Arruina (Il Saggiatore, 2019) è la prima prova narrativa per Francesco Iannone. Conosco Francesco come poeta, persona dall’aspetto calmo e rilassato, e negli artisti questa acqua cheta mi incuriosisce sempre, mi preoccupa. Infatti ecco Arruina, la rovina. Una favola oscura che recupera nella narrazione elementi delle tradizioni meridionali e delle fiabe medievali allegoriche, mischiando tutto, facendo della lingua una poltiglia, un impasto.
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E la lingua di Iannone è davvero un impasto, procede in modo magmatico, sembra di entrare nella corrente fortissima di una alluvione, fango e detriti tutto intorno, nessun appiglio, si tenta di non affogare. Il libro inizia direttamente con l’enunciazione di una profezia “Nascerà una bambina, e avrà il tuo sangue, e il tuo sangue ti giudicherà. Lo dice il vento che nascerà, lo dicono le voci di tutte le donne gravide nei letti. La tua bambina nascerà e con lei nasceranno altri bambini. E le loro madri soffriranno molto, e le sentirai sgravidare in solitudine, maledire le poltiglie precipitate fra le loro gambe. Piccoli luminosi cumuli di carne”. Una profezia che sembra una maledizione, questa bambina è una benedizione perché è nascita, carne luminosa, ma porta nel nome un destino: La Sperduta.
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Arruina è la storia di un amore smisurato e carnale, di un viaggio di due genitori alla ricerca della figlia s-perduta perché rapita da streghe millenarie, le Nerissime, che tutto quello che toccano ha morte e deformazione, sofferenza infinita, aghi verticali nel cervello. Il tocco delle Nerissime porta a fame e fango, aridità e tempesta, l’acqua diventa pericolosa, niente ha più il suo giusto significato. Niente risponde più al suo nome. Le Nerissime rapiscono la Sperduta perché nascendo ha bloccato il flusso dell’acqua della sorgente che le rendeva immortali, ha reso la terra libera, ha dato una speranza, la prima parte del suo nome. La Sperduta porta insieme speranza e perdita, slancio e privazione, come tutte le cose che desideriamo e che tentiamo di possedere. Questa favola oscura ci insegna che i figli non si possiedono, che hanno un loro destino, che se li partoriamo nel sangue non garantiamo loro niente. Sono pezzi di carne, luminosi ma esterni, autonomi. Arruina ci ricorda come il nome porti dentro il destino, come nominare le cose sia pericoloso, il suono porta l’accadere delle cose, porta un rumore e contro certe oscurità si ha poca forza, per entrare serve avere un miracolo da mostrare.
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Della favola oscura la lingua rispetta la tradizione, leggere Arruina è quasi fastidioso, faticoso direi. Sebbene sia evidente il lavoro di rielaborazione del testo e il tentativo di rendere la narrazione fluida, le immagini sono numerose, spiacevoli, il paesaggio oscuro e pieno di dolore, di corpi mutilati e ferite che non guariscono mai. Donne che hanno sacche di dolore nel ventre grandi come uova, donne che non smettono mai di partorire. Le età dell’uomo sono tutte confuse, la Sperduta è bambina e poi adulta insieme, cresce in modo anomalo. C’è una vecchia che riesuma bambini morti e li allatta. Due bambini angeli che tentano di avere un proprio destino ma non riescono a smettere di copulare, tutto è confuso. Tutto richiama alla carne, a una carne che passa dalla pulsazione alla putrefazione. Una favola oscura questa che ci chiede di giudicarci, ci chiede cosa sia l’amore, se la carne invecchia e si inumidisce. La Sperduta forse è il romanzo stesso che ci giudica, che uomini siamo, sappiamo resistere alla fatica, alla follia, sappiamo portare un miracolo?
Clery Celeste
*In copertina: Francesco Iannone in un ritratto fotografico di Chiara Pardini