“Gli esseri umani sono mutilati”. Sul “Soccombente” di Thomas Bernhard
Libri
Clery Celeste
Perché esista, l’amore deve essere scritto. Prima del sigillo carnale, è la carta a giustificare la sregolatezza d’amore, nelle opposte latitudini: perentorio, perverso, docile; cauto o feroce; coltivato nell’assenza dell’amata o moltiplicato in decine di amanti. Tradotto sul foglio, l’amore è sempre tradito, trafitto, dedito all’avventura e all’avvenire; interpretare i corpi che sconfinano in uno è sacrilegio, schiamazzi nel sacrario. Eppure, l’amore è un’esperienza scritta, è l’insidia delle Relazioni pericolose, la Lettera amorosa di René Char e la Lettera alla bene amata di Thierry Metz; è il desiderio che dilania le carni, la siderale compassione di Rilke, l’estenuata bellezza della Karenina, la gelosia felina di Medea, la coniugale schiavitù di Marcel Johuandeau. Sempre, l’amore tiene sotto scacco e scriverne è come vincere il fuoco con eserciti di carta, tramutare le dita in fiamme: San Paolo insegna che l’amore – inteso come agape – è superiore alle “lingue degli uomini e degli angeli”; Giovanni della Croce erige un tempio sulla “fiamma d’amor viva”; il Cantico dei cantici è ingresso al mistero del bacio; nel Vangelo gnostico di Filippo è detto che Gesù “spesso baciava sulla bocca” Maria Maddalena, “amata più di tutti i discepoli”. Enigma dell’amore, disciplina di sapienze e veleno che porta alla follia, invito al viaggio – Aimer à loisir/ Aimer et mourir, canta Baudelaire – e convitto di dotti che, come nella Firenze medicea, si raccolgono per un pensiero meridiano, leggendo il Simposio di Platone. Alieno da ogni enciclopedismo, al di là della tribuna accademica, Carte d’amore (Bollati Boringhieri, 2022), l’ultimo studio di Antonio Prete, raro maestro in un’era di iene, costruisce una mappa fitta di epifanie letterarie amorose, a tratti tenere, a volte urlanti, da Goethe a Cormac McCarthy, da Dante, Catullo, Flaubert a Canova, Tiziano, Klimt. Si è sempre famelici d’amore: nel suo romanzo memorabile, Il fucile da caccia, Inoue Yasushi fa una distinzione, pone un valico, “tra la donna che ha goduto appieno della felicità di essere amata e la donna che può dire di avere avuto poche gioie ma di avere amato”: chi delle due sarà esaltata? Ogni risposta sgretola il sortilegio, è malvagia. Il libro di Antonio Prete va adoperato come un repertorio di indagini e di letture, spesso sorprendenti; ancor più come un addestramento all’amore – di che coraggio sono complice? –, cioè all’apnea. “Protrarre l’addio offrendo al desiderio una lingua dove abitare”, scrive, a un certo punto, Prete. Ed è allora che gli scrivo. Il cielo, ne ho memoria, in inverno sa essere di un azzurro spaventoso, che disarma; si è nudi all’amare, a volte immemori.
Leggendo il suo libro, ragionando sulla differenza tra scrivere d’amore e amare verrebbe da pensare che l’amore, in sé, sia frutto di un gesto di scrittura, che siano i poeti, cioè, in qualche modo, ad aver ‘inventato’ l’amore nelle infinite gamme in cui lo conosciamo: è così?
È così, se consideriamo come la lingua dell’amore sia tutt’uno con l’esperienza dell’amore. A quella lingua dell’amore i poeti hanno dato un alfabeto, e l’anima di un alfabeto. E questo in ogni epoca e cultura: nella nostra cultura mediterranea pensiamo alla rilevanza dell’amore nell’origine della lingua poetica: l’epos greco, il Cantico dei cantici, i lirici greci mostrano già l’amore in tutte le sue implicazioni corporee, sentimentali, fantastiche. La lingua del desiderio e la lingua della poesia si incontrano, cercano, congiungono. La nascita stessa della poesia è movimento del desiderio verso la parola, e della parola verso il tu. Aggiungerei che la poesia è sempre poesia d’amore: amore della lingua, anzitutto, e questo lo hanno detto in molti modi i primi poeti della lingua italiana, i poeti della scuola siciliana, dello Stilnovo, e soprattutto Dante: desiderio che è movimento verso la rappresentazione di quel che non è visibile, che è assente, che è impossibile. La poesia come amore di quel che è oltre il dicibile.
…verrebbe dunque da concludere che oggi si ami poco, male, per improvvisazioni, perché non sappiamo più scrivere l’amore e dettare in versi un desiderio… Oppure: è forse vero che cantare l’amore allontana dall’amare?
Direi che disamore, o falso amore, o malinteso amore, è quello che separa la lingua dal desiderio: si dice amore, ma si toglie al desiderio la sua sostanza, che è il movimento verso il tu, il riconoscimento del tu come principio della conoscenza di sé. Il disamore è svuotamento della lingua dell’amore, ridotta a puro artificio, a strumento d’inganno. Questo movimento che fa dell’amore non un sentimento ma un artificio, una strategia, una forma di potere, e così manipola e distrugge il suo vero alfabeto, è messo bene in campo da un classico della narrazione amorosa come Le relazioni pericolose di De Laclos.
Vengo alla seconda parte della domanda. È vero, ci può essere anche una sostituzione dell’esperienza d’ amore con il dire dell’amore, con il dire poetico dell’amore. Ma questo appartiene all’avventura della parola che percorre strade non coincidenti con il reale e con la fisica esperienza. Ma se quel dire dell’amore è profondo finisce con l’essere esso stesso un’esperienza d’amore. Pensiamo a Baudelaire, al suo sonetto A una passante: un incontro d’amore non avvenuto – il lampo di uno sguardo nella folla metropolitana – è custodito nella lingua della poesia, e nel pensiero, in maniera più forte di quanto è custodito un incontro davvero vissuto.
Torno al suo libro. L’amore che illumina, energia che conduce alla sapienza; l’amore che acceca, in ogni senso, che porta a compiere efferatezze, che precipita nella gelosia, ma anche nella ‘notte oscura’ dell’anima. In questa lascivia di contraddizioni dove trovare il bandolo?
Forse non c’è un bandolo nel labirinto che è l’amore. Per questa poliedricità del sentire, per questo arco estesissimo del desiderio, per le sue contraddizioni e negazioni, i poeti e gli scrittori hanno considerato l’amore come la materia prima del loro dire. Per Leopardi l’amore è la “più dolce, più cara, più umana, più potente, più universale delle passioni”: lo dice nello Zibaldone, 3 ottobre 1823. E per Stendhal l’amore “è simile alla via lattea nel cielo: un insieme risplendente formato da miriadi di piccole stelle, delle quali ognuna spesso è una nebulosa”. Insomma un universo è l’amore: la poesia, la narrazione, l’arte suggeriscono alcuni orientamenti in questo universo, alcuni cammini. Nel descrivere, nella prima parte del libro, le figure dell’amore, mi è sembrato giusto sostare non solo sulle forme del desiderio e sulle manifestazioni del sentire (la fascinazione, la gelosia, la tenerezza, la confidenza, la seduzione ecc.), ma anche su quella dimensione dell’amore che è per così dire verticale, e che ha a che fare con la mistica dell’amore (la “noche oscura” di Giovanni della Croce) e con l’ agape della tradizione cristiana. Anche il nesso amicizia-amore mi è sembrato un luogo centrale del discorso d’amore.
Mi ha sorpreso la descrizione che fa dell’Amor sacro, amor profano di Tiziano, osservato insieme a Mario Luzi, “enigma dell’indicibile”. Cosa ci è rivelato, lì, se non, forse, che dell’amore non possiamo, infine, dire nulla?
Forse sì. Quando con Mario Luzi, molti anni fa, ci trovammo insieme a osservare quel meraviglioso quadro di Tiziano nella Galleria Borghese da poco riaperta dopo anni di chiusura, il silenzio fu il commento più appropriato. Dinanzi a ogni opera famosa esposta nelle sale accadeva che uno di noi due dicesse qualcosa, un’esclamazione, una notazione. Ascoltavo con attenzione le parole pensose e sobrie del poeta. Dinanzi a quell’opera mi colpì il silenzio profondo e lungo di Luzi, che osservava tutti i particolari, senza commentare. Forse perché c’è, sì, una lingua dell’amore, ma definire l’amore è impossibile. Per questo il quadro di Tiziano resta enigmatico. Anche se gli si sono sovrapposte molte, a volte finissime, interpretazioni.
Spesso, nel libro, torna al mistero del bacio. Nel Vangelo di Filippo Gesù bacia la Maddalena insufflando in lei sapienze celesti; quando Werther bacia Lotte “Il mondo cessò di esistere”; il Cantico dei cantici comincia con un furibondo invito al bacio. Già, ma cosa si bacia quando baciamo, cosa accade quando le labbra di due creature si annodano?
Quel che dice Goethe con le parole di Werther mi sembra colga l’aspetto per dir così assoluto del bacio: una separazione dal mondo che però riporta il mondo nella presenza fisica di un corpo. Il problema dell’amore è come ritrovare quel mondo nel tu e come fare del tu il tramite per il mondo.
Quale aspetto dell’amore scritto, per sua sensibilità, è il più ricco di contraddizioni, di sottigliezze; quale il libro, l’autore, che l’ha detto in modo anticonformista?
Una domanda difficile, dopo il lungo attraversamento di poesie e narrazioni che mi ha portato a scrivere Carte d’amore. Quanto ai singoli aspetti, alle singole figure dell’amore, ogni volta che isoliamo un motivo vediamo che appare la connessione con altri motivi: così è della seduzione, della tenerezza, della fascinazione… Una rete di implicazioni che non esaurisce il discorso sull’amore. Quanto ai libri, ogni grande poesia d’amore, ogni grande romanzo d’amore aggiunge qualcosa sull’amore. Una riflessione aperta, incessante, che muove, nella nostra cultura, dal Simposio di Platone, dove al centro c’è una donna, Diotima, assente dal convivio, ma fortemente presente con il suo discorso sull’amore riferito da Socrate ai discepoli (ho dedicato l’intermezzo del libro, tra le due parti, al racconto del Simposio). Quanto ai libri – per restare nella nostra modernità, e nel romanzo – ricorderei, per come è trattato il nesso tra amore, amicizia, matrimonio il Rousseau di Giulia, o la Nuova Eloisa. Quanto al nesso dell’amore con il tragico raccontato con tensione sovversiva come non pensare a Madame Bovary di Flaubert e ad Anna Karenina di Tolstoj? Poi ci sono gli interni fantasmatici e sottili con cui Proust racconta il rapporto con Albertine. Ma da qui potrebbe riaprirsi, nei suoi mille rivoli, il discorso interminabile sull’amore.