30 Agosto 2018

Davide Scapaticci: un uomo solo contro il femminismo fondamentalista e il #metoo. Matteo Fais lo ha intervistato

La faccia è da schiaffi, il sorriso beffardo. Davide Scapaticci è una carogna, ma terribilmente simpatica. Chi segue la sua pagina Facebook, “Cara sei femminista”, più volte oscurata e riaperta – attualmente chiusa – lo sa. Nata come antitesi al femminismo imperante e al terrorismo del #metoo, è un po’ il contraltare goliardico di “Abbatto i muri” della agguerritissima Eretica. Dopo un anno dalla sua creazione, aveva già raggiunti circa ventunomila iscritti.

Scapaticci, che spesso e volentieri recita la parte del cazzone scapestrato e buontempone nei suoi post antifemministi, è in verità di una serietà impressionante quando c’è da argomentare – analitico, parla con cognizione e in modo forbito. Da Pangea siamo andati a raccogliere la sua opinione su diverse questioni oggi molto dibattute tra le sue acerrime avversarie, le femministe: i rapporti di potere uomo-donna, il #metoo e Asia Argento. Ma chi è il vero nemico di quello che molti considerano il più becero maschilista sulla piazza?

Comincerei chiedendoti di raccontare al pubblico quando e perché è cominciata questa tua attività social con “Cara sei femminista”, una pagina che motteggia palesemente tutto il pensiero – che io preferisco definire “l’ossessione diffusa” – femminista e del #metoo?

La pagina è nata sotto il governo a trazione PD e quindi in quel contesto di “ossessione”, come hai sottolineato anche tu, verso certe tematiche e vezzi ideologici – vedi la questione dei nomi declinati al femminile: Presidenta, Sindaca… È stata una reazione spontanea, dettata dalla volontà di partecipare attivamente, seppur in maniera palesemente goliardica, attraverso i social network. Il fine è mettere in evidenza – spesso, appunto, attraverso la presa per i fondelli – l’aspetto risibile che si cela dietro tutte le esternazioni di questa cultura politicamente corretta aliena, a mio avviso, a ogni tema pregnante, sostanziale, che meriti di essere affrontato in ambito politico.

Il femminismo, a tuo modo di vedere, ha mai avuto una sua utilità e perché non ce l’ha nel contesto odierno, come suppongo tu ritenga?

Precisiamo una cosa: se femminismo significa affermare che l’uomo non è il proprietario della donna, allora sono femminista. Se femminismo vuol dire manifestare la propria contrarietà verso aberrazioni quali la mutilazione genitale e la violenza, allora io, ripeto, sono femminista. E non soltanto femminista, ma militante, in prima linea. Il punto però è che questo tipo di battaglie, giustissime, non rappresenta più, e forse nemmeno in passato è mai stato, il nucleo fondante di quello che chiamiamo femminismo. Dico questo perché il movimento nasce nell’Inghilterra della post rivoluzione industriale, quindi durante l’Ottocento, all’interno di contesti sociali altoborghesi, in cui le donne, in quanto parte di ceti abbienti, godevano già di maggiori diritti sociali rispetto a un minatore o a un operaio. Siamo, insomma, pienamente nell’alveo della cultura liberale. Nel corso del tempo, poi, ha avuto modo di misurarsi con battaglie che potevano avere una loro sensatezza. Oggi però è diventato una forma di retorica autoreferenziale, un centro di potere, un’arma di distrazione di massa, che funge unicamente da avanguardia culturale del sistema economico vigente. Il femminismo ritiene di essere ribelle, contestatario, quando risulta invece assolutamente funzionale, se non parte integrante, della sovrastruttura del potere economico. È divenuto un aspetto del clima intellettuale promosso nell’ambito del capitalismo di terza generazione, il cosiddetto capitalismo cognitivo, che non ha più bisogno di una forza lavoro fisica, quindi a preminenza maschile. Serve a creare le fondamenta culturali, quell’avanguardia di pensiero che coopti le donne all’interno della grande catena di montaggio del mercato globale. Parallelamente, sfrutta determinate questioni oziose, quali quelle grammaticali, o certe ossessioni vittimistiche, come espediente. Noi gli contestiamo di non essere un movimento per le donne, ma un movimento che veicola un certo modello di donna, in carriera, ostinatamente e ideologicamente emancipata, quasi speculare all’uomo, annullando le differenze.

Mi piacerebbe che approfondissi ulteriormente le tue critiche al movimento.

Attualmente noi abbiamo una situazione, a livello sociale ed economico, che pone alla politica dei problemi estremamente gravi: la disoccupazione giovanile, il diritto al e sul lavoro, il problema della natalità, delle famiglie, della difesa dei nostri confini, un flusso migratorio continuo che va gestito e in qualche modo arginato. Di fronte a tali questioni strutturali, che rimandano alle basi fondanti di ogni comunità nazionale, una certa classe politica maggioritaria, trasversale e liberale, cosa fa? Risponde con argomenti politicamente corretti e progressisti, mutuati anche dal nuovo femminismo, che suonano come una presa in giro, una sorta di riproposizione della famosa leggenda di Maria Antonietta: “Se non hanno più pane, che mangino brioche”. Loro cosa dicono? Non avete il pane, tenetevi la denominazione di “genitore 1” e “genitore 2” per non urtare la sensibilità della comunità LGBT. Non avete il pane, prendetevi la libertà di dare il cognome della madre ai vostri figli. Voi giovani siete privi di ogni prospettiva di solidità economica, familiare e professionale? Ma chi se ne frega, tanto potete cambiare sesso tutte le volte che vi pare. Si nota in tutto questo una degenerazione culturale che ha portato a scambiare le sacrosante battaglie, contro effettive forme di violenza, con una costante rivendicazione di capricci che si vorrebbe vedere riconosciuti come diritti. In termini sostanziali, quello che io contesto al femminismo, oltre alle sue divagazioni retoriche, è l’aver sostituito le lotte sociali, su cui si è fondata la nostra società e l’Europa del ’900, con delle battaglie individualiste che attengono soltanto a una ristretta cerchia di persone, un’élite di stampo altoborghese. Quest’ultima colonizza l’agenda e la vita politica intorno a discussioni inutili e oziose. In tutto ciò però la popolazione, non essendo più così stupida, anche perché maggiormente avvezza a un’informazione trasversale che può girare attraverso i social network, comincia a stancarsi, a rivendicare qualcosa di differente, un diverso modo di fare politica, di pensare la propria comunità. Il femminismo ha dimenticato le priorità reali per affogare in un mare di liberalismo individualista, completamente antistorico, fuori dai tempi e dalle esigenze attuali.

Ma secondo te le donne sono veramente femministe? Penso a certe iniziative che hai organizzato sulla pagina CSF, come per esempio chiedere alle partecipanti di posare senza maglia, con un cartello con su scritto #iononhobisognodelfemminismo, che hanno poi ricevuto una partecipazione ampia e positiva. Più in generale, è mia segreta convinzione che le donne non vogliano il modello di maschio propugnato da questo pensiero dominante.

(Ride) Il femminismo, in effetti, confligge con quella che è la realtà del desiderio e delle dinamiche di attrazione delle donne. Poi, però, allo stesso tempo, per onestà intellettuale, bisogna ammettere che le follower della pagina, quelle che si ritrovano nella sua “linea di pensiero”, sono donne con una certa formazione, una certa educazione e convinzione politica. Sono, insomma, un campione non rappresentativo in termini statistici. Se vogliamo comunque fare un discorso più generale, sono d’accordo con te nel dire che il modello di uomo, e parallelamente quello di donna, che la rappresentazione mediatica del femminismo vuole fornire non trova un riscontro reale. Sarebbe anche troppo facile, per esempio, citare la famosa poetessa Sylvia Plath, quando dice che “ogni donna ama un fascista”. Una provocazione molto forte, proveniente da una che certo non può essere accusata di esser stata una bieca reazionaria. Provocazioni a parte, io non credo che ogni donna ami un fascista. Ritengo però che una delle grandi colpe del femminismo, in termini antropologici, sia stata quella di negare in modo assoluto le differenze biologiche. Dato che l’attrazione, come l’immaginario erotico, poggia senza dubbio su aspetti intellettuali, ma anche e soprattutto su una differenza biologica strutturale tra i sessi, ne consegue che i tratti di virilità, un certo modo di essere maschile, mantiene tuttora la sua importanza primaria. Così come l’uomo desidera un certo tipo di donna, questa a sua volta vede e trova nell’altro sesso qualcosa di attraente quando soddisfa le sue pulsioni più intime e arcaiche. Il femminismo invece intellettualizza tutto, lo livella da un punto di vista razionalistico. Su questa base anche gli studi di genere, che sono pervicacemente rivolti a provare che l’essere maschi e l’essere femmine non sono altro che costrutti culturali dettati da forme di potere diverse in ogni epoca storica, lasciano il tempo che trovano rispetto alle dinamiche reali – naturali, oserei dire. Non bisogna aver paura della natura, ma piuttosto fare i conti con il fatto che non è sempre pacata, nobile e rispettosa. Ha anche delle zone oscure, ambigue, è fatta di sangue e terra. Tutto questo, fino a quando non sfocia nella prevaricazione e nella violenza, è il motore di ogni vita autentica e di ogni desiderio sincero. Recuperare l’autenticità del virile e del femminile non penso sia in alcun modo fascista. Non bisogna amare un fascista per desiderare un uomo che sappia affascinare con la sua virilità, come non bisogna essere fascisti per amare una donna che sappia fare del femminile, della seduzione e dell’erotismo, una sua arma di attrazione.

Ti volevo porre una domanda sulla quale non si può proprio sorvolare: il caso Asia Argento e il movimento #metoo. A mio modo di vedere le accuse che sono state rivolte all’attrice da questo Bennett, come da un altro che le rimprovera di avergli inviato video erotici non richiesti, e con le quali si cerca di affossarla, sono da vedere tutt’altro che positivamente. In realtà riaffermano il criterio sotteso al #metoo e la follia per cui tu puoi far fuori sul piano mediatico una persona, a distanza di anni, dicendo che sei stata o stato stuprato/a e/o molestato/a. Tutto ciò è ancora presente negli attacchi avanzati contro la Argento. Semplicemente, quella stessa logica che lei ha creato e incarnato le si è rivoltata contro. Tu condividi il mio punto di vista?

Credo che tu abbia centrato esattamente il punto riguardo al caso di Asia Argento, vittima di una forma di nemesi che tocca spesso quelli come lei – perché c’è sempre qualcuno più puro che poi ti epura. Soprattutto quando sei in un contesto perbenista, quale quello del #metoo, che non a caso nasce in terra americana. Parliamo di una nazione che promuove puttanate come l’impeachment contro un presidente che ha mentito su una tizia che si è scopato quindici anni prima, sorvolando però sul fatto che magari ha ordinato interventi militari e promosso stragi sanguinarie di civili in nome di chissà quale esportazione di democrazia. Ecco, questo contesto culturale puritano è un po’ l’emblema della schizofrenia che è sottesa al femminismo imperante qui in Italia. Per certi versi, le sue sostenitrici vorrebbero veicolare l’idea di una donna libera, il che comporterebbe necessariamente una situazione in cui uomini e donne si trovino nella condizione di esprimersi sessualmente senza forme di violenza, tra adulti consenzienti. Poi però, alla radice, vediamo come il messaggio sia sempre estremamente contraddittorio e per questo schizofrenico. Perché da un lato il progressismo e il femminismo ti invitano a “godere, desiderare, scopare, dare sfogo al tuo desiderio, vivere la tua sessualità appieno, senza inibizioni”; dall’altro, ti vengono a dire “eh no, attenzione, il desiderio dell’uomo può essere un desiderio di per sé stuprante, violento, prevaricatore. Fate attenzione perché ci vuole un consenso informato, bisogna rispettare per filo e per segno la volontà di ciascuno. Se tu mandi una foto, come richiamo erotico, e viene considerata inopportuna, come nel caso della Argento e del musicista che sostiene di averla ricevuta, anche questa risulta essere una forma di violenza”. È incoerente: si celebra un’idea libertaria in termini sessuali, ma contemporaneamente la stessa sessualità diventa uno strumento di controllo assoluto, un espediente di distruzione dell’immagine di una persona. Ritroviamo in parte quello che diceva Foucault, il filosofo francese, quando in un intervento radiofonico, che prese il nome di La legge del pudore, già negli anni ’70, sostenne che la sessualità, in particolar modo quella delle donne, sarebbe diventata il mezzo per creare una sorta di clima di emergenza – il vero meccanismo di potere –, di controllo sociale costante in una comunità che si vuole invece definire libertaria e liberale. Asia Argento è rimasta quindi vittima del suo stesso furore giustizialista. Ha voluto elevarsi a paladina, fino a che le armi con cui ha combattuto non le si sono ritorte contro in una sorta di nemesi che, bada bene, io non condivido, né quando colpisce un uomo, né quando va a ledere una donna. Mi riservo, però, in tutta onestà, di nutrire quella forma di piacere un po’ perverso e cinico che si prova quando chi ha pontificato, ergendosi a censore, viene scoperto nella sua umanità di peccatore o peccatrice.

Sono sicuro che le femministe avanzeranno un’obiezione contro questa tua tesi, ovvero che vi sono dei rapporti di potere che implicano anche la sessualità, anzi soprattutto la sessualità, intesa come arma di offesa. Ecco, vorrei capire, dal tuo punto di vista, come si combatte la prevaricazione che si estrinseca in ambito sessuale, in un mondo quale quello del cinema e affini.

È un’obiezione che sicuramente verrà avanzata, ma a mio avviso non toglie nulla al discorso che ho fatto precedentemente. Diciamo che i rapporti di forza esistono da sempre e sempre esisteranno, all’interno del consorzio umano. E parlo di rapporti di forza al plurale perché non esiste soltanto un unico rapporto di forza. Sono al contrario molteplici e diramati all’interno del corpo sociale. Si tratta anche di forme di micropotere. Per intenderci, un rapporto di forza sussiste finanche tra me e te, in questo momento, perché tu sei l’intervistatore e io l’intervistato. C’è quando guardi la tv, un mezzo parlante al quale non si può rispondere. Sono ovunque, fanno parte della società. Farne una drammatizzazione ideologica, una continua ed esasperata rappresentazione critica, a mio modo di vedere, tende verso la psicosi. Si arriva così alla negazione di quella che è la realtà con le sue caratteristiche inemendabili. Fino a quando decideremo di restare in società, tra esseri umani, ci troveremo, purtroppo, non solo a contatto con la bellezza, e con la più alta espressione dell’ingegno, ma anche con la sua parte più abietta. Non è che bisogna accettare pedissequamente le forme aberranti, ma bisogna sapere che, nella vita e in certi contesti, ci si può trovare di fronte a delle situazioni di difficoltà. Perciò è assolutamente inutile, strumentale e ridicolo, farne una sorta di psicosi collettiva, una specie di chiamata generale alle armi, nei confronti di casi che purtroppo sono sempre stati presenti nel corso della storia. Che l’uomo potente tenda a far valere il suo potere come arma di seduzione, spesso diventando anche sgradevole e invadente, è assolutamente vero. E una donna, a questo punto, come si deve difendere? Con l’intelligenza e la capacità che hanno le donne di gestire simili evenienze – perché non sono delle mentecatte da tutelare come vorrebbero le femministe. Una femmina capace e intelligente sa anche come rispondere e dire di no, esattamente come sapevano fare le nostre madri e le nostre nonne che, pur non avendo il movimento #metoo o i giornali come “La Repubblica” e “Huffington Post” a ribadire ogni giorno quanto fossero povere e indifese, sapevano destreggiarsi benissimo e dire a un uomo quando era ora di farla finita, facendosi valere. Voler amministrare tutto, fin nei minimi dettagli della vita quotidiana, porta a una forma di totalitarismo, ben peggiore rispetto a quella che viviamo nella quotidianità di fronte a uomini e donne sgradevoli. In sintesi, i rapporti di forza ci sono sempre stati, sempre ci saranno, e vanno combattuti individualmente, nella specificità del caso, senza montare un business intorno, o muovendo un apparato mediatico e retorico che porti avanti una battaglia di politica giustizialista.

Io condivido ciò che dici, Davide. Provo, però, ad avanzare anticipatamente una ulteriore obiezione che ti muoverebbero le femministe: i rapporti di forza ci sono sempre stati, però unidirezionali a livello di genere, nel senso che sono dei maschi a danno delle femmine. Direbbero loro che la maggior parte dei posti di potere sono occupati da uomini e non da donne.

Come ti dicevo prima i rapporti di forza ci sono sempre stati e sono molteplici. Non si tratta soltanto di quelli più evidenti, dei macrorapporti quali uomo-donna, genitore-figlio, ecc. Vi sono anche quelli che si caratterizzano per una trasversalità di genere. Le femministe che pongono tale questione non potranno certo affermare che una avvocatessa, una donna magistrato, una libera professionista, una donna in carriera o anche soltanto una donna benestante, possano essere davvero vittime o soggette a forme di vessazione da parte degli uomini, per esempio operai, contadini, allevatori, disoccupati, cassaintegrati, cioè da tutta quella schiera di persone socialmente in difficoltà appartenenti comunque al genere maschile. Non conta in termini di rapporti di forza quale sia il tuo genere, il colore della tua pelle, o qualsiasi altra determinazione formale. Quello che pesa è la tua posizione nell’ambito della società stessa, il tuo ruolo, il tuo valore all’interno della struttura. Di fronte a questa situazione il femminismo continua ad avanzare le sue astrazioni liberali e liberaloidi, un armamentario politico-retorico completamente scisso dalla realtà pragmatica. Pontificare sul fatto che il rapporto di forza uomo-donna sia sempre sbilanciato a favore dell’uomo è una puttanata, uno slogan fine a sé stesso. O vogliamo forse dire che la Clinton sarebbe più debole, da un punto di vista sociale, di un operaio qualsiasi della General Motors? Torno quindi a ribadire che non c’entra il genere, ma piuttosto il ruolo, la posizione che occupi all’interno dei meccanismi sociali. È lì che si instaurano conseguentemente i rapporti di forza. E come si può notare, in Occidente, non esiste una divisione netta tra uomini dominatori e possidenti e donne schiavizzate e sottomesse. Il panorama è variegato e misto. Ci sono donne di potere, donne che hanno studiato e uomini ignoranti, uomini poveri e donne ricche, uomini disoccupati e donne in carriera. Loro vogliono uscire dai binarismi di genere e poi ricadono sempre nel solito, quello più stupido: in quanto donna sei una povera vittima, un angelo che deve essere per forza preservato dalle brutture del mondo. L’uomo invece, solo in quanto tale, cioè detentore di un cazzo, è da ritenersi colui che domina e tende a prevaricare. Obiezioni di questo tipo sono stronzate e non guardano alla realtà dei fatti.

C’è una femminista in particolare, in ambito mediatico e social, il cui pensiero ha causato dei danni irreparabili e gravissimi?

A livello social – che è forse, attualmente, anche il tramite maggiore attraverso cui vengono presentate e veicolate le istanze femministe – direi che ce ne sono due. Da una parte “Abbatto i muri”, di una certa Eretica, questo il suo soprannome. Non so chi sia, ma gestisce questa pagina piuttosto conosciuta e seguita (perlomeno in termini di iscrizioni, perché in realtà il seguito attivo è estremamente ridotto rispetto alla percentuale degli iscritti) …

Ti interrompo per far presente ai lettori che avevo contattato anche la sunnominata Eretica, invitandola a dibattere con me. Dapprima aveva accettato, e si era anche fatta inviare le domande, alle quali però non ha mai risposto. Alla quindicesima mail senza replica, ho ritenuto opportuno non farmi denunciare per stalking turbando ulteriormente la sua sensibilità. Questo, giusto per sottolineare che a noi piace sentire ambo le campane e non siamo minimamente chiusi al confronto. Continua pure.

Citerei inoltre la pagina “Freeda”, che rappresenta una forma ancora più subdola di femminismo. “Abbatto i muri” esprime quel versante molto ideologico, rancoroso, intellettualistico sulle questioni di genere, studi di genere, femminismo intersezionale e altre amenità di questo tipo; “Freeda” tuttavia è peggiore perché sfrutta una capacità di marketing molto più coinvolgente ed efficace. Tanto è vero che è una delle pagine più rappresentative ed emblematiche, rispetto alla commistione tra capitalismo e femminismo. Il femminismo e il femminile, cioè la donna e il suo ideale, sono da loro intesi non più come elementi neutri, ma come strumenti di mercato. “Freeda” ha infatti un milione di persone che la seguono, mentre “Abbatto i muri” ne ha dieci volte di meno, perché la prima sa farsi interprete di questa forma di femminismo inteso come moda, come corrente culturale di una gioventù che avendo perso i riferimenti tradizionali, in un vuoto culturale come quello odierno, nichilistico e libertario in senso banale, trova in questi lustrini femministi, in questa propaganda alla Sex and the City, una sorta di identità e di riconoscimento.

Una dichiarazione, un pensiero da lasciare in dono alle femministe.

Abbiate almeno il buongusto di non ritenervi delle rivoluzionarie.

Matteo Fais

 

Gruppo MAGOG