10 Gennaio 2022

Hate speech ai tempi del Covid. Quando l'epiteto ha un potenziale denigratorio

Oggi è (politicamente, moralmente) necessario evitare di ignorare che le parole sono strumenti di costruzione e di controllo sociali. Con le parole non soltanto categorizziamo la realtà, la raccontiamo, ma simultaneamente la costruiamo. Dare definizioni, etichettare, rispondono non soltanto al bisogno di descrivere e di comprendere le cose, ma anche a quello di costruirle, di creare aspettative e ruoli sociali, rinforzare comportamenti etc. Il linguaggio ha per così dire due facce: è descrittivo e insieme normativo. Come direbbe Austin, nel e col dire parole, noi facciamo cose. Perfino con un «pernacchio», sdottoreggiava Edoardo De Filippo nel celebre episodio de L’oro di Napoli, «si può fare una rivoluzione». Ma il pernacchio di Don Ersilio Miccio, si ricorderà, era destinato a un singolo individuo, era un pernacchio ad personam. Quando invece usiamo «frocio», l’aggressione verbale riguarda non già una singola persona come tale, ma è coinvolto un intero gruppo sociale, quello a cui appartiene la vittima del linguaggio d’odio e al quale è generalmente contrapposto il gruppo dei migliori eterosessuali. In altre parole, stiamo utilizzando un «epiteto denigratorio». Ciò che la politica e l’informazione pandemistiche sembrano oggi aver introdotto nel linguaggio del dibattito pubblico italiano è un nuovo slur, quello di «no vax», con finalità che possiamo solo ipotizzare. È possibile che la principale finalità con la quale se ne incoraggia l’uso sia ciò che potremmo definire un rafforzamento del potenziale illocutorio e perlocutorio del linguaggio del potere politico. In altri termini, dalla diffusione e dalla condivisione di quell’epiteto il linguaggio della politica e dell’informazione traggono maggiore potere persuasivo e coercitivo.

Alcune anomalie caratterizzano quel termine in quanto epiteto denigratorio. Sebbene non tutti siano d’accordo, gli epiteti denigratori hanno generalmente un correlato neutro. Alcuni autori hanno considerato una tale proprietà come condizione necessaria per parlare di slur. Così, per esempio, il correlato neutro di «frocio» è «omosessuale»; quello di «negro», «nero». A nostro parere, l’esistenza del correlato neutro è segno dell’importanza teorica (o comunque descrittiva) dell’epiteto: abbiamo bisogno di raccontare il mondo richiamando l’attenzione sul fatto che ci sono omosessuali e neri, soprattutto in contesti in cui parliamo di diritti civili o di leggi razziali. Ci sono insulti, è vero, che mancano di un correlato neutro, ma questi sembrano tipicamente non avere un target sociale, ma solo target individuali: mentre i «froci» esistono socialmente, la stessa esistenza non è riconosciuta ai «bastardi». «Bastardo!» è pertanto uno slur individuale e manca di un correlato neutro. Cosa al riguardo possiamo dire di «novax»? Sembra, da un lato, mancare di correlati neutri, e in questo essere molto simile agli insulti individuali, ma dall’altro ha una forte connotazione sociale. Quando di qualcuno si dice che è un novax, si intende attirare l’attenzione sulla sua appartenenza a un certo gruppo sociale, quello per l’appunto dei novax. Possiamo provare a formulare parafrasi più o meno felici, ma nessuna di esse riuscirebbe a cogliere un contenuto semantico corrispondente a quello vagamente presente nei proferimenti che contengono quel termine. Il non avere un correlato neutro non è l’unica anomalia di «novax» in quanto epiteto denigratorio. «Novax», sia come sostantivo sia nel suo uso aggettivale («omelia novax», «capodanno novax», etc.), è ciò che chiamerei «epiteto denigratorio puro». La sua purezza consiste in questo, nell’essere pura forza illocutoria e perlocutoria: nel dire «novax», non solo non si dice nulla di teoricamente interessante, ma non si dice nulla di preciso; resta solo (o primariamente) il suo potenziale denigratorio. Recentemente, Luca Ricolfi, in una sua intervista su huffingtonpost, ne ha parlato in termini di «un’etichetta di comodo, per dire non allineati al racconto ufficiale» (corsivo nostro).

Queste due anomalie consentono che il termine «novax», a differenza di altri epiteti denigratori, non susciti immediatamente indignazione o biasimo. Il suo uso è anzi incoraggiato nel dibattito pubblico, e perfino alcuni rappresentanti delle istituzioni politiche non se ne privano nei loro discorsi, così come i giornalisti nei loro titoli. È in corso un imbarbarimento dei nostri costumi linguistici tale da rendere l’insulto più tollerabile oggi che in passato? Non potremmo dirlo con certezza, dal momento che la disapprovazione permane per altri epiteti denigratori. A rendere ammissibile «novax» sembra piuttosto un certo complesso di fattori. Il fatto che non esista un correlato neutro non permette la correzione. Se Vittorio Feltri dice «negro», qualcuno può sempre invitarlo ad aggiustare il tiro, sostituendo «negro» con «nero». Se, invece, David Parenzo o Andrea Scanzi dicono «novax», quale consiglio linguistico potremmo dare? Inoltre, il suo essere semanticamente vago non ci aiuta a coglierne il potenziale offensivo. La sua vaghezza semantica lascia perplessi coloro che sono chiamati a interpretare i proferimenti che lo contengono. Chi sono i novax? Alcuni articoli giornalistici hanno provato a fornire un identikit del novax, con risultati clamorosamente contraddittori. A chi è veramente rivolta la presunta offesa? Non sembra esserci una risposta chiara a questa domanda. Un ulteriore importante fattore di ammissibilità dell’epiteto è questo: la politica e l’informazione ci autorizzano a impiegarlo attraverso metafore belliche: siamo nel bel mezzo di una guerra pandemica e i nemici e i disertori non possono sperare nella nostra cortesia.

Con quale scopo la politica e l’informazione incoraggiano un uso così pervasivo di «novax»? Innanzitutto, ridurre al silenzio (o comunque a spazi ridotti e distorcenti) i non allineati. Una tale riduzione al silenzio si serve poi di ulteriori elementi accessori, come per esempio un certo deferenzialismo scientista (in genere accompagnato da ignoranza scientifica) finalizzato a classificare il dissenso dei non allineati come antiscientifico. «Novax» sembra soprattutto funzionale a rinforzare la subordinazione dei non allineati, suggerendo comportamenti discriminatori nei loro confronti, talvolta perpetrati dallo stesso legislatore. Rinforzando la subordinazione del gruppo sociale target, attraverso la legge e la propaganda, si rafforza la supremazia del gruppo dei migliori e la capacità di fare cose con le loro parole, distorcendo e soffocando le parole degli altri.

Luigi Pavone

Gruppo MAGOG