30 Maggio 2022

In fondo, abbiamo pianto tutti. Elogio di Stefano Simoncelli, per me il più grande

Siamo in diciassette nel chiostro della Biblioteca Manfrediana di Faenza venerdì 20 maggio alle ore 18. L’occasione è quella di ascoltare un poeta vero, un sopravvissuto, per me un grandissimo.

Nato nel ’50 a Cesenatico, tra i fondatori della celebre rivista di letteratura e politica Sul Porto, alla quale collaborarono, tra gli altri, Pasolini, Bertolucci, Caproni, Sereni, Fortini, Raboni e Giudici.

Lo scoprii leggendo i versi di Ferruccio Benzoni, tanti anni fa, in quel di Cesenatico, mentre consumavo un gelato al Bagno 4 Venti. Con le ragazzine che scivolavano giù in piscina e i giovanotti che cercavano di impressionarle con tuffi pirotecnici. Chissà perché l’ho letta sempre e solo sul finire dell’estate (quando Simoncelli, con Benzoni e Sereni andavo in Vaucluse a trovare René Char).

La poesia di Simoncelli è ferma là. Anche e soprattutto in provincia e sul mare. Sono versi limpidi e accessibili a tutti, perché come spiega sin da subito “ho sempre pensato di scrivere versi lineari, comprensibili, evitando l’ermetismo”.

L’ultima uscita (sempre per PeQuod, 2022) è questa, Sotto falso nome, dove poter ritrovare la ferita della separazione nel quotidiano, gli slanci di grazia improvvisa, il banchettare con i morti, senza confini, senza confondersi. Mentre Simoncelli legge uno dei suoi versi, dedicato alla moglie, una ragazza accanto a me piange.

Alla mia domanda, su cosa leggeva e cosa legge un poeta, mi spiazza e mi rassicura.

Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, che mi ha folgorato, o i romanzi di Hemingway, che andava di moda. Oggi preferisco i gialli che mi tengono compagnia. Perché i libri sono un’ottima compagnia”.

Ha vinto parecchi premi e per anni non ha scritto un verso. In questa ultima raccolta c’è dentro la malattia che lo ha attraversato, la morte dei suoi cari, la consapevolezza della fine.

In fondo abbiamo pianto tutti.

Quando la bellezza viene a farti visita non c’è nient’altro da fare.

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