01 Febbraio 2022

I libri si muovono e le parole sono fiumi carsici. Piccolo discorso sulle cose irrimediabili

I libri si muovono; vanno e vengono come i soldi. E al poeta non resta che assecondarli; incontrarli per via. Le parole, poi, sono fiumi carsici: poesie i cui versi attraversano i meandri del buio. Ci si può solo specchiare, nella notte, grazie agli specchi inusuali della vita. Quei soli nel firmamento, pronti a stupirci all’improvviso.

I libri ‒ si dice, per un poeta ‒ hanno vita propria. Si spostano irrimediabilmente da uno scaffale all’altro, e quando raggiungono la scrivania, tutto può succedere.

Inevitabilmente, i libri vanno letti. Sono lo stuolo delle personalità. L’ambiguo inutile di ciò che non è sogno. Storie nuove da scoprire.

Il dono, d’altronde, per il poeta, porta a desiderare. E non c’è sogno migliore del desiderio.

Sicché accade ‒ spesso e volentieri ‒ (in letteratura, s’intende) che quel di cui si parla o si sente dire, compaia inevitabilmente tra le bancherelle e le librerie per nulla improvvisate delle nostre città.

Ma quali sarebbero, dunque, le città dei poeti? Su questo enigma bisognerebbe discutere all’infinito. Se non che, a volte, accade tra gli incontri di guardare (non solo percepire) negli occhi una donna che possa per davvero cambiare le sorti di una vita intera (per lei stessa e per chi la va a incontrare). Vorrei tentar d’intendere, che quando un poeta ha la fortuna (raramente sfacciata) d’incontrare la musa assoluta (come lo fu per Rilke, e quanti pochi altri…), il sogno più grande tende a distendere all’inverosimile, creando occasioni e possibilità irrinunciabili.

Il poeta allora legge ciò che accade o potrà accadere nelle storie del mondo, fino a quando non scorge la sua, tra le pagine bianche ancora da imbrattare…

Il poeta scrive, asseconda la sua natura, volge il dono in parola. E quella musa che sembrava introvabile e irrimediabilmente perduta chissà dove, improvvisamente compare in tutta la sua bellezza come nel Sogno di una notte di mezza estate.

D’altronde un libro, a volte, insegna molto più di uno scivolone. Un libro è l’estasi del godimento. Trae sogni dalla rugiada mattutina. E un libro si scrive tra le alte vie, per quei sentieri impervi e selvaggi dove i torrenti gelidi accompagnano i suoni delle parole lette insieme al sorriso dell’amata. Una poesia si scrive negli anni, mentre si contempla la neve ad alta quota, o la fantastica catena montuosa delle Alpi, che tutto (come sempre) può dare…

Un libro si compone delle note del vento che attraversa violentemente le valli. Una poesia è quella canzone che fischiettavi percorrendo a fatica il sentiero estremo. Quell’inchiostro che scivolerà sul taccuino, non è nient’altro che il frammento di un bosco nella notte o all’alba insperata.

Tutto dunque ha un senso per il poeta: persino l’arroganza. Ci si può perdere nei suoi occhi dai colori cangianti. Lo ritroveremo accanto a una musa; l’unica in grado di dargli speranze e forze quasi immortali.

Ma senza i libri (i suoi, i loro libri…) con i quali sono fatti, nulla avrebbe senso. I libri che salvano e ti guardano, senza dare giudizi. Quei libri innumerevoli che continueranno a spostarsi da un luogo a un altro; da un proprietario all’altro; come è sempre stato. Per questo, della poesia il libro è l’essenza. La fragranza di uno sguardo d’amore la si percepisce soltanto nell’incontro tra le parole. Già!, l’amore: quell’enigma più grande e irriconoscibile, che soltanto va assecondato e non compreso. I libri perciò si muovono, hanno storie anche loro. Se solo potessero parlare per davvero di noi; di noi poeti. Di quelle muse che c’incontrano nel brillio del lampo. Come se tutto dovesse spegnersi all’improvviso. E invece… Invece ricreano il sogno, danno speranza all’uomo, a quel tamburo che batte all’unisono nel nostro vorace tradito petto.

Giorgio Anelli

Gruppo MAGOG