Non temere… io sono l’ultimo incontro di ogni uomo. Grande sarà l’impronta che lascerà il tuo piede nel fango di questa terra. Il coraggio e la fede non ti abbandoneranno mai. Cercherai la Grande Meretrice e la vorrai distruggere ma il tuo bastone non basterà…
Cleide, Di’ a fra’ Dolcin che s’armi
La Grande Meretrice è la Birmania.
Dal 1945 impegnata in oppressioni, soprusi, uccisioni ai danni del popolo Karen.
Piccolo, singolare popolo nella farandola etnica dell’Asia, uscito, si dice, dal Tibet più di mille anni prima (700 a.c.), disseminato tra India e Thailandia, ovunque minoranza.
Entrato buddhista theravāda si mischia e si contamina di animismo autoctono. In parte cristianizzato, conta un certo numero di cattolici, molti di più i battisti. Reo di aver creduto alle sirene inglesi (stato federale, autonomia), abbandonato alla repressione di un governo accentratore, è messo ai margini della convivenza (Karen, nome imposto dall’esterno, sta per “rozzo”, “miserabile”).
Del numero dei desamparados del mattatoio-Storia, non ci dice granché, assuefatti che siamo praticamente a tutto.
Ma qui, incipit legenda.
Anno 2000, chiliastico di per sé.
Si dice, tra la gente Karen, prima sussurri, poi sempre più forte, che con loro giunge la liberazione.
Dieci anni circa, di credo battista, svezzati a suon di raid governativi, espropri di terra, umiliazioni.
Arruolati dai ribelli a corto di miliziani adulti, alla bell’e meglio, tra file di altri sventurati, riserva estrema di causa persa, Luther e Johnny Htoo.
Ma Johnny sente le voci. Forse tra le fronde di un banyan, dove il nat (spirito dei morti) e l’ anghelos sono uno. Gli dicono penitenza, conversione, immolazione,vittoria (così immaginiamo, così ritornano, a volte , da 2000 anni).
E con Luther-Aronne al fianco raduna, manipolo di imberbi al più adolescenti, avanguardia dell’esodo Karen verso il riscatto: sorge l’Armata di Dio.
Disciplina di ferro, come si conviene tra crociati: assoluta castità, obbedienza, digiuni, tanti i cibi e bevande interdetti (alcool, maiale, uova).
Unica licenza: i bimbi fumano come pazzi, più del salgariano Yanez. Le rare foto li ritraggono mitra a tracolla, cicca alla bocca.
Attaccano qualche avamposto, una volta addirittura in cinque, riportano vittorie tanto insperate da apparire assurde.
E il numero dei crociati cresce, chi dice duecento, chi cinquecento.
Tanto basta al morale Karen, vivificato dal lumicino di un resto di speranza.
Profeti guerrieri per il cristiano, bodhisattvas per il buddhista, nat inviati dai Trentacinque Signori per il culto antico, oppure per tutti un po’ di tutto questo (viva il dominio vivo e immaginifico di religione).
Mandano a mente la bibbia, senza averla mai letta. Qualcuno giura di aver visto, come gli angeli a Mons, una schiera di cinquemila spiriti schierati al loro fianco.
E le pallottole dei governativi non recano danno a Luther e Johnny, i Gemelli Divini.
Karen, etichetta di spregio è ora assunta, come croce, a segno capovolgente di elezione.
E l’interesse attorno all’armata si manifesta, anche fuori dall’estremo Oriente, piccola appendice nell’inferno del Myanmar. Da noi, tranne qualche bell’articolo di Enzo Baldoni e Matilde Quarti, arriva quasi nulla.
Tanto basta alla giunta militare di Rangoon. Un anno dura l’avanzata dei gemelli, finché la repressione non li stronca. Ricacciata sempre più ad est, i catturati barbaramente giustiziati, villaggi affiliati distrutti, Luther e Johnny braccati, l’armata si disgrega.
È alla metà del gennaio 2001 che i gemelli si consegnano, prontamente spediti in campi di “accoglienza” (leggere detenzione) in territorio thailandese.
Interrogati, minacciati in chissà quali modi, ritrattano tutto: le voci erano false, nessuna elezione, né riscossa Karen, nessuna speranza. Ci siamo sbagliati, ci hanno confusi.
Johnny monta una sommossa qualche anno dopo. Acciuffato e impacchettato torna al campo donde era evaso.
Così i Gemelli Divini escono delle cronache, dati per assassinati, al più consegnati all’anonimato di una vita di abbrutimento ai margini della società thailandese.
*
Fino al più tristo degli epiloghi.
Anno 2013: una foto diffusa ad arte dai governativi ce li mostra cresciuti, svestite le mimetiche per slargati abiti civili, ripuliti quanto basta per la messa in posa.
Luther, spedito nella civilissima Svezia, studia economia, ha preso moglie, s’è “riabilitato”; Johnny, restato tra le grinfie birmane, se l’è certo passata peggio.
Rangoon ha recepito la lezioncina di ogni tempo: a che pro la palma del martirio se si può demitizzare? Eccoli lì, due estranei incorniciati in un clic da propaganda, il relapso e il redento, ciascuno a modo suo disadattato.
*
Anno 2020, ultime nuove: pare che entrambi si trascinino ancora in Birmania, senza impiego.
Entrambi alcoolizzati.
*
Non vide […] le fiamme scendere dal cielo, né udì le trombe degli Angeli annunciare la fine…non la voce di Dio chiamare a raccolta l’umanità per separare i giusti dai dannati.
(Cleide, ivi)
Chiosava una lunga tradizione mistica ed escatologica Louis Massignon dicendo che destino comune degli eletti, dei visionari, dei compassionevoli e dei profeti dovette fin dal principio essere il fallimento storico.
E con gli infanti la kenosis par funzionare al meglio.
Sciamati da Francia e Germania, laceri festosi, guidati da tali Stefano di Cloyes e Nicola da Colonia, crociati-bambini vanno a riconquistare terra santa, “bianca come Gesù è bianco”, volando sul mare, siccis pedibus.
Sfilano tra il dileggio e la pietà, piccoli crociati, iter stultorum che finisce in morte, stenti o pugnale, o inganno, carne da mercati saraceni (forse le cose non stanno proprio così, ma noi scegliamo la leggenda, leggete La croisade des enfants di Marcel Schwob).
Chiamata sotto a un albero del maggio Giovanna la pulzella si arma ad altra liberazione: ascende, persuade, vince senza menar colpo, stendardo gigliato e spada senza filo, è presa in un agguato, cade.
Processata, in cattività, piange, si dispera, le voci non le parlano, si confonde, confessa. Poi ritratta, schernisce i giudici e accetta. La sua verità sta nella fiamma.
*
A noi più vicini, disgraziati bimbi dell’Isère, Mélanie Calvat e Maximin Giraud, presi come ingenui confidenti dalla Signora a La Salette.
Buttati nella fornace di Nabucodosor senza assistenze angeliche.
Commissioni, interrogatori, professioni di ortodossia; vescovi, monarchici, repubblicani, faccendieri a tirarli per le vesti. Li incalzano, li confondono. Non sanno rispondere che con le parole, minacciose e tenere, scomode a tutti, di Colei che piange (Bloy).
Battuti dal vento, navicelle di carta, Mélanie, incapace di adattarsi a regole, passa da una congregazione all’altra, pacco indesiderato, finisce i suoi giorni ad Altamura; Maximin, fallito il seminario, da alcoolizzato.
*
Per tutti inizi di folgore, Parola e Visione intransigenti, cui sacrificare tutto, tutto quello che separa, intervallo, tempo, storia, distanza, ragione, che ritarda le Promesse.
Con la misura, la virtù e il contegno si fanno le vite belle e compiute; comuni al santo, al profeta e al bambino sono Fede e Impazienza.
Sacro furore, destino di ogni Sacro: incomprensione e morte.
Nessuno risparmiato dai maneggi del secolo, chiesastici e profani, voci per nulla angeliche di rappresentanti contrade tutt’altro che celesti. Sicuramente erano dietro anche ai gemelli (le loro voci dovrebbero esser per questo meno vere?)
Qualcuno conosce onori postumi. Giovanna è canonizzata, modo sublime e necessario di venir traditi. Altri, presi per palta, alimentano fumi ideologici, destri o sinistri.
Certo, coi ferri affilati delle storiografie, sociologie, psicologie di massa oggi si può ben spiegare tutto altrimenti.
Ma noi, abbiamo detto, scegliamo stultitia e leggenda.
Magari, quando risentiremo quel “sinite parvulos” (Mc 10; 14) ripetuto, bolso, fra preti e fedeli, che genera al massimo immagini-spot, “balocchi e profumi”… pensiamo che davvero è terribile il cader preda della Sua dilezione.
Nessuno sa SE e quando irromperanno Gioia e Giustizia, ché saranno come “un ladro nella notte” (1 Ts 5; 2), “folgore che da oriente guizza fino a occidente” (Mt 24; 27).
Figurarci quel “dopo” non ci riesce, troppe teste ci si son spaccate.
Eppure siam tentati di riscattare i nostri eroi in immagine.
E se ci mancano la possente fantasia religiosa delle scritture o il genio visivo di un Giotto o di un Van Eyck… non rimane che virare su immagini da spirito dei tempi, in cinemascope da poveracci.
Eccoli che vengono a balzi ampi come le montagne, trasfigurati ridenti, forti di tutta la vigorìa della carne, fravaši, leggeri, spirati da soffi di śerāfîm; “au hasard!” “hey-ha!” gridano e dietro, come tizzi-rubino, anime schierate a nuove campagne, ludo eterno; straccioncelli crociati, Jeanette la pucelle, i veggenti de La Salette e Amakusa Shiro, santo-ronin sedicenne e forse l’animo fanciullo di David, povero Cristo dell’Amiata…
E Luther e Johnny. E i nat dei loro fratelli soldati.