L’oggetto più venduto negli ultimi decenni è il paraocchi. In alternativa, continuano ad andare forte gli occhiali con le lenti colorate. Cambi le lenti e vedi quello che più ti piace. Purché non sia quello che è davvero davanti agli occhi. Da qualche decennio – dal nuovo millennio almeno – abbiamo lo sguardo fisso davanti a noi. Come zombie. Non sappiamo guardare di lato, non voltiamo la testa, non c’interessa la concretezza della realtà ma la consistenza della ‘roba’. Al ‘vero’ si è prodigiosamente sostituito il ‘mio’. Così, tutti quanti, beatamente italidioti, balliamo sulla nave che affonda mentre il cameriere in livrea ci avvisa che con le prossime elezioni ci sarà più cibo per tutti. Non è un caso che Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano e direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali, abbia fatto la revisione del suo ultimo libro in barca. Ce lo dice lui. Era a bordo della ‘Vespucci’, nave della Marina Militare, “come Capitano di fregata di Stato Maggiore e political advisor”, rotta Montréal-Livorno. Come a dire, incarnare l’incanto della metafora. L’ultimo libro di Parsi, infatti, s’intitola Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale (Il Mulino, 2018, pp.220, euro 16,00), ed è un libro colto quanto durissimo. In soldoni – e Parsi fa i conti in tasca a tutti i protagonisti che stanno attualmente giocando a Risiko con malcelata ferocia – abitiamo una nave che affonda, l’orchestra va al ritmo del requiem, non c’è nessun Di Caprio che ci salverà e gli inservienti continuano a servire champagne ai magnati sontuosamente impellicciati. Sia chiaro. Parsi non ha vezzi da prefica, non è il solito Isaia che ci dice quanto sono brutti i mostri della notte. Il prof riassume gli ultimi trent’anni di vita politica planetaria – con sguardi che vanno ancor più indietro – in duecento pagine, sciorinando dati e fatti, partendo da un assunto di base: dalla caduta del muro di Berlino, con la fine conclamata della Guerra Fredda, l’“ordine liberale occidentale” è stato sostituito dall’“ideologia neoliberale” globale. Che significa: tutti-contro-tutti. Vince chi morde più duro. Nel libro di Parsi – da malcerto poeta – ho visto frotte di lupi. Mentre noi ci apprestiamo a mettere un X su un candidato genericamente invotabile, consapevoli che il nostro voto vale quanto un kit per la toelettatura dei cagnolini al Polo Nord, il globo è preda dell’avidità dei potenti. Parsi riassume la vicenda ‘filosofica’ così: “un’ideologia neoliberale ha sostituito il liberalismo correttamente inteso”, “teologia economica incapace di auto correggersi”, “democrazie sempre più insofferenti rispetto all’esistenza del popolo”, “capitalismo della rendita, oligopolistico e finanziarizzato, che non ha alcun senso definire ancora ‘libero mercato’”. Appendice. Scordatevi la lieta novella che fa andare a braccetto capitalismo con democrazia illuminata occidentale. Palle. Sgonfiate da anni. Nel 2010 Tony Judt (citato da Parsi) scriveva che “Il capitalismo non è un sistema politico: è una forma di vita economica, compatibile nei fatti con dittature di destra (il Cile sotto Pinochet), dittature di sinistra (la Cina contemporanea), monarchie socialdemocratiche (la Svezia) e repubbliche plutocratiche (gli Stati Uniti). Il fatto che le economie capitalistiche prosperino maggiormente in condizioni di libertà forse è meno scontato di quanto ci piaccia pensare”. Parsi, poi, riassume la vicenda ‘geopolitica’ così: “crisi della leadership americana… emergere delle potenze autoritarie di Russia e Cina… polverizzazione della minaccia legata al terrorismo jihadista… deriva revisionista degli Stati Uniti di Donald Trump… affaticamento delle democrazie schiacciate tra populismo e tecnocrazia”. In questo scacchiere della ferocia economica manca, drammaticamente, l’Europa (“L’introversione europea non è solo preoccupante per il futuro del progetto politico dell’Unione ma anche, in termini di solidità dell’ordine liberale, perché fa venir meno il peso di un attore – o di una serie di attori, se si preferisce – decisivo per il sostegno convinto e la naturale adesione a quel tipo di ordine”), e l’Italia ha un ruolo marginale, infimo, praticamente vintage (“la scomparsa dell’Italia dalle mappe del sapere e dell’innovazione non è altro che il precipitato di tutto ciò, lo stigma della sua forse irreversibile periferizzazione culturale e politica”).
Cosa c’entra questo per tutti noi? Tutto. Assistiamo, infatti, alla “progressiva affermazione di una cultura che rende in teoria negoziabili, in realtà alla mercé del più forte, i diritti dei più deboli: cioè di quella strabordante parte della società, che si dilata tanto più cresce lo stock e il flusso delle risorse possedute – a diverso titolo, evidentemente, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Russia all’Europa, dal Golfo all’Asia orientale, dall’Africa all’America Latina – dall’1% dei più ricchi e privilegiati”. Ergo: noi ci occupiamo dello ‘stipendio sicuro’ – ancora: il ‘mio’ rispetto al ‘vero’ – quando ce n’è solo per alcuni, non ce n’è più per nessuno. Al di là delle barbariche semplificazioni, un dato spaura. Lo strapotere dell’Est significa tracotanza senza limiti – soprattutto se non c’è reazione. Anche questo, si sa da tempo. Pigliate Vasilj Grossman, Tutto scorre… L’analisi dell’‘anima russa’ è lucida, concisa, spietata. “Nel carattere di Stalin, in cui l’asiatico si fondeva con il marxista europeo, si esprimeva il carattere del sistema statale sovietico… Il sistema statale russo – nato in Asia ma abbigliato all’europea – non è storico, ma metastorico… Nella sua incredibile ferocia, nella sua incredibile perfidia, nella sua capacità di fingere e fare l’ipocrita, nel suo livore e nel suo spirito di vendetta, nella sua volgarità, veniva fuori il satrapo asiatico”. Calcate l’analisi sui capi politici che volete, da Putin in poi. Attenzione gente perché – e su questo Parsi è inflessibile – rischiamo di fare escatologia su un crine di cavallo mentre il resto del rodeo va a fuoco. Intontiti dai talk – dove non si parla d’altro che dei miseri fatti italioti – ci sfugge il resto del mondo. Il libro decisivo del millennio, comunque – Parsi ne fa cenno – resta Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler, mandato alle stampe esattamente un secolo fa. Stando alle sue ‘tavole’, tra Nostradamus e Machiavelli, al momento (2000-2200) assistiamo alla “dissoluzione interna delle nazioni in una popolazione amorfa” (ci siamo), seguirà “il mondo come preda”. Probabilmente, il tramonto s’è incancrenito prima delle previsioni. Nella pars costruens Parsi ipotizza come necessario per evitare il collasso un consolidamento – vero, non basato sull’arroganza finanziaria – dell’Europa senza avvilire “le necessarie sovranità” degli Stati membri. Vedremo. Parsi ci strappa di dossi i paraocchi e ci mette il timone tra le mani. A noi umili cittadini, tutto sembra titanico, inavvicinabile, precluso, perduto. I lupi hanno già corrotto le vedette e abbrancato le vettovaglie. Eppure, dalla finestra, una candida fioritura percorre il mandorlo. La primavera esiste ancora. La vita non esita, vince. (d.b.)