Forough Farrokhzad: una poetessa tra i lebbrosi
L'Editoriale
Ho incontrato Mister Kurtz… Le mille vite di un mito
Cultura generale
Si discuteva ‒ l’altra sera, con persone a me molto care (o che lo stanno certamente diventando) ‒ sul valore dell’arte nel mondo al giorno d’oggi, e nei giorni a venire. In un futuro ormai non più così lontano, eppure futuribile e disadorno per un’immaginazione complessa come la mia, quanto essenziale e curiosa: aperta cioè all’impossibile.
Si discuteva ‒ nell’era della tremenda, e al tempo stesso salvifica, velocità digitale ‒ e si opponeva una morte quasi certa della letteratura e dell’andare a teatro, per esempio. O, meglio; o, piuttosto, si affermava che tutto ciò sarebbe diventato o, meglio ancora, diventerà appannaggio di un’aristocrazia che non potrà mai fare a meno del bello. A discapito della massa.
Già. Perché proprio di bellezza si parlava. Una bellezza che, secondo il mio interlocutore, sarebbe comodamente fruibile, in un futuro appunto futuribile, da casa: grazie a una realtà virtuale che eviterebbe persino la fatica degli spostamenti; rendendo deserte le nostre città finora troppo piene di voglie e di relazioni (?).
Ma il punto ‒ ovviamente, opponevo ‒ è esattamente il contrario. Con uno scarno: L’uomo avrà sempre bisogno della bellezza, credevo di chiudere subito la partita. Ma a quanto pare non bastava.
Ecco perché il giorno dopo ‒ sempre aprendo a caso un libro: che fantastica meraviglia! ‒ mi è venuto incontro e in aiuto Fernando Pessoa. Così stasera spero che la mia risposta possa raggiungere colui il quale anteponeva un progresso fantascientifico (eppur fin troppo vero e assai vicino), alla mia sete e fame di bellezza. E tuttavia, spero che questo messaggio, giunto ancora una volta dalla letteratura, possa semmai e davvero raggiungere più gente possibile. Poiché la letteratura ‒ e soprattutto la poesia, di questo ne sono fermamente convinto e sostenitore ‒ sta e deve stare tra la gente: accanto a ogni individuo, accanto al respiro salvifico del cuore.
Di questo, infatti, consta la grandezza di un immenso poeta come Pessoa. Il quale scopriva il problema della vita, scrivendolo e spiegandolo attraverso una dipendenza:
“… la certezza che la vita non basta, e che quella mancanza è traversata da una lama metafisica:
manca sempre una cosa, un bicchiere, una brezza, una frase
e la vita duole quanto più la si gode e quanto più la si inventa”.
Con temeraria lucidità, Pessoa ha voluto inventarla sino all’estremo limite. Accennando anche all’utilità pratica del suo invisibile delirio: «Trasformandomi così, come minimo in un folle che sogna ad alta voce, come massimo non in un solo scrittore, ma in tutta una letteratura, anche se ciò non servisse che a divertirmi, il che sarebbe per me già tanto, contribuisco forse a ingrandire l’universo, perché colui che, morendo, ha lasciato scritto un solo verso bello ha reso i cieli e la terra più ricchi e più emotivamente misterioso il fatto che esistano stelle e gente».
Basterebbe quindi un verso soltanto. Una poesia. Un sussurro, a farci sobbalzare dal divano o dalla sedia. Basta così poco per sconfiggere una realtà futura e pretestuosa. Bastano una voce e uno sguardo rivolto all’altro: che sei tu, che sono io. In qualsiasi luogo. In ogni tempo.
Per ciò mi piace concludere con le parole che mi ha recentemente dedicato Rita Stanzione, una poetessa amica: “… che la poesia / e tutta la letteratura / abbiano sempre luoghi / da raggiungere”.
Grazie Fernando! Grazie Rita! Abbiamo dentro di noi un mistero, ed è assolutamente inutile negarlo. Raccontiamocelo, piuttosto. O ascoltiamolo da qualcun altro.
Giorgio Anelli