“Se mio nonno avesse saputo di tutta questa gente disposta a pagare qualcuno per perdere peso, avrebbe riso fino a slogarsi la mascella”, così mi disse un saggio – non proprio vecchio, ma certamente pungente. Era un uomo sui cinquanta, di stazza decisamente robusta, occhio vivo e fiero, produttore di salumi, privo di qualsivoglia titolo accademico. Non potei fare a meno di assentire alle sue parole, mentre sghignazzavo.
Anche le donne, ai bei tempi in cui “si stava meglio, quando si stava peggio”, non aspiravano certo ad avere la vita stretta e il seno a coppa di champagne. Mia nonna mi diceva che la sorella, prima di uscire di casa, veniva sistematicamente “imbottita” dalla madre con vari strati di asciugamani. Il motivo? Nessuno voleva sposare una femmina priva di culo, fianchi e tette. Quelle che non li avevano venivano da famiglie povere, quindi senza dote, dove non si mangiava altro che minestrone. In quegli anni, che alcuni, non si capisce perché, definiscono “bui”, l’abbondanza era ben vista: piatti pieni – chi poteva –, botti piene, donne in carne.
A un certo punto, forse per via di questi dannati stilisti dal dubbio gusto e lo scarso interesse per le donne, ci siamo rincoglioniti. Abbiamo cominciato a preferire porzioni da campo di concentramento e femmine così leggere da aver paura di poterle spezzare in un eccesso di passione.
Per fortuna, da un po’ di tempo a questa parte, i maschi stanno rinvenendo dal torpore mediatico. È pertanto tornato in auge – una specie di moda parallela a quella ufficiale – un modello di femmina prosperosa, di sostanza, straripante, capace di regalare gioie ignote ai maniaci dei cibi light. La chiamano curvy, seguendo questo nuovo costume che porta ad anglicizzare ogni cosa.
Così, questa volta, da Pangea ci siamo spostati in Sardegna, nel cuore della Barbagia più rigida e pietrosa, a Nuoro, lì dove si annida la femmina ancestrale, la grande madre mediterranea. La nostra intervistata si chiama Maria Grazia Loddo, modella che ama i motori e non lesina nel mostrare la “carrozzeria” – mi si perdoni l’umorismo da officina meccanica. La ragazza è frizzante e autentica, si sa difendere da sola e certo non la manda a dire.
Nella tua città, come vedono il lavoro che fai?
Potrai immaginare! Qui a Nuoro, con trentacinque mila anime, nel cuore della Barbagia, già se esci scollata ti guardano tutti male. Figurati io che faccio nudo erotico! È stato detto e ridetto di tutto sul mio conto, da dieci anni a questa parte. I miei genitori se ne fregano. Io, per quel che mi riguarda, ho sempre fatto come mi pare – ogni volta nel rispetto, però come mi pare.
Perché spogliarsi per un pubblico, invece che farlo semplicemente per il proprio partner? Tu perché lo fai, per moda, per i soldi, per esibizionismo, insicurezza, vanità, perché non hai pudori? Non so, diccelo tu.
Premetto che chi fa la modella spesso fa anche nudo. Non si è mai vista una che svolga questa professione unicamente vestita. Fa quindi parte del lavoro, direi. Poi, naturalmente, ci sono quelle adatte e altre che proprio non sono tagliate, ma lì sta al fotografo saper scegliere. Faccio questo lavoro da tanti anni e, personalmente, vivo tutto ciò con serenità, senza farmi influenzare.
Perché una è adatta al nudo e un’altra no?
È anche questione di come ci si pone davanti all’obiettivo. Generalmente, alcune non rendono perché sono molto magre e quindi spigolose. Il nudo, di solito, lo fanno quelle con le curve. Le migliori erano le modelle degli anni ’90, come Cindy Crawford. C’è un abisso rispetto alle super magre odierne. Loro erano le migliori, con le loro forme sinuose. C’è poi da dire che il nudo non è sinonimo di pornografia, malgrado la curiosità che ancora desta tra il pubblico. Almeno così noto, in principio, tra le persone quando apprendono del mio lavoro. Restano incuriosite principalmente da quello. Il nudo, comunque, è un percorso che tu affronti per scelta, magari cominciando vestita, durante uno shooting – però sempre con eleganza, quella non deve mai mancare.
Cosa c’è di bello in te?
Non lo so! Penso che ognuno trovi in me qualcosa di diverso. Dovresti chiederlo ai miei follower. Io sono oramai abituata a vedermi da quarantun anni allo specchio (ride). Ogni tanto, comunque, me lo chiedo anche io (ride). Chi mi dice che ho un viso particolare, lo sguardo mediterraneo e che non me la tiro, quindi le mie espressioni risultano molto più naturali di quelle di molte altre. Quando ho iniziato ero una ragazzina magrissima, sicuramente con un viso particolare. Poi, crescendo, cominci a cambiare, diventi più robusta – tant’è che prima sfilavo e ora non sfilo più. Comunque, si vede che qualcosa di particolare ce l’ho, se tante volte hanno scelto me per delle copertine, tra milioni di ragazze che fanno il mio stesso lavoro.
Ho letto che hai sofferto di disturbi alimentari in passato e, successivamente, infatti, hai fatto un calendario devolvendo gli incassi alla lotta contro l’anoressia. Perché stavi male?
È una causa per cui mi batto tanto, avendo sofferto di bulimia da ragazza, fino a quindici anni fa. Ero perennemente alla ricerca della perfezione: non avere cellulite, un vitino da vespa, indossare gli abiti in un certo modo. Poi, ti rendi conto che questo non porta a nulla, se non all’autodistruzione. Immagina che prendevo diuretici in continuazione – per cui potrai immaginare come fossero ridotti i miei reni. Mangiavo e poi uscivo a camminare subito, perché non tolleravo di assimilare. Alla fine, ho detto basta.
Questo perché ti interessava fare la modella, o semplicemente perché non volevi ingrassare?
Per entrambi i motivi. Allora non era come adesso: chi era normale non aveva grande spazio. Io avevo vinto un concorso nazionale, ero stata chiamata da un’agenzia di Milano e quindi dovevo mantenere determinati standard. Però, poi, mi venivano gli attacchi di panico se mi mangiavo una pizza, non riuscivo più a vivere la quotidianità, o un sabato sera con gli amici. Sentivo gli odori e stavo male. Mi condizionava a tal punto che ho deciso di dire basta e così ho iniziato un percorso di psicoterapia. Finalmente, adesso, non ho più problemi. Casomai, ho il panico se non vado in pizzeria (ridiamo).
La tua tag ideale – oggi tutti hanno una tag che li rappresenti – è quella di curvy. Com’è che da un po’ di tempo a questa parte il modello di donna mediterranea, in passato etichettato con la tristissima dicitura di “taglia forte”, ha nuovamente preso il sopravvento? L’uomo si è rotto le palle di sollazzarsi con le immagini di un mucchietto d’ossa?
La rovina, in principio, sono stati tanti addetti casting – magari bisessuali – che cercavano la bellezza androgina, molto magra, emaciata. Dopo diverse morti di modelle, si è giunti a una normativa che vieta la taglia 36 in passerella – ovviamente, sia chiaro, non tutte le magre sono malate. Successivamente si è raggiunta la consapevolezza che un corpo sano manda un messaggio diverso e attira più di uno magro e con le occhiaie. Anche gli stilisti si sono adeguati e hanno lanciato linee per curvy, ovvero per la taglia 44 – dalla 46 in su, meglio saperlo, si è già oversize.
Si confondono un po’ i tipi di donna, in effetti, dal mio punto di vista. In particolare sui social, vedo che sono catalogate come curvy anche delle ragazze palesemente obese.
Sì, esattamente, e certo questa confusione non è l’ideale. Da poco mi è capitata una ragazza che mi ha chiesto di farle pubblicità. Ho visto le foto e le ho detto che, sinceramente, una che è alta un metro e settanta e pesa duecento chili, da me non può pretendere di ricevere un aiuto in tal senso. Lei si è arrabbiata. Mi spiace, ma io mi alleno, cammino e non supero i sessantanove chili. Pesare duecento chili a ventiquattro anni non è un messaggio che voglio associare al mio nome. Eppure, la ragazza ha migliaia di seguaci sulla sua pagina. Io continuo a pensare che si debba restare nella decenza.
Senti, ma non ti dà fastidio il pensiero che gli uomini si trastullino sulle tue immagini?
Io penso che si trastullino anche guardando una casalinga. Ognuno si trastulla con quello che ha: on line, dal vivo, con la barista, la cameriera, la fioraia. La maggior parte di quelli che acquistano le mie foto, a discapito di ciò che si potrebbe pensare, sono allievi dell’Accademia di Belle Arti che usano l’immagine come modello per il loro lavoro e, infatti, puntualmente mi inviano disegni e quadri in cui sono raffigurata. Oppure, si tratta di agenzie che comprano foto per metterle on line. Poi, chiaramente, in giro c’è un po’ di tutto: collezionisti, feticisti. Ma io non vendo a tutti, ho clienti scelti, alcuni addirittura da dieci anni. Anche perché i miei non sono selfie, ma set fotografici veri e propri, per quanto molti non li possa pubblicare sui social a causa della censura. Si preferiscono le immagini di bambini trucidati a una modella nuda.
Convieni anche tu, quindi, sull’assurdità della censura di Facebook?
Dovrebbero censurare i commenti della gente sgrammaticata, piuttosto.
Scusa, ma tutti questi tatuaggi che ti colorano il corpo che ragione hanno? Lo rendono più bello? Senza, non sarebbe altrettanto gradevole?
Mi è sempre piaciuto tatuarmi e non smetterò fino a novant’anni, se ci arriverò. Li ho fatti per me, non per gli altri. Mi piace avere raffigurate sul mio corpo delle esperienze che ho vissuto, ogni prova che ho superato. Quando mi guardo allo specchio e magari sono un po’ giù, mi conforto pensando alle cose che ho messo dietro le spalle. Divido inoltre la parte destra dalla sinistra. Nella prima ci sono le mie passioni, nella sinistra ciò che ho vissuto, tatuaggi mirati a raccontarmi. Li disegnavo già alle medie, sognando un giorno di potermeli fare. Mia madre si è tatuata, a settant’anni, usando come riferimento proprio uno di quei disegni.
Tu sei un’appassionata di motori e hai anche posato in mezzo alle auto, oltre ad aver praticato il rally. Hai sentito che le femministe, di recente, se la sono presa con un cartellone pubblicitario di un noto marchio di olio per motori, in cui il prodotto veniva accostato all’immagine di una modella. Secondo te è lesivo della dignità femminile associare donne e motori?
Io sono felicissima di quello che faccio nel mondo delle auto, sono stata navigatrice nei rally, direttrice di scuderia, e ne vado orgogliosa. Non c’è niente di lesivo, anzi. Per quanto riguarda il resto, il femminismo per me non esiste. Adesso ti racconto una cosa. Tre anni fa uscì il mio primo calendario, qualche giorno prima del mio compleanno, il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne. Il 21 apparve un articolo su La Nuova Sardegna. Ti risparmio i commenti che vennero fatti e che denotavano un livello cerebrale da roditori. Dopo quattro giorni in cui mi hanno distrutta attraverso i social, sono andati tutti a manifestare contro la violenza sulle donne, con le scarpette rosse. Mi sono incazzata e ho scritto un post da paura. Quindi, per intenderci, non mi può fregare di meno di queste quattro cretine. Sono le prime che poi ti danno addosso.
Avrai certamente sentito parlare del caso Argento-Weinstein. Ti sei fatta un’opinione in merito?
In ogni settore, sta a te scegliere se scendere a compromessi o meno. Io mi sono sempre rifiutata, altrimenti avrei fatto più carriera, arrivando magari in Rai o a Mediaset. È ipocrita svegliarsi dopo anni e lamentarsi. Sono ridicole. Prima ti andava bene e adesso non più. Anche perché è chiaro che molte di queste non sarebbero arrivate dove sono arrivate, se non avessero fatto certe cose.
Tu ti senti molestata dal desiderio maschile?
E perché mai? Tutte queste che rompono con la questione del sentirsi oggettificate dai maschi sono le prime che, se il ragazzo le lascia, lo stalkerano all’inverosimile, passano da vittima a carnefice – ne conosco più di una. Il femminismo per me era quello degli anni ’60-’70, quello odierno è solo bigottismo e ignoranza. Ho avuto contro tante associazioni di donne, scontrandomi sulla faccenda del corpo femminile inteso come oggetto – ma saranno cazzi miei quel che faccio con il mio corpo? Non me ne frega nulla di queste stronzate! Io tratto tutti alla pari e, se mi fanno girare le palle, li mando a cagare che siano uomini o donne, non mi interessa. Quando vedo queste fighette che, a meno cinque gradi, girano vestite leggere e poi si lamentano, millantando di essere continuamente osservate, mi dico: ma chi ti si fila? Ma chi ti caga? Sono proprio loro quelle che, poi, sono più ossessive con gli uomini.
Matteo Fais