06 Agosto 2022

Emanuele Severino e la possibilità della Fenice

Un thread in filosofia del linguaggio concerne gli enunciati esistenziali negativi, vale a dire quelle espressioni linguistiche di cui ci serviamo per negare l’esistenza di qualcosa o qualcuno. Ne è un esempio la seguente frase: (1) «la Fenice [il favoloso uccello che rinasce dalle proprie ceneri] non esiste». Cosa c’è di problematico in proferimenti di questo genere? In realtà, per il senso comune, assolutamente nulla. Ma i filosofi hanno una straordinaria capacità, o meglio uno speciale tocco di Mida: «tutto ciò che essi toccano diventa un puzzle e alla fine un problema» (W. Sellars, Naturalism and Ontology 1979, 1996, p. 15).

Il problema si presenta, grosso modo, in questi termini: come facciamo a negare l’esistenza di qualcosa a cui comunque stiamo pensando e che dunque in qualche modo esiste? Si può forse pensare ciò che non è? In altre parole, nel dire che la Fenice o la montagna d’oro non esistono non stiamo forse affermando contenuti contraddittori? Il problema degli esistenziali negativi è innanzitutto il problema di individuarne una forma logica che li renda logicamente possibili o fattuali. A questo problema sono state date diverse soluzioni da parte di autorevoli filosofi, come p. es. Bertrand Russell. A una di esse siamo però particolarmente interessati, perché strettamente connessa alla dottrina eternistica sostenuta dal filosofo italiano Emanuele Severino, cioè alla tesi che tutto esiste, è sempre esistito e sempre esisterà. Non è un caso che il problema degli esistenziali negativi sia stato affrontato da Severino proprio nel libro, Essenza del Nichilismo (1972, 1996), in cui la tesi dell’eternità del tutto è stata sostenuta in maniera radicale.

Secondo Severino, l’esistenza conviene a tutto ciò che non è un nulla. Egli scrive:

«Questa lampada non è un nulla – ossia è –, proprio in quanto è questa lampada; sì che questa lampada non può e non potrà mai scrollarsi di dosso il suo […] esistere».

(ivi, p. 72)

Ogni giudizio esistenziale è pertanto analitico: l’esistenza è già contenuta nella determinazione (quella lampada, questo tavolo, etc.). Ma quali sono le cose di cui possiamo dire che non sono un nulla? La risposta di Severino sembra chiara: le cose che non sono un nulla sono quelle che non significano il nulla, o per meglio dire: «questa lampada» non significa nulla, non significa ciò che la parola «nulla» significa, dunque «questa lampada» contiene nel suo significato il suo non essere un nulla, e quindi – in virtù della semantizzazione dell’essere (cfr. La sintassi applicata alla semantizzazione dell’essere di Severino) – il suo esistere. Ma anche «la Fenice» e «la montagna d’oro», si dirà, non significano il nulla. Dunque esistono? Per Severino sì: la loro esistenza è analiticamente derivabile e non è in questo senso problematica. È invece problematica l’implicazione tra una essenza (determinazione) qualunque e una certa modalità di esistenza. P. es., è problematica l’implicazione non già tra l’essenza della Fenice e il suo esse (il suo non essere un nulla, cioè il suo esistere),ma quella tra l’essenza della Fenice e una sua particolare modalità di esistenza, p. es. il suo esse in rerum natura (il suo esistere come oggetto che è in natura). Insomma, che la Fenice esista lo possiamo sapere a priori, considerando semplicemente il significato della parola «Fenice». Che poi la Fenice esista anche in rerum natura, questo è problematico e richiede probabilmente un’indagine naturalistica per stabilirlo.

L’approccio severiniano al problema degli esistenziali negativi si serve del concetto di modalità di esistenza, che richiede pertanto di essere adeguatamente definito. Per Severino, ricordiamolo, il verbo «essere» ha un significato univoco: «essere» significa non essere (il, un) nulla. E allora in che senso esisterebbero diverse modalità di esistenza? Non è ciò in contrasto con la sua idea univocistica intorno al significato dell’essere? A rispondere è lo stesso Severino:

«dire che due determinazioni hanno un diverso modo di essere significa che esse sono determinazioni di tipo diverso: la diversità del modo di essere non riguarda l’essere – il non essere un niente – ma, appunto, ciò che è».

(ivi, p. 367)

Cosa vuol dire esattamente che modalità diverse di esistenza sono da ultimo tipi diversi di determinazioni? Le diverse modalità di esistenza risulterebbero, per così dire, assorbite dalle essenze (determinazioni), sarebbero cioè in esse contenute. Ciò consente a Severino di preservare il significato univoco dell’essere, ma sembra condurre a conseguenze paradossali nel trattamento logico degli esistenziali negativi.

L’enunciato (1) sopra considerato è per Severino logicamente possibile e problematico a patto che significhi (2) «La Fenice non è in rerum natura». Solo così (1) risulta logicamente plausibile, perché altrimenti sarebbe contraddittorio e falso. Ma (2), per la riduzione della modalità di esistenza all’essenza, significherà (3) «La Fenice-in-rerum-natura non è (esiste)». Ma con (3) non si fanno molti progressi rispetto a (1). Infatti, affinché (3) sia logicamente possibile, della Fenice-in-rerum-natura si deve negare non già l’esistenza in generale, il puro esse – il che sarebbe, daccapo, contraddittorio –, ma una sua particolare modalità di esistenza – chiamiamola pure in rerum natura 2. Quindi (3) è logicamente possibile a patto che significhi (4) «La Fenice-in-rerum-natura non è in rerum natura 2», ma (4) significherà, ancora per la riduzione della modalità di esistenza all’essenza, (5) «La Fenice-in-rerum-natura-in-rerum-natura-2 non è (esiste)», e così via ab libitum. Nel tentativo di salvare capre (la possibilità di enunciati esistenziali negativi veri) e cavoli (semantizzazione e univocità dell’essere), l’approccio severiniano al problema degli esistenziali negativi sposta all’infinito l’individuazione di una forma logica adeguata per gli esistenziali negativi e fallisce nel fornire ad esso una soluzione logica coerente.

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