“Hemingway è uno scrittore omerico”. Dialogo con Matteo Nucci
Letterature
Alessandro Rivali
Il 7 luglio del 1960, esattamente sessant’anni fa, Gallimard pubblica Dix heures et demie du soir en été (“Alle dieci e mezzo di sera, d’estate”), di Marguerite Duras. Uno strano romanzo, ambientato in un’enclave aragonese. Ancora oggi, è un romanzo raro, unico, che sfrutta l’agonia del tempo per raccontare l’ardore della gelosia tra alcuni parigini ‘civilizzati’ bloccati da una tormenta in un luogo dove, probabilmente, è accaduto un crimine passionale, assai spagnolo. Un romanzo speciale: ci perdiamo in una strada d’Aragona, dove il tempo è fermo, un lago, e il contrasto tra la freddezza dei personaggi e l’assassinio crea un’atmosfera letteralmente scioccante.
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A differenza di ciò che accade ora, quando le scrittrici donne, per il semplice fatto di essere donne, hanno il supporto implicito dei loro cari colleghi, la Duras, determinata a creare una letteratura molto personale, ha dovuto combattere contro tutti gli dei – e le dee. Simone de Beauvoir, ad esempio, non ha perso tempo per scrivere a Gallimar: “Spiegami la Duras perché io non capisco nulla”.
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È normale che la Duras sia cresciuta accumulando rancore: per anni ha subito ogni sorta di critiche e umiliazioni. In un testo inedito dice di quel periodo: “Ho intenzione di parlar bene di me. Qualcuno deve farlo. È impressionante accorgersi di quanto nessuno creda in ciò che scrivo”. L’hanno accusata di essere troppo consapevole, troppo diretta. “Non parliamone”, le dicevano il marito, Robert Antelme, e Dionys Mascolo, classici intellettuali francesi, schiavi della scrittura, tutto il contrario di Gérard Jarlot, bello, tenebroso, che non parla mai, seduttore, selvaggio, colto, uomo libero e grande imbroglione, con cui la Duras visse una estrema, grande avventura di amor fou, all’origine del suo romanzo. Storia decisiva, per altro, perché il talento di Jarlot le ha fatto fare una svolta, scrivendo un romanzo finalmente nuovo, inafferrabile, Alle dieci e mezzo di sera, d’estate.
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Cinque anni dopo quel 7 di luglio, Jacques Lacan dedica alla Duras alcune parole esatte: “Che nessuno spieghi alla Duras perché scrive ciò che scrive, si perderebbe e sarebbe una catastrofe”. I seguaci di questa scrittrice hanno scoperto allora come dovevano leggerla: perdendosi. Come Simone de Beauvoir. In una strada remota, sconfitta.
*L’articolo è uscito in origine su “El País” come “Explícame a Duras”