03 Maggio 2019

“Le parole, quelle vere, salvano il mondo… ma il mondo vorrà farsi salvare?”. Torna “Brown Sugar”, la raccolta leggendaria di “poesie sull’eroina” di Antonio Veneziani. Intervista

Le edizioni Hacca rimettono in circolo un libro importante, “Brown Sugar”, quello su cui si fonda la grandezza lirica, delicata e caustica, di Antonio Veneziani, uno che se fossimo negli Usa avrebbe la statura di un Jim Carroll, di un Lou Reed. Uscito la prima volta nel 1979, subito sotto gli auspici di Dario Bellezza (“La presenza di Veneziani nel mondo è una presenza discreta, talvolta rabbiosa, sempre discontinua: alla ricerca perenne di una ragione per vivere”), riedito da Castelvecchi, ha in dono pagine coinvolte di Nicola Lagioia, attuale zar del Salone del Libro torinese: “Era appesantito e delicato al tempo stesso. Parlava gesticolando, come se la sua storia lo costringesse a portare continuamente in scena un personaggio, l’unico modo per dire qualche verità. Mi sembrò un sopravvissuto. Provo a spiegarmi. Come ho detto, a Roma tutti arriviamo per diventare noi stessi, cioè per stendere sulla follia della città, simili ad acrobati, il nostro filo personale, e camminarci sopra sperando di non cadere. Per Pasolini le borgate. Per Penna l’eredità di un mondo addirittura precristiano. Per Veneziani quel filo fu l’eroina, e lui, quando ci conoscemmo, parlava già dall’altro capo. Non era morto di overdose. Non era impazzito. Non era rimasto senza parole. Portava ancora addosso qualche segno dell’esperienza, ma si era “risvegliato dalla malattia” già da qualche anno, e le poesie di Brown Sugar erano la cronaca, la testimonianza e insieme la trasfigurazione poetica di quell’attraversamento”. Per festeggiare il ri-esordio, Gabriele Galloni ha intervistato il poeta estremo e inafferrato.

“Brown Sugar”, dopo quarant’anni dalla prima edizione, viene ristampato con il titolo “Brown Sugar. Strade di polvere”, con ventitré nuove poesie. Raccontacelo.

Difficile, quasi impossibile, raccontare un libro che mi ha segnato così profondamente e come autore e come persona. E che secondo alcuni critici ha definito un’epoca, quella tra il Settanta e gli Ottanta. Vorrei solo aggiungere che tendenzialmente non rileggo i miei testi per parecchio, a volte per anni; così è stato anche per “Brown” e quando l’ho ripreso in mano, visto che mi era stato proposto di rieditarlo nelle varie edizioni, l’ho riletto un paio di volte e ho scoperto che alcune poesie non sono male, almeno io credo. Il libro è un viaggio (tutta la poesia credo sia un “viaggio”) nel paradiso infernale dell’ero, ma non solo. Sicuramente c’è il mondo omosessuale, il patteggiare con la morte, la paura e l’ansia del vivere, la notte, lo spaesamento, la rabbia, il dolore, almeno ritengo, decisamente lo spero. Ancora non riesco a capacitarmi come questo libro abbia “preso” tante persone e così diverse – da persone comuni a intellettuali. Ovviamente ringrazio tutti, spero nessun lettore resti deluso dalla nuova edizione.

I tuoi maestri?

I più svariati. Ho sempre letto molta poesia fin da ragazzo. Ma dovendo e volendo fare qualche nome: la beat generation (Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti e Gregory Corso) e alla rinfusa poeti assai distanti fra loro: Sandro Penna, Antonio Pozzi, Umberto Saba e Federico Garcia Lorca… E sinceramente mi “intrigano” molto i cosiddetti “minori” e ancora di più gli “irregolari”.

Compagni di strada?

La “Scuola Romana”, ma soprattutto Dario Bellezza, Renzo Paris, Carlo Bordini, Attilio Lolini, Sandra Petrignani, Gino Scartaghiande, Fernando Acitelli…

Progetti in corso e in divenire?

In uscita ad aprile-maggio: “Piccolo poema d’amor circense” con disegni di Agostino Raff, un’inchiesta “sulle trans” in collaborazione con Ignazio Gori, alcuni “affondi” sulla morte, un disco-libro il con cantautore Andrea Del Monte, un progetto con Maria Borgese (danza, poesia, collage), curo una collana di “Racconti” per Ponte Sisto… Molta roba, decisamente troppa. Ma mio padre diceva che per “tenere a bada” la morte bisogna avere molti progetti. Lo seguo alla lettera.

Quali sono i tuoi libri della vita?

Vari, e cambiano. Imprescindibili: “Testamento” di François Villon, Walt Whitman. “Foglie d’erba”, Paul Verlaine soprattutto: “Feste galanti” e l’antologia i “Poeti maledetti”, tutto Jean Genet, Sandro Penna, Antonia Pozzi, Amelia Rosselli e direi che basta, manca la prosa ma sarà per un’altra volta. A proposito, giovani, frequentate le “bancarelle” pochi giorni fa ho incontrato: “Il mio mondo è qui” di Dorothy Parker, nella traduzione di Eugenio Montale. I bravi traduttori andrebbero “santificati” non “sottopagati”, ma questa è un’altra storia. C’è molto da leggere, forse troppo, comunque sono sempre più convinto che le parole, quelle vere, autentiche possono salvare il mondo. Forse. Ma il mondo vorrà farsi salvare?

Gabriele Galloni

*In copertina: Antonio Veneziani in una fotografia di Dino Ignani

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