“Non dobbiamo salvare il mondo”. Friedrich Dürrenmatt, l’amministratore del caos
Letterature
Alessio Trabucco
Natale Banco, giornalista con la passione dell’indagine, vedovo, in conflitto generazionale con il proprio figlio ventenne, è il protagonista della trilogia che Gianni Bonina, giornalista e scrittore catanese, dedica al giallo siciliano. A Cronaca di Catania (Mursia e Mesogea, sull’intolleranza razziale) e a Morte a debito (Mesogea, sulla mafia dell’industria lattiero-casearia) si è aggiunto adesso il terzo episodio incentrato sul traffico di organi umani, Un cuore per la signora Chimento (Marlin, 2020). Dunque, un giornalismo d’inchiesta ambientato a Catania (dove lo stesso Banco vive, anche se in Morte a debito figurava pure Partinico e in futuro nulla esclude che Banco si ritrovi in trasferta), che tracima in giallo sociale nel quale Banco, benché disilluso e piuttosto appartato, si trova ad agire contro “l’immobilismo e la staticità delle cose sinonimo di angustia”. E così, combattendo con i suoi mezzi l’‘ottimismo’ della peggiore specie, quello che nasce dall’assenza di informazione, conduce battaglie civili, scoprendo squallidi patti, denunciando mistificazione, mentalità mafiosa, degrado sociale, ma anche esaltando le bellezze paesaggistiche e architettoniche dei luoghi.
In Un cuore per la signora Chimento, titolo “romantico” per una vicenda oscura e velenosa, Banco s’inoltra nel girone infernale del traffico di organi umani in una trama inattesa e inquietante di inganni e di “patti” indicibili che è lì, sotto i suoi occhi, nella sua bella città, indolente e maligna, dove il malaffare, tra le statiche quinte di piazze e conventi, di vie storiche e palazzi, sembra un destino. L’aspetto tremendo della vicenda non è soltanto il fatto che avvengano le cose, ma che avvengono davanti a noi e non le vediamo. E invece Banco, attento indagatore delle pieghe e delle ombre del reale, tiene gli occhi bene aperti sul mondo circostante, ne coglie umori e voci, cerca indizi, guarda il dettaglio, ascolta attentamente. Anche a costo di sperimentare la solitudine o di condurre battaglie disperanti per la ricerca della verità. È vero che ci sono i dubbi, l’orgoglio, il timore per le persone che gli sono care (tra gli altri, il figlio Marco e l’“angelo custode” Rosa, l’ex insegnante divenuta barbona che lui ha salvato dalla strada), e i fantasmi con cui fa i conti ogni giorno, ma è proprio dell’io morale di Banco mostrarsi insofferente di fronte alla menzogna, soprattutto quando è spacciata per buon giornalismo. Non aspetta chiuso nella fortezza Bastiani, non si accontenta delle verità già pronte, preferisce affrontare l’insensatezza del male, e quando s’immalinconisce, come in questo caso, di fronte alle tristissime storie di un malinteso senso dell’amore, si concede un piccolo lusso. Apre la finestra della sua casa e dà un’occhiata all’infinito: da una parte il mare dalla bellezza assoluta, dall’altra l’Etna, sacro e potente, che egli ama fotografare ogni giorno.
Un giornalista, Natale Banco, con la passione dell’indagine, invece che un commissario o un ispettore.
Perché non un giornalista, se abbiamo filosofi detective come l’Aristotele di Margaret Doody, vecchietti investigatori come quelli di Malvaldi e insegnanti come Laurana di Sciascia oppure la Miss Marple di Agata Christie o ancora padre Brown di Chesterton? Penso che tenere legato il poliziesco al cliché del commissario sia uno stereotipo scaduto. Ma è pure vero che Banco è giornalista perché lo sono io, nella fondata supposizione che non c’è autore che non parli di quanto conosce meglio, specie se si tratta di gialli. E del resto, le inchieste del mio protagonista indagano non tanto chi è stato a compiere un delitto o un misfatto ma il perché e il come è avvenuto.
Chi è il giornalista Natale Banco e da cosa nasce la sua voglia d’indagare?
Potrei dire c’est moi, come ogni autore direbbe del suo personaggio. Ma siamo molto diversi. Non ho il suo coraggio, il suo rigore morale, le angosce che lo tormentano e le fobie che gli guastano la vita. Dividiamo forse lo stesso modo di vedere il mestiere di giornalista che non può aprirsi a concessioni di compromesso o di convenienza e dev’essere inteso al pari di un sacerdozio che non si divide tra una vita privata e un’attività pubblica. Banco potrebbe girarsi dall’altra parte, un po’ come tutti. Dopotutto non è un giornalista d’inchiesta, non opera in una redazione di cronaca perché cura una pagina di rubriche. Ma lo stesso motivo che lo spinge a gettarsi tra le fiamme per salvare un bambino straniero lo induce ogni volta a occuparsi di casi giudiziari, ma non solo. Chiamiamolo senso civico, ma credo che sia un modo di interpretare il giornalismo nel suo spirito più autentico: tant’è che per l’Adnkronos di cui è corrispondente, Banco non si limita a scrivere articoli frutto di informazioni ufficiali ma indaga egli stesso: anche perché perlopiù si ritrova coinvolto personalmente e deve cercare la verità per il suo bene.
Ma Banco fa anche esperienza di valori umani nei quali continuare a credere.
Non mi pare che sia un apostolo dei buoni sentimenti né voglia dare esempi di condotta o insegnare a credere in qualcosa. Banco sperimenta i “valori umani” non meno di quanto saggi i disvalori. Capita soprattutto alle persone sensibili, non superficiali, attente non tanto al prossimo in una chiave fideistica quanto alla loro circostanza entro una prospettiva laicamente umanitaria, di vedere nel mondo una sintesi tra bene e male. Banco è probabilmente uno di questi spiriti sospesi e sostanzialmente irrisolti, ma certamente propenso a coltivare un idealismo che gli offre il lato migliore della vita.
C’è infatti un personaggio importante in tutti e tre i romanzi, la signora Rosa. Qual è la sua funzione nella narrazione?
Quella dell’angelo custode, del nume tutelare, della coscienza pura. Rosa cade nella vita di Banco nel momento in cui, dopo la morte della moglie e la rottura col figlio, ha più bisogno di aiuto e di ritrovare equilibrio e serenità. Lui le dà del lei ed è corrisposto col tu, segno di una superiorità che egli stesso riconosce, perché Rosa è l’essere che ciascuno si augurerebbe: la maga che ricompone l’ordine del mondo circostante, semplicemente con la sua carica di umanità.
“Un cuore per la signora Chimento” di quali malaffari si occupa? Traffico di organi e basta?
Traffico di organi umani, stent scaduti e corruttela nella malasanità nella quale sono invischiati anche i poteri forti, compresi quelli politici, imprenditoriali e mafiosi. C’è anche un omicidio che sembra annunciato e che agisce come chiave per schiudere un mondo fatto di connivenze, collusioni, intrighi e spregiudicatezza. E c’è una femme fatale che si rivelerà la vera vittima del giro di complicità e congiura che stritola sia le persone che la città.
C’è un piano narrativo seriale che supera la trilogia?
Il progetto è stato pensato per durare e diventare appunto una serie. La struttura è verticale: ogni episodio è concluso quanto alla trama, ma personaggi e fatti si rimandano in successione. E altri se ne aggiungeranno a partire dal quarto volume, dove il tema centrale sarà l’urbanistica tra piani regolatori e lottizzazioni private. Posso anticipare che anche la vita privata di Banco subirà una svolta e chi leggerà Un cuore per la signora Chimento probabilmente immaginerà che tipo di svolta. Ma resterà ancora Catania il teatro di scena sul quale sarà rappresentata una certa città tralignata e bellissima, con splendide figure umane e altre turpi e marce. In realtà non tento di fare che un lungo discorso non solo su Catania ma sulla Sicilia di oggi.
Patrizia Danzè