti di morte, ma siamo andati avanti lo stesso! Avremmo potuto fare una scelta comoda, che era quella di adeguarci… E poi quante donne sono libere? Guarda che per fare una scelta simile devi essere nelle condizioni di poterla fare, intanto economiche e poi, a partire dall’educazione dei nostri figli e figlie! Nelle scelte educative sia dei bambini che delle bambine la sola cosa da fare è invogliarli e motivarli, le bambine a pensare e a contare prima di tutto su loro stesse sempre e i bambini a rispettare e capire queste istanze femminili. E te lo dice una il cui sogno è stato sempre quello di fare la mamma! (Al mio stupore ride, continuando a parlare con calma) …Vero! Io adoro fare la mamma! Non mi sono mai sposata e sono single, ma ho sempre adorato l’idea di rientrare a casa e cucinare, stirare, preparare tutto per la mia famiglia. Mi sarebbe piaciuto occuparmi solo di questo (rido e le ammiro questa capacità di essere se stessa, ironica e spudoratamente autentica). Ti ho stupito? Non te l’aspettavi? Io stiro da Dio… so anche ricamare! So fare tutte queste cose… Ma da tutti questi cliché ne dobbiamo uscire, e le prime a farlo devono essere le donne! Perché l’idea di avere una famiglia deve essere un valore aggiunto per un uomo e un disastro per la donna nella società lavorativa? Le prime a dover cambiare questo stato di cose sono le donne.

M.D. – Sì, dovrebbero essere loro a dire al partner: “Senti caro, dividiamoci i ruoli!”. Le donne cominciano timidamente a uscire dalla cucina, ma non riescono ancora a uscire dalla nursery, purtroppo. Finché la cura dei figli sarà tutta sulle loro spalle… (Mi guarda annuendo con vigore).

P.B. – E quanti talenti sprecati in questo modo? Vabbé… basta!

*In copertina: Patrizia Barbera, pedagogista trapanese, promotrice di percorsi di pari opportunità, in un ritratto fotografico di Cristina Dogliani. 

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