«L’epistemologia è un sistema all’interno del quale alcune domande sono ammissibili e hanno risposte e altre domande non sono ammissibili e hanno risposte. Dunque, la domanda esatta sarebbe: perché siamo in un’epistemologia dove questa domanda ha senso?» (Chiara Valerio in un incontro pubblico, 2021)
Come sappiamo, Instagram è diventato quella specie di grande calderone social-mediatico in cui si esprimono e si accalcano persone e personaggi di ogni sorta, molti dei quali in cerca di visibilità e di affermazione personale: lì sono cresciuti i cosiddetti influencer, i più famosi dei quali oggi dettano ai seguaci le norme di comportamento, i desideri e le conformità consumistiche da seguire, guadagnando così montagne di denaro. E Instagram è anche il terreno di caccia di molti intellettuali e scrittori in cerca di affermazione e di seguito, com’è naturale. È da quelle parti che ci siamo imbattuti nel frammento di un video che riteniamo comicamente raccapricciante, ripreso durante un incontro pubblico dei lettori con le autrici italiane Michela Murgia e Chiara Valerio, le note propugnatrici del neo-femminismo e delle teorie cosiddette gender derivate.
È superfluo ricordare che di Michela Murgia abbiamo già parlato, e anche – in altra sede – di Chiara Valerio, per un confuso articolo uscito su Repubblica in cui confondeva, fra l’altro, il dio greco della guerra con quello che forgiava le armi (“Zeus tuonava, nella fucina di Ares il rombo doveva essere quello dei siderurgici, le frecce di Diana fischiavano”), senza sapere che a lavorare i metalli era il siderurgo Efesto, cosa che dovrebbe essere nota già dalle scuole medie. Ora, questo che proponiamo è il breve video condiviso nel suo spazio social da Simone Pollo, docente di Filosofia morale all’Università di Roma La Sapienza, che abbiamo interpellato per aiutarci a capire il senso – ammesso che ci sia – delle affermazioni deliranti e incomprensibili lì documentate. Ma prima, per capire meglio, ne riportiamo anche la trascrizione.
Uomo dalla platea – …le origini della discriminazione della donna da un punto di vista biologico e culturale: la donna è stata sottomessa all’uomo, quindi considerata inferiore all’uomo: perché? È la domanda che mi faccio. Secondo voi, perché? Era una questione fisica, come dire, perché era comunque più piccola e quindi di conseguenza più debole o perché l’uomo in realtà aveva paura di questa…? (audio spezzato)
Murgia – Io mi sentirei di consigliare una bibliografia.
Valerio – Eh sì, perché, no, no, perché si può cominciare… (si sente una voce fuori campo) No, no, eh però, no…
MM – (le toglie la parola) Il fatto che nel 2021 ci si possa porre una domanda di questo genere, considerato, diciamo, che è un tema assai dibattuto, da decenni ormai, a me sbalordisce sempre, e genera anche dell’ammirazione, il fatto che ci sia qualcuno che provi ancora curiosità per questa cosa, significa che è un tema prismatico che va, come dire, non ha esaurito ancora il suo potenziale attrattivo, non è stasera che lo esauriremo, credo, e ci sono biblioteche su questo, veramente… veramente, veramente ricche.
CV – (riprende, quasi giustificandosi) Io voglio dire solo una cosa: sono domande queste accettabili in una epistemologia di differenza di genere; la questione è che la differenza di genere non è la natura, è un’epistemologia culturale. L’epistemologia è un sistema all’interno del quale alcune domande sono ammissibili e hanno risposte, altre domande non sono ammissibili e hanno risposte (sic). Dunque, la domanda esatta sarebbe: perché siamo in un’epistemologia dove questa domanda ha senso? E quindi consigliamo una bibliografia. (sospensione, con voce dalla platea: “Mi sono espresso male”) No, no, non è provocatoria.
UdP – (inudibile)
CV – Perché da dopo il Medioevo si passa dal monosesso, dove le donne neanche esistevano, come non esiste la sinistra di Dio, a una epistemologia di sessualità binaria, e siccome non siamo in grado di stabilire rapporti che non abbiano un gradiente di differenza, le donne sono state scelte come la parte di gradiente inferiore, ma è interessante il fatto che sia un’epistemologia, cioè che questa domanda sia lecita, invece non lo è.
MM – (con voce ferma) Simone De Beauvoir, comunque, solo come un’autrice da leggere.
CV – (destabilizzata, in tono puerile) E quanto vale ‘sta sincerità, Murgy?
MM – In questo momento due soldi, però se sei disposta a pagarli li avrai.
CV – Perfetto, e quei trentatré denari?
MM – Ricordami perché sei la mia migliore amica, perché stasera me lo sto dimenticando…
E qui la moderatrice taglia corto, indulgente: – Un’altra domanda…
*
Bene, Simone, grazie per esserci venuto in soccorso. Come hai osservato, se ciò che abbiamo sentito è lo stato della discussione pubblica italiana sulle questioni di genere, sull’inclusività, la differenza eccetera, cosa dobbiamo pensare? E se queste sono le due figure di primo piano impegnate nel dibattito, ben introdotte in testate giornalistiche importanti e in programmi radio, per quale motivo in un incontro pubblico dovrebbero rifiutarsi di rispondere con onestà alla questione posta da un ascoltatore? Avevano paura di entrare in una fase dialettica che temevano di non reggere? Di esporsi spiegando cose che avrebbero potuto essere contestate? L’interpellante, praticamente, è stato trattato da minus habens solo perché s’interrogava sulle origini della discriminazione della donna da un punto di vista biologico e culturale, quindi su una questione fondante. Quindi, oltre all’arroganza, alla protervia, all’atteggiamento offensivo delle due consociate verso il pubblico, e alla plateale reazione da lesa maestà a cui abbiamo assistito, ci piacerebbe capire che senso possono avere questi concetti di “epistemologia culturale” attribuiti alla differenza di genere, e come siano possibili cialtronate assolute come l’affermazione che solo “da dopo il Medioevo” si passa alla sessualità “binaria”, perché prima le donne non esistevano. E le matrone dell’antica Roma dove sarebbero finite? E le società matriarcali?
Premetto che non sono in alcun modo interessato a esaminare i moventi psicologici delle risposte e degli atteggiamenti che emergono da quel video (come da altre uscite pubbliche di Murgia e Valerio). Non sono interessato e non lo ritengo corretto. Mi limito quindi a parlare di comportamenti e delle idee espresse, esaminandone il significato per la nostra discussione pubblica. La prima cosa che va rilevata è che ormai i social sono completamente debordati in ogni altro contesto. E questo non vuole solo dire che influencer e personaggi social sono ormai contesi da editori, giornali e mezzi di informazione tradizionali per fare loro pubblicare libri, editoriali e farli diventare opinionisti. Lo stile dei social ormai percola nel nostro dibattito pubblico e influenza le modalità di discussione pubblica. Quel video mi ha colpito particolarmente proprio per questa ragione. La modalità del “blastare”, ovvero dello sfottere l’avversario con l’obiettivo di annichilirlo, che è propria dei social è diventata una cifra accettabile in una discussione pubblica (l’uditorio in sala applaude, non potendo mettere like e cuori). Sarà che provengo da una vecchia scuola accademica, ma una cosa del genere mi appare lunare e degradante. E sì che negli ambiti accademici e culturali in genere di cattiveria e ostilità ce n’è sempre stata parecchia, ma sempre all’interno di codici di comportamento che riconoscevano comunque all’interlocutore una dignità. La cifra degli influencer che diventano opinionisti e presunti leader culturali è invece quella dell’eccitare i propri seguaci con parole d’ordine e ridicolizzazione dell’avversario. In tutto ciò gli argomenti o non ci sono o sono assai zoppicanti e poveri. E questo lo vediamo anche in quel video. A chi fa la domanda si dice che gli si potrebbe dare una bibliografia, ma non si fa il titolo di un libro (tranne agitare come un santino il nome della povera Simone De Beauvoir) e si pronunciano espressioni senza senso come “epistemologia culturale” o idee bizzarre come quella dell’assenza del binarismo fino al Medioevo (dal video non mi è neppure chiarissimo se Medioevo incluso o escluso). Volendo adottare un po’ di carità interpretativa si può dire che quello che Murgia e Valerio intendevano dire è che le identità e i ruoli di genere (e forse la stessa sessualità) sono costrutti culturali, storicamente determinati e mutevoli. È questa una idea a mio avviso condivisibile (anche se ovviamente va declinata appropriatamente e inserita in un contesto scientifico-teorico adeguato e argomentato). La cosa bizzarra è che la domanda che nel video viene giudicata irricevibile e genera quella reazione scomposta si sarebbe prestata benissimo a una risposta articolata e documentata per spiegare un concetto del genere, ovvero come si producono culturalmente e storicamente ruoli, differenze e discriminazioni (magari a partire da qualche dato biologico che caratterizzava la vita dei nostri antenati e che magari ancora oggi ci vincola in qualche modo). Alle argomentazioni e alle spiegazioni, invece, Murgia e Valerio preferiscono “blastare” e raccogliere facili like e applausi.
Infatti, sarebbe bastata una dose di buona volontà nel porsi di fronte all’interrogante, quanto meno rispettandolo, e quella dose di generosità che chiunque dovrebbe avere, soprattutto quando si presenta al pubblico. E il termine percolare, riferito allo stile dei social, lo trovo molto appropriato. Noto che Chiara Valerio, in generale, ripete spesso che ha studiato matematica, e che questo le consentirebbe di introiettare cose che noi “comuni mortali” non riusciamo a capire fino in fondo: lo ha affermato nel libretto einaudiano La matematica è politica e continua a ricordarlo negli articoli su Repubblica. Quindi, oltre a dire “siccome vengo dalla matematica vi spiego cos’è veramente la democrazia”, qui si esibisce – impappinandosi in modo ridicolo – nella versione “siccome vengo dalla matematica vi spiego cos’è veramente l’epistemologia della differenza sessuale”. Non è assurdo? Così pretende di entrare nella filosofia per confezionare delle supercazzole prematurate che nemmeno sa dove portano.
Devo essere sincero: probabilmente è un mio limite, ma quando leggo e ascolto Chiara Valerio ho serie difficoltà a comprendere il senso di quello che dice, oltre a qualche immagine impressionistica buttata qua e là. Detto questo, non ne farei tanto una questione di divisioni di campo e di specializzazioni disciplinari. Non credo che le questioni di genere siano un campo privilegiato della filosofia. Anzi, per come intendo io la filosofia questa non ha alcun senso se non è esercitata in un dialogo serrato e profondo con altri saperi, quelli scientifici anzitutto. Proprio per tale ragione, ovvero la necessità di un approccio interdisciplinare, mi sembra assai sospetta e discutibile una prospettiva che pretende di comprendere la realtà e di elaborare soluzioni a partire da un sapere che viene considerato come privilegiato. A questo aggiungo che se ci sono saperi che – almeno su queste questioni – hanno un ruolo primario questi sono anzitutto le scienze del vivente e gli studi storico-sociali. Comprendere le questioni di genere con la matematica non mi sembra, invece, un’operazione dotata di molto senso, ma forse mi sfugge qualcosa. Infine, il legame storico e concettuale della democrazia con la nascita e lo sviluppo della scienza moderna è assodato e merita approfondimenti e discussioni serie (c’è ad esempio un libro bello e utile di qualche anno fa di Gilberto Corbellini sull’argomento: Scienza, quindi democrazia, edito proprio da Einaudi). Proprio per questo motivo credo che il tema meriterebbe migliore sorte nella nostra discussione pubblica, anche per il fatto che – come la pandemia ci sta mostrando – la relazione fra scienza e vita democratica è una questione centrale per la nostra società.
Io vedo anche altre cose preoccupanti. La confusione nelle nozioni più semplici, il pressappochismo dialettico, l’instabilità emotiva, in cui sembra che una delle due figure sia quasi succube dell’altra, la quale è l’unica a condurre il gioco (come sappiamo da tempo), arrivando perfino a bacchettare in pubblico “la sua migliore amica”. Addirittura, per Chiara Valerio i trenta denari di Giuda per tradire Gesù sono diventati trentatré, come nello scioglilingua Trentatré trentini entrarono a Trento tutti e trentatré trotterellando: anche qui sembra di scorgere una forma di infantilismo irresponsabile, dove si confondono concetti e nozioni con reminiscenze che diventano slogan, e si esternano le cose in modo umorale. E poi, cosa diavolo significano le “domande non ammissibili”? Non ammissibili in base a quale statuto? Qui vedo un’inclinazione, oltre che al narcisismo e all’omologazione, a un cripto-fascismo travestito da movimentismo progressista, che ci mette poco a sfociare in delirio di onnipotenza. Brutti segnali.
Anche in questo caso non intendo dire alcunché sui moventi psicologici e/o caratteriali a monte di certi comportamenti, ma – come prima – limitarmi a qualche riflessione sul significato di quegli stessi comportamenti per la nostra discussione pubblica. Come detto già prima, forse sarò troppo legato a modelli del passato un po’ vetusti, ma credo che la figura dell’intellettuale non si qualifichi e riconosca solo per quello che dice, ma anche per come lo dice, ovvero per il suo atteggiamento e la sua figura pubblica. Questo non significa che le o gli intellettuali debbano essere figure paludate, polverose o prive di umorismo. Significa che la loro postura dovrebbe essere in qualche modo riconoscibile o discontinua da quella che si adotta in altri ambienti. Fare cultura non è fare intrattenimento. Proprio la confusione di questi due ambiti è oggi un fenomeno sempre più diffuso e preoccupante, e anch’esso prodotto in buona parte dai social (che hanno accelerato e esasperato qualcosa che già la televisione aveva iniziato a fare). Oggi sembra quasi impossibile pensare che si possa fare e diffondere cultura senza “intrattenere”, fare divertire ed essere leggeri a tutti i costi. Non intendo sostenere che la cultura debba essere per forza noiosa, anzi. È un fatto, però, che la cultura e l’approfondimento richiedono pazienza, fatica e dedizione. L’intellettuale non è una show-woman o uno show-man: il suo ruolo pubblico non è quello di fare passare un po’ di tempo in allegria e nemmeno rendere appetibili con l’intrattenimento concetti altrimenti indigesti. La divulgazione scientifica e culturale è una cosa importantissima e vitale per la nostra società, ma non si dovrebbe cadere nell’errore che la divulgazione debba per forza essere divertente e intrattenere. Certi comportamenti che vediamo in quel video, invece, sembrano collocarsi in uno scenario in cui la cultura è intesa appunto come una forma di intrattenimento. E in quel video c’è anche l’aggravante di un atteggiamento arrogante e restio a qualsiasi forma di dialogo e, quindi, siamo di fronte a un intrattenimento buono solo per i propri follower pronti a mettere like e a diventare parte di fan club del tipo “Le bimbe di Murgy” (giuro che esiste su Instagram).