25 Aprile 2020

Giovanni Battista Cerruti, il Kurtz italiano. Storia dell’avventuriero scrittore, la fonte segreta di Conrad

Le date quadrano, fatemi sognare. Tra il 1887 e il 1888 Joseph Conrad transita per Singapore: da lì vaga per le isole Celebes e il Borneo. “Nel gennaio ’88, mentre si trova nella Casa del Marinaio di Singapore, gli viene offerto il comando del brigantino a palo Otago, che si trova a Bangkok: è il coronamento dei sogni nutriti fin dall’infanzia nell’esilio russo” (così la fitta Cronologia nelle Opere di Conrad curate da Mario Curreli per Bompiani). Secondo me si sono incontrati lì, è inevitabile. Conrad naviga, vive, penetra gli oscuri geografici e umani; raccoglie materiale per i “Romanzi della Malesia” (sotto questa dizione Mursia radunava La follia di Almayer, Un reietto delle isole, Il salvataggio, Lord Jim). A Singapore, quell’anno, c’è anche Giovanni Battista Cerruti, di anni 37, più grande di Conrad di sette. Attende il barone Joachim von Brenner, alto papavero viennese, per una esplorazione – ben retribuita, è da ritenere – verso l’isola di Nias, Sumatra, luogo pressoché inaccessibile. Cerruti, solido marinaio ligure, di Varazze, è molto noto a Singapore: qualche anno prima vi aveva piantato una fabbrica per la preparazione dell’ananas e di altri frutti esotici. All’Esposizione di Torino, nel 1884, era stato decorato con un premio, per l’intrapresa: la cosa lo tormentò, preferì tornare alle esplorazioni selvagge. Nobili abbienti o intrepidi scienziati si rivolgevano a lui per essere accompagnati negli oscuri malesi.

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Giovanni Battista Cerruti è uno dei grandi avventurieri italiani, più Fitzcarraldo che Jack London, più Indiana Jones che Melville. Figlio di un sagace imprenditore tessile che commerciava con l’America, GBC, diciassettenne, s’imbarca come mozzo sulla nave dello zio e sbarca a Buenos Aires. Da lì, transitando sul “Libertà” e la “Vedetta” varca l’Oceano Indiano, il suo Nirvana. Diventa capitano di lungo corso nel 1881, quando Conrad “supera l’esame per la patente marittima di primo grado”, vaga tra Londra e Sydney, soprattutto, sul “Palestine”, dopo una serie di romanzeschi incidenti – rievocati in Youth – “raggiunge l’agognato Oriente”. Più che l’oceano, Cerruti ama l’ignoto: esplora Malaysia e Indonesia, con indolente pervicacia. Spera di scoprire l’El Dorado dell’Estremo Oriente, d’infognarsi in ricchi giacimenti d’oro: trovò miniere di stagno potenzialmente redditizie, che gli furono soffiate dagli industriali d’Albione. Si accontentò – ben prima delle nebulose imprese di Malraux – di raccogliere oggetti. “Numerosi sono i musei nazionali che egli contribuì ad arricchire con interessante materiale proveniente dall’Estremo Oriente: va ricordato in particolare quello di Savona, sua provincia di origine, al quale egli donò una rarissima collezione di armi malesi ed alcuni splendidi esemplari di animali indigeni”, scrive Francesco Surdich nella nota dedicatagli nel “Dizionario Biografico degli Italiani” Treccani. Sapeva muoversi nella giungla come nella selva delle corti orientali, se è vero che i suoi servigi, in Siam, furono ricambiati con gesti di gloria (“ignoriamo quando e cosa vi fece, anche se è logico ritenere che la sua opera in quel territorio dovette essere alquanto apprezzata, se il re Chulalongkorn, di passaggio per Singapore, cercò il Cerruti e, non avendolo trovato, gli lasciò per ricordo un portasigarette col monogramma reale”, così Surdich). Eppure, a questo sagace avventuriero, spiritato dalla purezza dell’impresa, hanno dedicato una manciata di vie e stop.

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Così, nel 1906, Emilio Agostinoni, sul Secolo, descrive Cerruti. “Non ci sembra certo a prima vita un Capitano, tanto meno un esploratore semisolitario, meno ancora un abilissimo capo di tribù confinate nella foresta tropicale della penisola malese. Al di là dei cinquant’anni, piccolo, riguardoso di modi e dimesso d’apparenza, coi baffi radi spioventi, la parola accorta e modesta, sembra soltanto un vigile uomo d’affari…”. Pare la descrizione del capitano MacWhirr di Tifone, “non aveva particolari caratteristiche di risolutezza o di ottusità… l’unica cosa, a volte, che il suo aspetto sembrava suggerire era la timidezza: a terra, sedeva negli uffici commerciali con gli occhi bassi, un debole sorriso sul volto bruciato da sole”. Piuttosto, Cerruti sembra avere l’indole del Kurtz di Cuore di tenebra.

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Nel 1906 Conrad termina The Mirror of the Sea; proprio quell’anno Cerruti, all’Esposizione internazionale di Milano, porta Nel paese dei veleni. Il suo reportage di viaggio, stampato in poche copie a Verona, va a ruba – viene tradotto in inglese. L’anno dopo, per il “Giornale illustrato dei viaggi” stampato da Sonzogno esce il sequel, Fra i cacciatori di teste dell’isola di Nias. Cerruti – un uomo immerso nel fiume della vita – non ama tornare in Italia: l’ultima volta, nel 1912, è per trovare soldi a finanziare una Società dell’Estremo Oriente, con sede a Milano e con lo scopo di avviare una piantagione di caucciù nei lidi esotici. Non è né uno sprovveduto né un millantatore, GBC: nel 1886 aveva accompagnato l’antropologo fiorentino Elio Modigliani a Nias. Da quel viaggio, lo studioso aveva ricavato una serie di fortunati libri – Un viaggio a Nias, L’isola delle donne, ad esempio – pubblicati da Treves. Semplicemente, non aveva il piglio del Salgari.

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In ogni caso, tutto accade dopo il 1891, mentre Conrad è ipnotizzato da sogni di successo letterario. Durante una delle escursioni nei recessi della Malesia, GBC è accerchiato dai Sakai, “popolazione di terribili cannibali, cacciatori di teste, espertissimi nell’arte di filtrare i più micidiali veleni”. Credendosi perduto, con serafica pazienza, Cerruti sfila la pipa, la carica, fuma. Nel pieno della giungla, pronto alla morte, Cerruti si premura di adempiere all’ultimo vizio. Pare la scena di un romanzo di Conrad. In effetti, “Quei selvaggi… inspiegabilmente – colpiti forse dalla calma del ligure o affascinati dal fumo della pipa – gli si prostrarono ai piedi e lo adorarono”. Eccolo, il fatidico Kurtz italiano, capo degli indigeni malesi, pericolosissimi e spietati guerrieri. “Rifugiatasi sui monti di Malacca, nell’interno degli Stati di Perak e di Pahang, i Sakai ai tempi del Cerruti non superava ormai le diecimila unità: presso di loro egli trascorrerà complessivamente circa quindici anni”. In altri luoghi, sulla vita di GBC farebbero un film.

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Cerruti, uomo d’altri mondi, morì mentre questo mondo s’approssimava alla trincea: il 28 giugno 1914, a Penang, Malacca, per un’infezione intestinale; le sue spoglie, grazie all’interessamento della sorella, tornarono in Italia nel 1933. Dei suoi testi non gl’importava niente: nel 1931 e nel 1936 furono editi da Bemporad come Nel paese dei veleni e fra i cacciatori di teste: viaggi e avventure; nel 1992 l’ottimo editore Ecig – da cui le citazioni – recupera Tra i cacciatori di teste. Se fossi vissuto allora, avrei voluto stringere la mano a quel ligure dal fisico ruvido e dall’estro platonico; se mai diventassi editore, stamperei i suoi testi. Le debolezze dello scrittore, col tempo, ne confermano la sgranata bellezza: “Mi destai di soprassalto. Il principe mi bisbigliava all’orecchio delle parole d’allarme. Fui presto in piedi con la rivoltella pronta e scrutai nelle tenebre che ci avvolgevano. La notte era buia malgrado le stelle: Orione non diffondeva che un pallidissimo chiarore soltanto in qualche radura della foresta i cui alti silenzi erano rotti dallo strisciare lieve di qualche rettile sulle erbe e dal mormorio del vicino fiume. V’era della poesia che non si descrive in quel mistero di ombre e di fruscii che tradiscono la presenza di qualche cosa che vive intorno a voi e che forse vi minaccia e v’insidia senza che vi sia dato vedere e difendervi”. L’ultima frase è Conrad distillato.

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Fatemelo credere, le date danno credito al mio spirito romanzesco. Nel febbraio del 1887 Conrad è primo ufficiale su un veliero diretto a Giava. Fa un incidente. Lo ricoverano a Singapore. Lì incontra Cerruti, ascolta la storia dei suoi viaggi nell’inaccessibile isola di Nias, dei selvaggi che vi abitano, con copricapi irti di penne e di zanne e corpi scolpiti (nei decenni del mercato turistico, Nias diventerà meta per surfer). Gli interessa sapere che impressione Cerruti abbia di Garibaldi, con cui ha scambiato qualche lettera. Conrad prende appunti: durante il fatidico viaggio in Congo, Cerruti è eletto capo dei Sakai. Il cielo palpita di un azzurro feroce, ferino, quando penso a Cerruti, il Kurtz italiano. (d.b.)

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