Questione atavica. Le colpe dei padri ricadono sui figli – per questo i figli, per liberarsi dal giogo e dall’agonia paterna, castrano il padre. Il mito di Crono che evira Urano è emblematico – d’altronde, Zeus, nipote sagace di Urano, detronizza il padre, Crono, per metter regno su Olimpo. Sarà divertente paragonare il mito greco con quello ebraico, dove il Padre è padrone e impone ai sudditi di sacrificare i figli (Abramo), fino al sacrificio supremo del Figlio.
*
Insomma, il padre, prima di diventare mammo, cioè il poppante della moglie sovrana e lo zerbino dei bebè di turno, era il primo nemico del figlio. Per farcela, nella vita, dovevi scannare il regale genitore. O andare via di casa. A me è andata di lusso – è mio padre a essersi tolto di torno: non ho avuto neanche un maschio, intorno, in grado di insegnarmi a fare la barba, resto, perciò, uno sbarbato barbone – ad altri, va detto, la tirannia paterna ha evocato solo buona letteratura: un esempio plateale è la Lettera al padre di Franz Kafka, oppure I fratelli Karamazov di Dostoevskij, da cui Freud piglia a impalcare una clamorosa pippa sul parricidio.
*
Venendo a noi. Colm Tóibín è tra i grandi scrittori irlandesi di oggi, ben tradotto in Italia da Fazi – che bello The Master, su Henry James – Bompiani e Einaudi – l’ultimo romanzo s’intitola La casa dei nomi, è uscito quest’anno. Da questa settimana, nel mondo anglofono, è in giro il suo ultimo libro, che s’intitola Mad, Bad, Dangerous to know ed è una smagliante e smaliziata indagine sui “padri di Wilde, Yeats, Joyce”. In realtà, al di là del titolo editorialmente urlato, il libro non è ‘a tesi’ e mostra svariate delizie.
*
Intanto, gli incroci. Degni di un labirinto borgesiano. I genitori di Yeats conoscevano quelli di Wilde, “il giovane Yeats potrebbe certamente aver cenato a casa di Oscar Wilde, a Londra”; è certo che papà Wilde “incontrò James Joyce ragazzo, a Londra, trovandolo assai loquace”. Il padre di Wilde, degli alati genitori, era quello più famoso e sagace. William Wilde, chirurgo, era medico di George Bernard Shaw e oculista della regina Vittoria; archeologo per passione, portò dall’Egitto in patria diverse chincagliere, tra cui “un nano imbalsamato”. Inciampò – come il figlio, ben più tardi – in un affare sessuale: sposato a Jane Francesca Elgee, poetessa e pasionaria irlandese, fu accusato di aver stuprato una diciannovenne, tale Mary Travers: dovette risarcirla, perdendo la faccia. “Dall’energia che Wilde ha profuso nell’inventare se stesso capiamo che avere un padre era per certi versi del tutto inutile per lui”. William Wilde morì che Oscar aveva poco più di vent’anni: “non c’è quasi traccia del padre nella sua opera”.
*
Il padre di James Joyce, John Stanislaus, era un fallito. Sperpera l’eredità di famiglia, si fa notare come tenore per poi abbandonare l’arte, maneggia nella politica come sostenitore di Charles Stewart Parnell per raccattare qualche incarico, beve, fornica – fa dieci figli – è facile vederlo menare i bimbi. John Butler Yeats, invece, faceva il pittore, ma non riuscì mai a eccellere a tal punto da guadagnarsi da vivere dipingendo. Nel 1907, a 68 anni, si trasferisce negli Stati Uniti, dove prende a scrivere lettere d’amore a un’amica d’infanzia, Rosa Butt, per il solo gusto d’inventarsi una vita mai vissuta, che lusso. Insomma, i due John, Joyce e Yeats, erano poveri in canna.
*
Ci sarebbe da fare un inciso sui padri pittori. John Butler influenzerà la capacità immaginativa di William, il grande poeta; allo stesso modo, John Lockood Kipling, insegnante d’arte, illustra i libri più noti del figlio Rudyard e di Leonid Pasternak, insigne pittore, illustratore dei romanzi di Lev Tolstoj, ritrattista di Rainer Maria Rilke, conserviamo diversi disegni che raffigurano il figlio Boris. In questo caso, nella genia, c’è come un trapianto del segno: dal pennello alla penna, dalla pittura alla scrittura.
*
Il titolo, dicevo, inganna. Già. Restando nel ring dello sketch – ma il bello del romanzo di Colm Tóibín è che va letto come un incrocio di biografie intrise nel magico. Il padre di Joyce era odiato dal resto della famiglia. Tranne che da James. Il quale, è vero, “negli ultimi 19 anni della vita di suo padre non andò a trovarlo neanche una volta”, eppure, “era affascinato dallo spazio vertiginoso e insondabile tra ciò che sapeva di lui e ciò che provava per lui”, viveva in una “ambiguità tremante”, che traluce nell’opera. D’altra parte, anche Yeats “non era incline ad andare a far visita al padre, soprattutto da quando si era trasferito negli Stati Uniti”, tuttavia, “lo aiutò a saldare il conto della sua pensione a New York” e “la sua influenza, nell’opera poetica del figlio, è ferma, sicura”. I figli, in questo caso, hanno aiutato come potevano gli scapestrati genitori – scrivendo i loro libri, inarrivabili, li hanno definitivamente sepolti. (d.b.)