06 Novembre 2020

Grandi speranze. La mia educazione sentimentale fondata, a 16 anni, sull’amore lacerante, impossibile. Colpa dell’“Indifferente” di Marcel Proust

Allora, misurando la distanza tra l’assurdità di una delusione, quando non c’era stato nulla che potesse alimentare una speranza, e l’intensità reale e crudele di quella delusione, comprese che aveva cessato di vivere unicamente di avvenimenti e fatti”.

Guardare qualcuno in un altro modo, ad un tratto, per un improvviso moto del cuore. Percepire l’impensabile. All’improvviso e senza alcuna spiegazione. Da ragazzina lo trovavo romantico e struggente. Imprescindibile.

Ho sempre amato Topolino. Mia madre, lettrice inveterata, ha lasciato me e mio fratello liberi di leggere ciò che volevamo. Persa nella novità della scoperta, a quasi 5 anni leggevo tutto ciò che mi capitava sotto gli occhi. Con il passare degli anni, fatta eccezione per le storie che mi leggeva mamma (I Beati Paoli, le favole di Calvino e Hector Malot) e di Rebecca, la prima moglie la cui letturaritardò di una settimana la mia preparazione agli esami di Terza Media, le varie Pollyanne e Martine dei romanzi proposti dal club di lettura a scuola, mi lasciavano assolutamente fredda. Scontenta delle offerte editoriali destinate ai bambini della mia età, mi gettai con gran soddisfazione e senza rimpianti su Topolino che almeno si preoccupava di risolvere enigmi.

Le cose cambiarono verso i 15 anni. Il malessere adolescenziale mi fece passare da Topolino a Kafka in un battito d’ali.

Avevo 16 anni quando lessi L’indifférent e mi innamorai di Marcel Proust. L’età giusta.

Frugando nella biblioteca della mamma, inestinguibile caverna di Alì Babà, smaniosa di completare per i fatti miei la mia educazione letteraria, mi imbattei per caso in questa piccola novella edita da Einaudi nel 1978 con il testo francese a fronte e curata dall’americano Philip Kolb, lo specialista della corrispondenza di Marcel Proust, premiato dall’Académie française. Per anni dimenticata fra le pagine de La Vie contemporaine et Revue parisienne réunies, una rivista effimera e pressoché sconosciuta, la novella era apparsa per la prima volta l’1 marzo del 1896.

Madeleine de Gouvres, giovane vedova aristocratica, bellissima e viziata, si innamora inspiegabilmente del freddo Lepré a lei socialmente inferiore. Dopo aver giocato con il solito io-sono-bella-ricca-e-nobile-tu-no, certa di vincere, la giovane donna precipita in una spirale di passione per un uomo che, pur contraccambiandone l’amicizia, non la ricambia. In balia di una passione sempre più inestricabile, la povera Madeleine, tutta consunta d’amore, domanda agli amici di Lepré se questi non abbia già qualcun altra. La risposta è tanto strana quanto improbabile. “Lepré è un giovane simpatico, ma ha un vizio. Ama le donne ignobili che si raccattano nel fango, le ama alla follia”, “e non solo ama quelle donne alla follia, ma ama soltanto loro”. “La più affascinante signora della buona società” gli è assolutamente indifferente. Preda io stessa delle infinite pene di una passione a 15 anni, mi ritrovai a compatire l’avvilimento dell’infelice donna che, nell’impotenza del rifiuto, aveva smesso di vivere all’improvviso una vita di avvenimenti e fatti.

Come, cara, voi che amate tanto i fiori?”

“Mi sembra di amarli solo da oggi”, stava per risponderle Madeleine; si interruppe, infastidita di dover dare una spiegazione e sentendo che vi sono realtà che non si possono far comprendere a quelli che non le portano già in sé”. All’inizio dell’impeto amoroso, la verità si impantana con facilità. Nello struggimento, l’illusione è tutto ciò che resta.

L’epilogo della novella è amaro. Sottintende che neanche la sorte favorevole che toccò in seguito a Madeleine de Gouvres fu in grado di sanare quell’unico, perentorio disinganno. Dimenticata probabilmente da Proust stesso, la traccia della novella L’Indifférent venne scoperta proprio dal Kolbe in una lettera del 1910 in cui Proust chiede all’amico Robert de Flers se abbia per caso in casa un copia del numero de La Vie contemporaine in cui ha scritto una “stupida novella”. Precorritrice di elementi sviluppati ampiamente in seguito, nella Recherche, stupida o meno, questa novella ha forgiato la mia educazione sentimentale sigillandola in maniera irreversibile. Leggera come il tocco di una piuma, ma penetrante come uno spillo, ha determinato per sempre la mia vita amorosa.

Se a 16 anni, persa nella pletora di emozioni di cui si è vittime a quell’età, la voce di Madeleine era diventata per un breve momento la mia, la frenetica tenacia verso una passione senza sbocchi, il rifiuto risoluto di una vita appagata e completa a causa di una passione trascorsa e vana, mi lasciarono quantomeno perplessa. Il Lepré non ne voleva sapere né di lei, né di come fosse. Ammaliata e commossa dal trasporto incondizionato di Madeleine, ne contestavo dentro di me l’implicita mortificazione.

Avvicinandosi a Lepré, Madeleine sentì la dolcezza pacificata di tutte quelle cose illanguidire, ammorbidire, schiudere il suo cuore e si trattenne per non piangere”.

Guardare qualcuno in un altro modo, ad un tratto, per un improvviso moto del cuore, a 16 anni pare bellissimo e poetico. Ma che fare se chi si ama non t’ama?

Conferendo un rango di nobiltà alla mia acerba passione respinta e forte di quella più altolocata di Madeleine, lì per lì mi rassicurai. Ma fu prendendo pienamente coscienza della vacuità di un tale sentimento che, una volta adulta, me ne affrancai per sempre.

Negli anni a venire incespicai ogni tanto nell’irresolutezza di una passione sbilenca. In quei momenti, puntualmente, mi è tornato in mente l’Indifferente di Proust. E se Madeleine era stata libera di sospirare fino alla fine della sua piacevole vita, dopo tutto io lo ero altrettanto di respirare a pieni polmoni, soddisfatta, fino alla fine della mia.

Manuela Diliberto

*In copertina: Sarah Bernhardt in un ritratto fotografico di Félix Nadar

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