Noi, come si dice, con fatuo patriottismo, siamo arrivati prima. Nella nota biografica, Armando Torno – già responsabile delle pagine culturali del “Corriere della Sera” e fondatore della “Domenica” del “Sole 24 Ore” – ricorda di aver “frequentato la Russia per oltre un decennio” e di essere stato “l’unico giornalista italiano ad accedere alla biblioteca di Stalin”. Chi è interessato legga Le Rose di Stalin, edito da Marietti nel 2020. Tra le cose più sfiziose rintracciate setacciando i resti dell’antica biblioteca – 5mila testi su 25mila originari, dissipati da scaltri burocrati – spicca l’edizione dei Fratelli Karamazov chiosata da ‘Koba’: era interessato “alle frasi del monaco Zosima, soprattutto quando parla dei rapporti tra Chiesa e Stato”. Alla Stalins’Library – sottotitolo: A Dictator and his Books – è dedicato uno studio di Geoffrey Roberts, professore emerito di storia presso l’University College Cork, appena pubblicato dalla Yale University Press. “Stalin credeva nel potere persuasivo della parola: avido lettore fin dalla tenera età, ha accumulato una collezione personale di migliaia di libri, assai diversi tra loro, spesso annotati con scritti marginali che denotano i suoi pensieri, le intime convinzioni”: così promette la ‘quarta’ del libro. In un articolo pubblicato sullo “Spectator”, Stalin the intellectual: the dictator cast in a new light, Nigel Jones riassume il libro in questi toni:
“In gioventù, Stalin aveva pubblicato alcune poesie intrise di patriottismo, dal ritmo romantico, nel nativo georgiano, prima che la politica assorbisse tutte le sue energie. Da onnipotente sovrano, era arbitrario nel modo di trattare gli scrittori: favorì la morte di bolscevichi leali ma critici, come Majakovskij e Gor’kij, difese anticomunisti come Bulgakov – andò a vedere quindici volte, a teatro, I giorni dei Turbin – e Pasternak, ‘Lasciate stare quel cittadino delle nuvole’, pare abbia detto accennando a lui… Era un avido lettore. La sua biblioteca comprendeva circa 25mila volumi, che coprivano un’ampia gamma di generi, dalla storia militare alla biografia, dall’economia alla letteratura. La biblioteca di Stalin devia la nostra percezione di un assassino paranoico, interessato soltanto al potere; la rende, infine, più spaventosa: il dittatore era un pensatore pronto a tradurre le proprie idee in proiettili da sparare in faccia a chi pensava diversamente da lui”.
Secondo un’antica intuizione di Iosif Brodskij, il poeta accusato di “parassitismo sociale” dai burocrati sovietici, in esilio dal proprio paese e Nobel per la letteratura nel 1987, un politico dovrebbe essere valutato in base alle proprie idee letterarie, da ciò che pensa di Balzac e Dostoevskij, dalla propria libreria, insomma. Chissà da quale libreria privata si abbeverano i nostri parlamentari, verrebbe da chiedere. Il resto, va da sé – o quasi.
Qui pubblichiamo un estratto da Stalin’s Library.
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Nel maggio del 1925 Iosif Stalin affida al suo staff una missione della massima importanza: classificare la propria collezione di libri. Ecco il testo.
Avviso (e richiesta):
Classificare i libri non per autore ma per genere:
a. Filosofia
b. Psicologia
c. Sociologia
d. Politica economica
e. Finanza
f. Industria
g. Agricoltura
h. Cooperazione
i. Storia russa
j. Storia di altri paesi
k. Diplomazia
l. Affari interni ed estesi
m. Questioni militari
n. Questioni nazionali
o. Congressi e conferenze
p. Posizione dei lavoratori
q. Posizione dei contadini
r. Komsomol [Unione della Gioventù Comunista Leninista Russa]
s. Storia delle rivoluzioni di altri paesi
t. 1905
u. Rivoluzione febbraio 1917
v. Rivoluzione ottobre 1917
w. Lenin e il Leninismo
x. Storia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica
y. Discussioni intorno al Partito Comunista dell’Unione Sovietica
z. Sindacati
aa. Letteratura
bb. Critica
cc. Riviste politiche
dd. Riviste scientifiche
ee. Dizionari
ff. Biografie e memorie
Escludere da tale classificazioni i libri di questi autori: Lenin; Marx; Engles: Kautsky; Plekhanov; Trotskij; Bukharin; Zinov’ev; Lafargue; Luxemburg; Radek.
Il resto va classificato per autore.
Evidentemente, Stalin immaginava una biblioteca piuttosto grandiosa, che custodisse una vasta e diversificata riserva della conoscenza umana, che non riguardasse soltanto le scienze umane e sociali, ma anche la filosofia estetica, la letteratura, le scienze naturali. Lo schema combinava la classificazione bibliotecaria convenzionale con categorie che riflettevano gli interessi particolari di Stalin per la storia, la strategia, i movimenti rivoluzionari, comprese le opere di antibolscevichi socialisti come Karl Kautsky e Rosa Luxemburg, e gli scritti di rivali interni come Trotskij, Kamenev, Zinov’ev. Naturalmente, il posto d’onore andava ai fondatori del marxismo e al principale esponente moderno, Lenin.
Stalin leggeva in modo selettivo e completo o in forma superficiale. Alcuni libri li ha soltanto sfogliati, a volte perdeva interesse dopo poche pagine e si avviava alla conclusione. La maggior parte dei libri residui della sua collezione non è contrassegnata da autografi, dunque non sappiamo cosa Stalin abbia effettivamente letto. Lo storico Erik van Ree suggerisce che Stalin avesse l’abitudine di segnare i libri che leggeva. È raro che i lettori (a meno che non siano insegnati o scrittori) segnino i libri di narrativa: Stalin non fa eccezione. Per lo più, i testi annotati sono di saggistica. Pometki, la parola russa che indica tali segni, comprende annotazioni verbali e disegni, sul margine delle pagine. Stalin segnava frasi o paragrafi che lo interessavano con una linea verticale, di fianco al testo. Per dare una struttura a questi segni, li numerava: a volte ha segnato con centinaia di tratti un unico testo. Altrimenti, scriveva sul bordo del testo la frase o la parola che lo aveva colpito. Capita che Stalin segni e tenga con sé libri presi in prestito dalla Biblioteca Lenin o da altre istituzioni statali.
Oltre ad annotare quasi novecento libri della sua personale biblioteca, Lenin riempiva quaderni di citazioni, riassunti, commenti legati ai testi che lo interessavano. Stalin segna esclusivamente i libri. A volte, per recuperare facilmente un paragrafo, inseriva piccole strisce di carta tra le pagine. Alcuni di questi segnalibri, ingialliti e sbriciolati dal tempo, si possono trovare nella collezione che custodisce i libri della biblioteca di Stalin. Charles Dickens era tra gli scrittori letti da Stalin. Dickens veniva studiato nelle scuole sovietiche, i suoi romanzi usati come propedeutica per imparare la lingua inglese. Ai bolscevichi non piacevano tutti i suoi romanzi – l’antirivoluzionario Racconto di due città, ad esempio – ma apprezzavano la cupa descrizione del capitalismo industriale del XIX secolo.
Gli appunti di Stalin variavano a seconda dell’umore e dei propri fini. Di solito, erano informativi, strutturati, disciplinati. In genere, Stalin usava matite blu, verdi e rosse per le note. A volte usava abbreviazioni; non sempre la calligrafia è leggibile. Lo stile delle note muta negli anni: la vecchiaia rende Stalin meno prolisso. Nel leggere le note di Stalin si è tentati di estrapolare significati profondi, per ghermire la sua psiche. Per lo più, però, Stalin legge per piacere, le sue annotazioni non rivelano altro che l’interesse per quel particolare libro.
Il bibliotecario-archivista Yuri Sharapov è stata una delle ultime persone a vedere intatta la collezione dei libri di Stalin. Nel suo libro di memorie, pubblicato nel 1988, rivela l’insistenza di Stalin nell’annotare i libri, e l’entità della sua biblioteca. “Gli appunti presi sul margine dei libri sono un genere piuttosto pericoloso. Tradiscono l’autore, la sua natura emotiva, il suo intelletto, le inclinazioni”. Gli storici hanno cercato tra le note di Stalin riferimenti alla sua indole, uno sguardo sull’abisso, per così dire. Le annotazioni su un paio di pagine dell’edizione russa di un romanzo di Anatole France, ad esempio, riguardano riflessioni sull’esistenza di Dio. Si è scoperto che erano della figlia di Stalin, Svetlana: lo stile è simile a quello del padre, ma più irriverente e caustico. Pare che Stalin sia stato strategico anche in questo: “è difficile penetrare la sua identità”, ha detto lo storico Evgenij Gromov dopo aver studiato la mole delle annotazioni.
Una truppa di esegeti ha tentato di ricavare qualche senso da una frase sottolineata da Stalin su un libro di storia russa del 1916: “La morte dei vinti è necessaria alla tranquillità dei vincitori”. È attribuita a Gengis Khan. Dedurre pogrom e Gulag da una frase sottolineata da Stalin pare davvero troppo.
Un altro riferimento che ha mandato in estro gli storici è la breve nota scritta sull’ultima pagina di un’edizione del 1939, fortemente sottolineata, di Materialismo ed empiriocritismo, il saggio di Lenin. “1. Debolezza. 2. Ozio. 3. Stupidità. Queste sono le sole cose che possiamo dire vizi. Il resto è indubbiamente virtù. Se un uomo è 1 forte (spiritualmente) 2 attivo e 3 intelligente allora è buono, indipendente da ogni altro vizio”.
Secondo l’accademico britannico Donald Rayfield questa è “l’affermazione più significativa” che Stalin abbia mai fatto. “Il commento di Stalin dona una patina machiavellica al credo di un antieroe satanico dostoevskjiano, è una sorta di epigrafe alla sua vita”. Lo storico inglese Robert Service valutò “intrigante” la nota, riflettendo su quanto “gli antichi studi al seminario di Tbilisi” avessero “lasciato un’impronta indelebile” nella sua formazione, visibile nell’uso “della terminologia religiosa, che riguarda peccato e vizio”. Secondo Slavoj Žižek la nota è “una formula concisa di etica immorale”. Tutto bello: peccato che la calligrafia non sia di Stalin. Chi abbia scritto quelle parole e come siano finite in un libro della biblioteca di Stalin è tuttora un mistero.
Geoffrey Roberts