30 Luglio 2024

“Somigliava a una donna rimasta per caso ancora bambina”. Storia di una scrittrice straordinaria

“Tutti i personaggi dei miei romanzi sono parte di me”. Un’osservazione che vale una pugnalata se si legge l’ultimo, tagliente romanzo comparso in Italia di una scrittrice austriaca ingiustamente sconosciuta da noi: Marlen Haushofer (1920-1970). Il suo romanzo breve, appena pubblicato da L’orma (traduzione di Eusebio Trabucchi) con un titolo curioso, Noi e la morte di Stella, traduce l’originale “Wir töten Stella”, noi uccidiamo Stella.

Haushofer, “un’autrice che diviene più attuale ogni anno che passa” secondo la definizione della “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, spesso accostata alla più conosciuta Ingeborg Bachmann, ci regala questo romanzo perfido e scomodo, “una confessione glaciale”, “un trattato di cattiva coscienza” (pubblicato nel remoto 1958) narrato in prima persona da una voce femminile, Anna, ferita e implacabile, complice e vittima di un marito fedele nei suoi tradimenti, che allude alle sabbie mobili del patriarcato e parla purtroppo al nostro presente.

Ma chi è Stella? Chi l’ha uccisa? Che cosa è successo da quando sua madre, Luise, ben poco materna nei suoi confronti, la lascia a casa di Anna, Richard e i due figli fino a quando la diciannovenne, con il suo vestitino rosso nuovo, è stata tragicamente investita da un camion? Il libro inizia con una solitudine che ci ricorda La parete (in Italia con e/o) in cui la protagonista sopravvive in montagna, tagliata fuori dal mondo a causa di una parete – inizialmente doveva essere “una parete di vetro” – e fa i conti con una feroce sopravvivenza, con il taglio della legna per il fuoco, con la coltivazione di un campo di patate e l’allevamento degli animali. Anche in questo caso, Anna, la protagonista, è sola di fronte ad una parete di vetro, alla finestra, a fissare il giardino e a scrivere la storia di Stella, mentre ascolta il pigolio di un uccellino, orfano e sperduto, senza mamma, dentro un tiglio. Stella, nel breve periodo ospite di Anna e Richard si trasforma in una giovane donna.

“Somigliava a una donna rimasta per caso ancora bambina”.

Stella è la metafora di quell’uccellino sperduto e bisognoso di cure materne.

“Quando Stella arrivò da noi aveva la pelle leggermente abbronzata. Era bella, ma del tutto priva di fascino ed eleganza. Era un po’ troppo in salute e formosa per i moderni canoni di bellezza. Poi, infatti, c’è voluto un pesante camion per schiacciarle la vita fuori dal corpo”.

Ma non è stata una disgrazia, questo è chiarissimo sin dalle prime pagine: “Stella ha avuto la premura di scendere come per caso dal marciapiede, così da far ipotizzare una disgrazia”. A cui non crede nemmeno “quel sempliciotto” dell’autista del camion. Un suicidio di cui mai la voce narrante pronuncia la parola, ma a cui allude continuamente:

“Stella voleva essere morta e, con la stessa abnegazione con la quale vi si era gettata dentro, è uscita dalla vita, da una vita che aveva dimenticato di trattenerla con un poco d’amore, di bontà e di pazienza”.

Insomma, Stella non si è gettata da una finestra e non ha preso sonniferi. La sua morte, apparentemente disgraziata, sembra nobile per il fatto che non crea imbarazzo nella famigliola felice. La famiglia di Anna all’apparenza non viene scalfita, ma internamente la frana travolge tutti i personaggi. La famiglia perfetta non esiste, dice la Haushofer, nemmeno nelle famiglie che paiono tali. Quindi all’origine della morte di Stella, ci siamo “noi”, ovvero Anna e il marito Richard, un mostro.

“Richard è proprio un mostro: premuroso padre di famiglia, illustre avvocato, amante passionale, traditore, bugiardo e assassino”.

Perché Anna allora non si allontana da lui?

“La mia rabbia è sfumata da secoli, è rimasto solo un orrore che mi domina completamente e in cui abito come in una camera brutta e odiosa. Mi si è insinuato dentro, ne sono imbevuta e ormai mi accompagna ovunque vada. Non c’è via d’uscita. Il pensiero peggiore è che neanche la morte possa essere sufficientemente letale da estirparlo una volta per tutte”.

Ed ecco il vero motivo per cui Anna rimane intrappolata nella tela del ragno assassino:

“Eppure l’orrore e la consapevolezza di una verità che non si dovrebbe conoscere sono incasellate nell’ordine della vita quotidiana. Sì, mi aggrappo a questo ordine, ai pasti regolari, alle faccende che si ripetono ogni giorno, alle visite e alle passeggiate. Amo quest’ordine che mi rende possibile vivere”.

Si tratta dunque, anche stavolta, di una questione di sopravvivenza. Inutile provare a scappare da un assassino cortese, che, con le sue vittime femminili, usa le buone maniere, una mano sulla spalla della moglie nel momento in cui va a coricarsi. Un assassino cortese e corruttore.

“Tutto quello a cui potrei dare inizio sarebbe vano, da quando so che esistono assassini cortesi. Custodi della legge che la violano ogni giorno, codardi coraggiosi e traditori fedeli. La mostruosa mescolanza di volto angelico e ghigno diabolico mi era diventata talmente familiare che ogni immagine pura, immacolata, riusciva a risvegliare in me soltanto il più profondo scetticismo”.

Ma che cosa è successo davvero tra Richard e Stella? Stella soffre, piange, è pallida; viene da pensare a una violenza, oppure a una relazione dentro cui è piombata quasi a sua insaputa. Potrebbe essersi innamorata perdutamente di Richard, ma non lo sapremo mai. Stella è esattamente come l’uccellino sperduto sul tiglio senza cure, senza mamma.

“Non è più su quel ramo. La madre non è venuta. Probabilmente la sua piccola carcassa giace tra i cespugli; tra qualche giorno sarà sparito, dissolto, come non fosse mai esistito”.

L’orrore è impregnato di grazia. Il confine tra bene e male è indefinito, non è esiste più, mentre l’innocente Stella è morta e nella sua bara la carne “si scolla dalle ossa e impregna le assi”. Il volto elegante e atroce del suo assassino, un padre di famiglia, le sopravvive e “si specchia nel cielo azzurro d’innocenti occhi di bambina”, sua figlia Annette.

Linda Terziroli

*In copertina: Marlen Haushofer

Gruppo MAGOG